giovedì 31 maggio 2012

a te




il suo viso era ben fatto e già selvaggio, un richiamo lontano verso terre inesplorate dall'occidente.
i suoi occhi spicchi neri e lucenti che urlavano levante!, dove il sole ha la sua nascita ed ascesa.
le sue guance due mele tonde perfette senza imperfezioni e lisce e già dorate dai raggi delle stelle.
quel giorno era tutta incipriata e aveva una lacrima sulla sua guancia sinistra.
ho pensato per una vita intera di dovergliela asciugare io, quella lacrima nera.
quel giorno era una piccola e tenera ed indifesa pierrot.
indossava una tunica bianca candida e intatta, setosa e ruvida, con tre pon pon neri che le disegnavano un percorso preciso e diritto dal suo collo sottile al suo piccolissimo e sferico ventre.
scarpette allacciate alla caviglia, una sottile costrizione a non togliersele e a non camminare a piedi nudi, quel tocco di protezione che la radicava a terra.
nessuna era bella così, nessuna.
lei rifulgeva fiera e cupa, terrena eppure così sfuggente, pronta a scalare la sua montagna sacra con tenacia e anche con grande fatica.
lei è il mio capricorno, lei è l'unica che ho atteso per quasi nove anni.
nove anni a desiderarla e sognarla, mentre ogni giorno le parlavo quando ancora non era nata e non sapevo che viso avesse, rinchiusa dentro quattro mura segrete dove solo io e lei sapevamo come parlarci.
la notizia del suo arrivo mi scaraventò fuori dalla porta di casa, mentre correvo all'impazzata per quattro rampe di scale, urlando a tutti la mia felicità, l'unica che avrebbe cambiato e dato questo senso alla mia vita.
- nascerà mia sorella! mia mamma aspetta un bimbo, mia mamma aspetta un bimbo!
da sola sapevo che sarebbe stata una femmina, mora, superba di bellezza, vitale e gioiosa, dall'ombra regale e forte, scura e schiva.
lei è il mio palindromo.
lei è il mio numero primo.
lei è la mia radice quadrata.
lei è la mia elevazione alla seconda.
senza di lei avrei continuato affannosamente per una vita intera a cercarla, senza riconoscerla negli occhi di nessun altro.
senza di lei non avrei mai incontrato quanto di più mio conosco di me stessa.
ogni volta le fluttuo intorno come l'aria, le scaldo il corpo con il mio fuoco, lei che è terra ascendente terra.
così polverosa, fangosa, fatta carne, ma mio spirito, spirito solo per me.
l'ho tenuta stretta a me dentro al mio letto per rallentarle i battiti del cuore impazziti, con lei ho pianto, ho riso le più intense risate, ho urlato e sofferto e gioito.
un giorno d'incanto ho smesso di cercare di asciugarle quella lacrima e ho scoperto la donna che è in lei.
e da lei ho imparato.
lei mi ha insegnato tutto ciò che da sola non avrei mai conosciuto, lei mi ha insegnato a smussare gli spigoli più taglienti di me stessa, lei mi ha aperto un orizzonte ampio oggi oltre trecentosessanta gradi, lei mi ha indicato un'altra direzione, lei ha completato un rebus che sarebbe rimasto a me totalmente sconosciuto.
pensavo di essere io la più grande, quella a cui gravasse il carico di dover educare.
ho trovato invece un amore immenso che mi ha illuminato la vita e mi ha regalato uno sguardo nuovo.
solo a lei va il mio grazie più sentito.
solo a lei vanno i miei pensieri più belli.
solo a lei va tutto l'amore del mondo.
solo a lei va il nome di sorella.

ad Anna, a te

bi

[pierrot, picasso]

mercoledì 30 maggio 2012

"non avevo mai pensato seriamente alla mia morte"

sembra che io non ci sia, ma in realtà ci sono.
sembra pure che Di mia non ci sia, ma (fidatevi) in realtà c'è e sta bene, soltanto che dove sta lei l'acronimo pc è tipo "poca cacca" e non "personal computer".
ma non pensate male: la cacca è quella santa dei cavalli.
ad ogni modo, stavo facendo una riflessione un po' così l'altro giorno con la mia amica delle insalate e dei coni gelato alternativi.
dicevamo quanto uno non ci pensi mai al giorno della propria morte, che (attenzione) non è mai una cosa che porta sfiga, né qualcosa di cui avere il terrore.
io alla sfiga così non ci credo manco morta, appunto.
in pratica uno muore e se ne va e si presume pure in grazia di (un quache ) Dio (maiuscolo per rispetto di qualcuno, percarità).
e chi resta?
allora sono uscite un sacco di cose strane, alle quali uno non penserebbe né ora né quel giorno, ed invece no, ci devi pensare, o quantomeno qualcuno ci dovrà pensare, perché spunta gente che si guarda intorno e se lo chiede e si confronta e ne parla e deve pure prendere delle decisioni.
vi prego amici, mi addentrerò in un discorso un po' così, che volendo potete anche abbandonare subito, oppure lo prendiamo tutti insieme per quello che è: pura tragi-comicità tutta terrena.

- signori, la bara come la volete?
già come la voglio?
oddio, cioè, come l'avrebbe voluta?
prima perplessità.
è che c'è tutta una vasta rosa di scelte che vanno pure più o meno di moda e che fanno la differenza tra morto e morto, pare.
- volete l'intarsio con il cristo o con la madonna?
(non sono imprecazioni, io non impreco mai).
silenzio.
- ma il cristo si usa per gli uomini e la madonna per le donne, in genere? perché sono poco pratica...
- no, è a gusto.
a gusto.
- non saprei... non gliel'ho mai chiesto, in effetti, e non so cosa gli sarebbe piaciuto in questo caso.
ma ecco che spunta da qualche dove un parente che invece lo sapeva eccome!
magari perché ne aveva parlato con il deceduto il natale precedente, di fronte al camino e davanti ad una burrosissima fetta di pandoro.
chiaro, no?
certamente, capitano a tutti dei natali in cui si affrontano questi discorsi qua!
- lui... era devoto a padre pio...
dice tremolante il parente spuntato dal nulla, ancora sporco dello zucchero del pandoro.
- ottimo, signori, abbiamo anche la bara di padre pio!
dice orgoglioso e soddisfatto il tizio, sì insomma lui, quello che vende le bare... il becchino.
- e l'interno come lo facciamo? 
l'interno di cosa?
seconda perplessità.
- ma l'interno non è sempre in legno?
- sissignori, tuttavia occorre scegliere l'imbottitura.
e ti apre un mondo tutto pieno di stoffe lucide, opache, in seta shantung, in seta lavata, ruvide, dai mille colori e va be'.
pure color turchese!
che ti guardi intorno smarrita, dicendo a te stessa che mai avresti pensato un giorno di trovarti là a scegliere se liscia o ruvida o turchese o no.
- allora facciamo una tinta sul beige.
sì, che magari è più discreta e non distoglie manco l'attenzione dal corpo in questione.
- e il tulle, signori?
- come, scusi?
- intendo il velo che copre il corpo e il viso.
terza perplessità.
sì, anche il velo devi scegliere.
- sempre uguale... beige?
insomma, capito un po' come?
che uno mica ci pensa proprio.
per non parlare dei prezzi, che dipendono dalla qualità del legno, dagli intarsi, dal colore della bara, dalle stoffe, dai tulle e pure dai fiori.
- che frase scegliete, signori?
dice sorridente sempre (il) becchino. sorridente.
quarta perplessità.
- da mettere sulla lapide, dice?
- ma no, la frase per il ricordo che lascerete ai presenti.
risorride, gentile.
e ti porge un libro di citazioni assolutamente sacre e che ti stordiscono e che davvero ti gratteresti come prima reazione perché sì, noi amici siamo anche fatti così e basta.
dunque scegli la meno peggio, tipo quella che non dice proprio "veglierò su di voi da quassù" e "vi resterò vicino per sempre" e cose inquietanti così.
ma certo, non la scegli no!
perché comunque, a parte il turchese e i padre pii e le madonne intarsiate e i tulle, tu stai lì a pezzi con le lacrime incrostate sulle guance appassite e ti rode pure tanto il culo!
ecco.
io non desidero lasciarvi con questo amaro in bocca, quindi ecco una frase che spero riesca a donare a ciascuno un orizzonte differente e la sana consapevolezza che ai morti della bara non gliene frega niente e che loro lì, al cimitero, non ce li troveremo mai e poi mai e di sicuro.
andremmo tutti lì, mesti e pieni di vuoto, un po' deambulanti e un po' incerti, a parlare a vuoto. e da soli.

bi

(un grande abbraccio con il cuore alla mia amica dell'insalata, con grande amore e superstima.)

"è la vita a costituire l'unica realtà e il vero mistero.
la vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note.
la vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte le forme prese dalla materia.
lo so. io sono la vita.
sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni di anni, ho posseduto numerosi corpi.
io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meraviglia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà, sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di materia che chiamiamo corpi e che io ho fuggevolmente abitato"


jack london, da "il vagabondo delle stelle”



[immagine tratta da internet]

lunedì 28 maggio 2012

sette regole d'oro per affrontare gli esami (come i sette nani e i sette re di roma e i sette colli)





già cominciamo male, perché il termine regola è coercitivo.
e poi pensiamo seriamente che l'unica regola per affrontare gli esami sia quella di studiare?
no, perché invece dicono che così non sia, e allora io non ho capito niente della vita e degli approcci olistici e multidisciplinari, perché infatti qui parlano di ben sette regole in un articolo di un'importantissima testata giornalistica, che è senz'altro seria e non come me (ma che tuttavia non cito, perché me ne frego), sette regole come i sette nani e i sette re di roma e i sette colli.
allora, dicono lì, se abbiamo un periodo intensissimo di lavoro, oppure dobbiamo fare gli esami all'università, oppure i nostri figli devono sostenere gli esami di terza media, oppure quelli di maturità, bene: tutto questo panegirico è per noi.
basta seguire sette belle regolette per affrontare al meglio uno dei momenti più antipatici e ansiogeni della vita: l'essere esaminati.
il bello è che questi citano il cibo e il mangiare, pensa te, quindi per me se ne può pure parlare.
ma! (c'è sempre un ma quando le cose sembrano facili facili) le sette regole d'oro le ha scritte una nutrizionista.
e questa cosa già mi puzza, perché temo che questa non mi lasci né la carbonara, né il salame, né la nutella sopra la coppa gelato fai-da-te per il dopo cena per fatti miei.
che io proprio non posso, soprattutto durante il periodo buio e anti-sociale dello studio.
occhei, vi lascio l'elenco delle regole e non ci pensiamo più.
ovvero, pensiamo se ci possono essere congeniali o meno.
anche se a me prudono le mani, come sempre, e con la mia anti-obiettività, che almeno non è finta obiettività, vi dico queste cose qua:

regola numero uno: non saltare i pasti
mo va bene che una magari abbia poco tempo, magari debba pure lavorare, poi magari debba tornare a casa trafelata e sudata e lucida in faccia, magari debba aprire un tomo da cinque-seicento pagine (ma pure duecento, mica è topolino), fare che lo legga e capisca pure, e ti pare che neanche mangi?
perché, dai, mica una ha ammazzato qualcuno.
mi sembra un consiglio ridondante, che se ridonda una mangia pure due volte anziché una sola.
quindi come minimo una mangia una volta.
e guai a non mangiare che sono sette anni di disgrazia o al massimo un diciotto all'esame e sono cavoli con la media.

regola numero due: fare pasti leggeri
ecco, già a questa mi viene un dubbio: una ha davvero ammazzato qualcuno?
come mai leggero? come mai una non può tenere in mano un tomo da cinque-seicento pagine e pure un panino col salame da otto chili o un piatto di bucatini rosso sangue con pancetta affumicata in un coccio d'epoca?
mi sembra a dir poco pregiudiziale, cioè prima verifica se una ce la fa e poi, semmai, parli.

regola numero tre: fare degli spuntini
è il diminutivo che stona e non mi convince affatto, anche se chiaramente è tutto molto relativo e quindi pure l'-ino lo è.
-ini secondo chi?
perché secondo me -ino è sempre più grande di -uccio e pure di -etto, quindi anche due di etti dovrebbero andar bene senza sgarrare. e via.

regola numero quattro: mangiare i legumi
"poveri di grassi e ricchi di carboidrati buoni"...
ma io qui passo proprio e ciao.
(che infatti non sono mai stata una figlia prediletta in questo e lo sanno tutti).

regola numero cinque: fare il pieno di antiossidanti
e qui va bene, perché se vai a sostenere un esame che c'hai pure le rughe accentuate e le occhiaie nero pece allora hai perso, visto che la società ti vuole bellaebrava, possibilmente tutt'attaccato e che ragioni quando serve e parli quando richiesto.
non è che fai tenerezza perché sembri sul serio stanca e quindi ciò è indice di notti insonni sopra i libri.
ti devi riempire di frutta per forza, se no non sei nessuno, che saresti la felicità di una madre e la figlia sua prediletta e poi comunque devi dirlo in giro che mangi tanta frutta, che fa moda, tipo:
- sai, ho pranzato con un frullato di banane, pere e mele, su un letto di papaya e carpaccio di mango e kiwi.
e sto.

regola numero sei: bere
è che secondo loro tutti noi messi insieme aspettiamo di studiare o di essere epilettici dallo stress per bere.
ci vogliono così, capito?
così poi ci possono dire che bere fa bene, che non lo sapevamo mica noi.
bevete, gente, bevete che è la cosa che costa di meno pure in tempo di crisi nera come adesso, tipo io che infatti ho ripreso a bere l'acqua del rubinetto e sfido quotidianamente i calcoli e ho diminuito i rifiuti in plastica.
e comunque ancora sono viva e senza calcoli, se non quelli per arrivare a fine mese.

regola numero sette: staccare
siamo all'epilogo e scatta il concetto filosofico.
cioè quando mangiamo tutte le cose di cui sopra, non dobbiamo farlo leggendo o studiando o facendo altro: tutto il nostro io, anche quello più profondo e nascosto e dormiente, deve essere concentrato sull'attività del nutrirsi e basta, per cui tutto ciò va fatto staccando la vita col mondo intero. capito?
tipo scollamento o sradicamento.
poi dicono pure di farsi una passeggiata, una pedalata, una telefonata, una seduta in bagno, una litigata, un po' di yoga... e altre cose così e così sia.

detto questo, io mi auguro davvero tanto che vi siano utili queste sette robe qui, come i sette nani e i sette re di roma e i sette colli, che ne dimentichi sempre due o tre e non arrivi mai alla fine, che tutto sommato mi pare che siano pure abbastanza facili per i più, anche se a me viene un po' l'orticaria da mancanza se penso alle robe leggere, agli -ini, alla frutta, ai legumi e pure alle pedalate...
berrò, amici miei, berrò.
della magnifica e limpidissima acqua del rubinetto.

bi

[immagine tratta da " hub09 social design]

venerdì 25 maggio 2012

dice rob brezsny: scrivi il tuo annuncio personale ideale e mandalo al tuo partner. e questo è il mio annuncio molto personale e proprio ideale.

caro Tu,
anzi AAA, maiuscolo e mi sa pure puntato che fa annuncio,
io ti annuncio che ci sono, visto che sei composto da testosterone e maschilità ed è meglio che cominci col ricordartelo, così ti regoli.
sono io che ti scrivo, quella di ieri l'altro in canotta colore basico, jeans un po' lacerato un po' no, infradito di gomma, cappelli sciolti a caso, mascara, lucido trasparente sulle labbra, macchinetta fotografica, moleskine e basta.
è che ci metto tre ore circa a farmi un dignitoso chignon irregolare, che un'altra (sappilo, io te lo dico prima) si farebbe in due minuti e molto meglio del mio pieno di ciuffi a mo' di spine e foglie di ortica.
come stai?
mi sembra gentile e carino chiedertelo, che io ci tengo alla salute dei miei cari.
io bene, anche se ogni tanto nei cambi di stagione mi vengono a trovare saltuarie e sempre più rare espressioni di intolleranza verso il mondo sotto forma di rosea allergia sulla pelle, ma comunque sembrano farfalle e infatti poi volano via come sono venute. 
comunque allergia non sono ma non sono infettive e non si attaccano, quindi tranquillo non è lebbra e puoi toccarmi, ma sempre con le dovute accortezze, naturalmente.
sicuramente mi sentirò bene quando sarò con te, ma anche quando no, nel senso che sto senz'altro molto bene da sola e se tu ci sarai, darai un condimento più saporito alla mia vita.
ma se dovessi mangiare sciapo, sappi che starei bene lo stesso, che poi il sale costringe un po' il flusso sanguigno: questo è il senso più profondo di quello che ti volevo dire.
ti annuncio che ne vedi una ma in realtà siamo in due, io ossia Bi e la mia interessantissima parte oscura ossia lato-Bi.
che tanto pure tu hai, quindi facciamole conoscere subito, così ci leviamo il pensiero e sarà tutto più facile e rischieremo solo di piacerci di più man mano che trascorra il tempo e non di meno.
non voglio farti del terrorismo, anche se va di moda più dei ray ban, né spiattellarti subito in faccia la mia parte piuttosto anarchica, pure quella va via come il pane, ma comunque la chiarezza è la base per costruire una salda fiducia.
le femministe in genere non si depilano, ma io sì perché sono una post e i peli mi hanno sempre fatto schifo, ma i tuoi no!, ecco, tieniteli che invece se ti depili poi siamo in due più due con lato-Bi poi è un casino. chiaro?
poi li differenzio una volta tolti, così si possono riclicare e possono avere una nuova vita e mi sento meno in colpa.
non vedo l'ora di poterti annusare l'ascella, perché quello è un momento importante: è da lì, infatti, che si capiscono molte cose sulla chimica della coppia e sull'intesa tra i nostri corpi.
mi auguro che tu sia d'accordo, perché l'olfatto è uno dei sensi che più mi comunicano sensazioni.
motivo per cui come prima uscita vorrei invitarti proprio al festival internazionale dell'olfatto, così possiamo sentirci per un po' dei multi-culturalisti immersi in un melting pot di odori mondiali.
che ne dici?
dicono che ci siano anche le bancarelle dove acquistare cose vintage e degli anni sessanta.
ti annuncio, tra le altre cose, queste robe basilari: sono sì una ragazza col cuore a cucu, però sorrido anche molto e scherzo e comunque mi arrabbio con altrettanta scioltezza, alzo un po' la voce (se invece tu la alzi io l'abbasso e ti fulmino con lo sguardo e qualche parola specifica), do molta importanza all'ars oratoria e pure alla retorica, leggo per legittima difesa, sono una donna che scrive e dunque pericolosissima, sono piena di dubbi nel senso che mi alleno costantemente nell'esercizio del dubbio e non mi fido di chi si sente di avere la verità a portata di dita e bocca, ma proprio io sono molto maestrina, ho una cattiva relazione con il telefono, quando sono in giro è capace che mi perdi un attimo perché sto fotografando qualcosa ma naturalmente non sono una fotografa, vesto sempre con gli stessi colori e a volte mi concedo una cosa rossa o massimo due, non sopporto chi intrattiene con me rapporti formali e di etichetta e diplomatici e del come stai-io bene-che fai nel weekend e idiozie così, credo profondamente nella gentilezza e nell'amore, ho un cavallo e due gatti tutte femmine, una sorella femmina, una famiglia piuttosto di stampo matriarcale, capito bene come?
no perché è bene che tu lo sappia questo, ci sta il segreto del nostro equilibrio e del mio pure.
mi piace il cinema, la tivù se la guardiamo insieme, la montagna ma anche il mare, il sole tanto, i quotidiani mi innervosiscono perché credo un po' alle teorie complottiste, odio i fascisti e nella mia tolleranza ci sguazza un bel po' di (bonaria) intolleranza, perché sono una passionaria, strana e poco coerente.
ecco, dopo questo annuncio mi sento già meglio e sono pronta ad uscire con te, ma certo a questo punto non so tu, ma non ti preoccupare che se non vieni tu chiamo un'amica.
e concludendo, che sono sempre un po'  prolissa, ricordati fin da ora: speriamo che sia femmina.

bi



[julie de waroquier]

mercoledì 23 maggio 2012

io credo nel rosa

in generale ci sono uomini e uomini e ci sono donne e donne e ci sono persone e persone.
nel particolare invece prova ad essere una donna sobria e minimalista, una di colore rosa, ecco.
sono tanto carini gli uomini all'inizio, quando sei bella e super a prescindere da tutto e a qualsiasi ora del giorno e della notte.
ti presenti scalza, o al massimo con infradito di gomma, jeans un po' lacerati, una canotta dai toni basici e sei uno schianto.
e sei anche strepitosa se al posto dei jeans e della canotta ti infili a sorpresa la sua t-shirt, decisamente larga e poco sinuosa, ma che fa molto effetto androgina e easy. cioè facile.
all'inizio è tutto un idillio così, non serve che ti impegni a curare al massimo la tiratura del tuo modo di apparire: a lui piaci in tutti i modi.
non devi essere altro che rosa.
anche quando dimentichi il mascara o quando hai l'ombretto sciolto e scomposto o metti su un appiccicosissimo e laccatissimo lucidalabbra.
ecco, quello lo metti e ce l'hai lì tutto preciso e brillante e lui arriva e ti bacia con passione e te lo cosparge fin sopra le guance dicendoti che sai di primavera e di ciliegie rosso intenso di prima classe!
poi magari siete a cena, uno al cospetto dell'altra, lui osserva come impugni la forchetta e ti dice che lo fai con quel ché seducente ed ammaliante, mangi poco o tanto che manco ci fa caso, perché tanto il suo sguardo è tutto lì: su di te e nient'altro.
gli inizi sono così, conditi di stupori e curiosità difficili da soddisfare, famelici di conoscenza ma non troppo, vogliosi di quel mistero di sé che dovrebbe perpetuarsi per un tempo esteso ad eternità.
dovrebbe.
perché invece poi il tempo passa, così senza che neanche te ne fossi resa effettivamente conto, e ti ritrovi meno rosa, perché i colori sbiadiscono agli occhi degli altri, sapete?
e arriva un'altra cena.
lui guarda la sua, di forchetta, e dice che mi sa che è un po' sporca e che l'altra volta non lo fosse e come mai?
la tua non fa niente, basta che non gli fai assaggiare i tuoi tonnarelli, che poi dovrebbe verificare lo stato di salute della tua forchetta incriminata.
- come mai hai messo le ballerine questa sera?
sì, si è accorto subito, appena sei salita in macchina, che non indossi quel sandalo nero tacco dieci con i jeans che li lasciano in bella mostra ai passanti nient'affatto distratti.
già, perché ho messo le ballerine, che non mi ricordo?
- non mi ricordo, volevo stare comoda questa sera.
perché camminare sui tacchi dieci è un impegno che una donna conosce benissimo, soprattutto quando si avventura nel romanticissimo centro storico pieno zeppo di fantastici sampietrini.
- ma le ballerine sono anti-sesso...
no, ma è sempre lui, tranquilla.
quello che ti diceva che sei uno schianto in infradito o anche scalza e col mascara solo in un occhio.
- anti-sesso? il sesso si fa con le scarpe?
eh sì, donne, anche l'occhio rivendica la parte sua e il suo più di tutti. ora.
già, ora. perché prima era prima, col suo inizio in erba fresca e verde e bla bla bla, adesso è mo e quindi è cambiato tutto.
le infradito percarità, sono riservate alle uscite in spiaggia e basta, ma semmai dopo il mare si dovesse andare a cena, ti dovresti portare lo zoccolo col tacco. che esiste, eccome se esiste ahimé...
i jeans strappati sono da adolescente, se non lo sei fai finta e non va bene, mica lui si è scelto una teenager: vuole una donna colla D grossa!
con la canotta poi ci vai a dormire, ma mai! quando trascorri un week-end con lui: in tal caso ti devi portare un baby-doll.
tu fatti i fatti tuoi e mettiti la canotta quando dormi a casa tua, ma! senza dichiararglielo. perché se ti chiama ti chiede:
- hai il baby-doll nero che ti ho regalato io, vero?
e s'aspetta che tu dica sì.
se prima eri la femmina più femmina della terra ed eri affascinante come nessuna e lui aveva occhi solo per te e tutte queste robe qui, bene, oggi si guarda intorno per controllare se la gente intorno vi guardi e si giri a guardare te: il suo trofeo.
lo sapevi di essere un trofeo?
ecco perché i tacchi, così si girano e ti guardano, così lui si pavoneggia e pensa (con immensa soddisfazione) che ce l'ha solo lui un oggetto del desiderio così (oggetto, non soggetto, che hanno due funzioni differenti anche per l'analisi logica sociologica e psicologica).
come quando uno lo vedi che sfreccia su una spider, no?
fa il pavone senza coda e ha bisogno di te: che tu gli faccia da coda.
che in fondo senza coda il pavone è solo un uccello.
ma non sono tutti così.
c'è pure chi è peggio, ma pure chi è meglio, per forza.
basta che non ti dimentichi mai di mettere il mascara, di fare colazione con uno yogurt dal sapore acido, di lustrarti le labbra con un lucido ma non troppo, di non fare eccessivamente la donna pensante che è mentalmente e fisicamente impegnativa e soprattutto di avere fortissimi e cazzutissimi anticorpi contro gli stronzi.
che tanto dentro sono vuoti.
ma non è comicissimo tutto questo?
a me fa ridere da matti ed è tremendamente rosa!

bi

"I believe in PINK
I believe that laughing is the best calorie burner
I believe in kissing
kissing a lot
I believe in being strong
when everything seems to be going wrong
I believe that happy girls are the prettiest girls
I believe that tomorrow is another day
and I believe in miracles"


audrey hepburn


[immagine tratta da internet]

martedì 22 maggio 2012

My name is Bi I live on the second floor I live upstairs from you yes I think you've seen me before

signori, da qui sopra è tutto molto superfico!
mi sento molto il mio professore di matematica a chiamarvi signori e oggi ci sta.
quello ci chiamava signori e avevamo sedic'anni...
sissignori, perché oggi vi scrivo ufficialmente dal secondo piano, oppure dal primo piano se quello di prima era calcolato come piano terra (punti di vista, in effetti).
tanto per cominciare, io qui ci sto da sola.
ovvero in questo piano elevato ci sono soltanto io, me medesima, il mio sé e ego.
che all'inizio era una cosa che un po' mi preoccupava.
perché io faccio un po' così, ma in fin dei conti un po' mi piaceva vedere la gente passare lungo il corridoio, sentirla vociare (purché a voce temperata), adocchiare i miei colleghi con il capo ben imbalsamato davanti ai loro performantissimi picì (performante è una parola di una bruttura unica).
certo, tutto ciò era bello ma fuori dalla mia stanza, poiché la distanza tra i corpi, la prossemica in pratica, è un concetto assai importante ed in questo caso troppa vicinanza mi avrebbe oppresso, quindi erano tutti più carini da lontano.
poi ad un certo punto è arrivato uno, un nuovo collega dallo sguardo furbo, e tutto questo mio equilibrio del vicino-ma-non-troppo si è drasticamente modificato.
a meno di pochi metri dal mio corpo c'era uno dentro le mie stesse quattro grigie mura, proprio di fronte alla faccia mia, uno con una voce piuttosto invadente e dal tono superiore al per me tollerabile, con una voglia di chiacchierare di sé che a me (figuriamoci) proprio non poteva importare un fico secco, poi anche uno di quegli esemplari maschi che ripeteva sovente quanto la sua ex collega femmina parlasse troppo e lavorasse poco, e schiocchezze pseudo-maschiliste di questo tipo, e a lui questa dava molto fastidio e diceva di apprezzare tanto il fatto che io fossi il contrario. e sicuramente volevo restare tale e poi mica io sono così con tutti, dipende dalle persone.   
sta di fatto che in questo periodo c'è stata un po' tutta una rivoluzione di stanze, diciamo piuttosto per argomenti e gli argomenti che tratto io sono quelli più autonomi e meno assimilabili agli altri e così a me è capitata questa stanza upstairs fantasticherrima e solissima.
non è più un acquario, quindi adesso non incapperò mai più in alcun idiota che entrando mi fissa come fossi ariel immersa in un'azzurrina acqua tropicale.
poi qui non è una zona di passaggio, come il mio paese abruzzese: ci devi venire appositamente, non ci passa una strada dove passa chiunque, e dunque nessun altro idiota per caso ci passerà, se non proprio perché deve parlarmi e lavorare con me. ed in quel caso sarà un viso amico.
io intanto appena entrata ho subito fatto pipì per segnare il  mio territorio e mi sono pure radicata ben bene appendendo un acchiappasogni a forma di cuore verde forte con una campanellina che suona col vento, un regalo magia che mi ha fatto tanto tempo fa la mia amata manu manu.
quindi sto qui. esisto. e vi guardo dall'alto.
a parte un sacco di cose piuttosto grigio-industria, vedo anche altre robe molto interessanti.
per esempio i nostri strani vicini, quindi potrei anche dedicarmi a tempo perso allo spionaggio industriale.
oppure potrei sempre spiarli e vedere se rispettano le misure di sicurezza per i loro dipendenti.
oppure spiandoli potrei avere la conferma che siano dei vampiri, cosa che ho sempre pensato da quando ci ho discusso quattro anni fa.
comunque, le mie spalle sono rivolte a nord e già questo mi fa confluire un'energia pazzesca, poi sempre dietro si ergono dei cipressi bellissimi altissimi verdissimi che fanno da landscape molto bosco (lasciate stare i pensieri cupi sui cimiteri, i cipressi sono alberi di tanta bellezza), poi davanti a me vedo altri alberi dall'alto, che sono tutta un'altra cosa che dal basso, quasi non sembrano manco gli stessi alberi, porca miseria!
due delle pareti sono muri bianchi e non più grigi, vuoi mettere?
le altre due sono vetrate per metà, la metà in basso è muro bianco.
bello, no? io vi dico di sì.
è tutt'un altro punto di vista.
c'è una lucissima forte e decisa, non devo neanche accendere la luce sterile che mi sta sulle scatole e quindi consumo meno energia elettrica ed inquino meno, ho le tende in metallo orientabili per il sole che per ora non funzionano ma presto sì ed io intanto ce l'ho che è meglio che non averle.
ho subito capito queste cose: entrano spifferi come monsoni e ce l'ho all'altezza della mia fragilissima gola, quindi dovrò stare attenta, se tira vento (e prima ce n'era uno che lasciamo stare) mi balla tutta la struttura tanto da sembrare un terremoto..., la pioggia battente è battente proprio ora sulle finestre e fa un rumore molto potente ma fantastico che sembra di stare all'aperto senza bagnarmi un cavolo ed è tutto estremamente romantico da brughiera e sturm und drung.
inoltre faccio molto sopra e sotto e quindi scale in giù e scale in su e scendi e sali, che fa molto bene al fisico da lanciatrice di palline da ping pong a mano quale sono, così magari metto su pure il fisicaccio da pin up e scendo di sotto che pensano che siano arrivati gli alieni.
insomma, sono contenta di questo passaggio evolutivo in salita.
la salita non è sempre e solo salita ma anche un po' meno salita e più discesa.
o no?

bi



["foodscapes" di carl warner]

che va be', mo non è che il panorama sia proprio spiccicato a questo, però diciamo che oggi sono positiva più del solito e lo vedo così.

lunedì 21 maggio 2012

è novembre, vedete? non può che essere novembre.

è novembre, vedete?
non può che essere novembre.
un manto invisibile e grigio ci avvolge e ci appesantisce le ali, mentre una pioggia debole e sempiterna prova a pulire tracce di disumanità.
è che il sangue non si lava solo con l'acqua.
la memoria nemmeno.
non è stato solo un fine settimana, è stata proprio una fine.
la fine di un'estate che si era affacciata timida, la fine di una vita interrotta troppo presto, la fine della spensieratezza di un popolo, la fine della luna in toro, la fine della terra che sembra ferma e invece gira e si sposta e si incazza pure, la fine di giorni di luce e di sole, la fine di un'altra fine.
è tornato un autunno dei sensi.
almeno per chi lo riconosce.
e per chi ha letto anche solo una volta "le dieci regole per il controllo sociale" di quel genio illuminato di noam chomsky.
e se io non ho mai sopportato chi ignora, oggi ancora meno.
una prorompente rabbia e un impercettibile immobilismo mi lasciano attonita e in attesa, mentre per voi non riesco a scegliere parole differenti da queste. 
è palese che il terrore voglia impossessarsi di noi individui, di noi cittadini, di noi carni e corpi.
mentre una lucida e vera verità vorrebbe arderci nel cuore e accenderci l'anima e spalancare gl'occhi.
e allora forse è da qui che possiamo dare inizio a ciò che esiste dopo una fine.
non cediamo al terrore di chi con la tensione vuole controllarci e immobilizzarci e renderci ciechi e sordi e scegliere per conto nostro il nemico da temere e altre merdate simili.
questa attenta strategia serve ad alcuni e ci uccide dentro.
perché mai come oggi vedo chiara e netta quella linea di confine e di esclusione tra un "noi" e un "mondo fuori".
e io il mondo fuori voglio tenerlo molto fuori.
è il ventuno di maggio e l'universo ci sta parlando.
ci dice che questa notte all'una e quarantotto la luna sia entrata nella costellazione dei gemelli e il sole pure.
e si è accesa un'aria nuova, quel folletto alato di mercurio ha iniziato a librarsi e ci porta astratti messaggi, ha inizio un tempo di leggerezza e mutamento, di un ultimo pezzo di primavera, della stagione dei petali e delle farfalle e dei pollini, è tempo di doppiezza, allegria, ironia, infinite forme di comunicazione, concilizione tra testa e cuore, si apre il ciclo della luna delle fragole, quella dei cavalli e del sole, tutto è un invito a muoverci, ad ampliare le conoscenze, allargare i punti di vista, viaggiare dentro e fuori.
tutto vuole essere un tempo nuovo.
tutto vuole che guardiamo il mondo con gli occhi incantati e la spensieratezza di un bambino.
perché quest'ultimo prima o poi ci chiederà spiegazioni.
perché anche quando ti mancano le parole, come a me oggi e me ne scuso, una possibilità altra puoi sempre trovarla.
basta non chiudere gli occhi.
ma ve lo chiedo per favore in ginocchio: non dimenticate neanche per un attimo gli avvenimenti di queste ore appena trascorse. il male sta cercando dei complici.

bi




"allora oz disse: è stato facile
dare un cervello allo spaventapasseri,
un cuore all'uomo di latta

e coraggio al leone codardo,
perché quello che credevano di non avere

in realtà era già dentro di loro,
io li ho solo aiutati a capirlo."


da "il mago di oz" di  l. frank baum

venerdì 18 maggio 2012

non accettare caramelle dagli sconosciuti e non dare loro un passaggio semmai fai un sorriso un po' così e via



sono cose che capitano e questa è capitata a me tempo fa.
però cercate di non prendermi come esempio, perché non si può mai sapere come vadano a finire queste cose qui.
insomma faccio la curva a destra e vedo uno che si sbraccia animatamente sul ciglio della strada e temo quasi mi voglia finire sotto le ruote, lasciandomi poi con la coscienza di una che ammazza gli uomini.
d'istinto mi fermo. e tiro giù il finestrino.
(è una cazzata bi, non si fa! quante volte ti hanno detto che non ti devi fidare? che non puoi sapere chi incontri? e se ti tira fuori un coltello? e se ti deruba? e se ti violenta? e se ti uccide?)
oddio, ecco, mi sono fermata e ho tirato giù il finestrino!
- scusi, è che sono a piedi e mi fanno male le gambe.
non ha mostrato uno sguardo da maniaco o da ladro, posso continuare ad ascoltare. al limite faccio uno scatto felino, lasciando al volo la prima, rigorosamente già infilata, e gli stacco un braccio.
- dovrei arrivare fino alla posta, mi ci porta?
alla posta. dunque, sono circa settecento metri, mi pare, andando dritto e girando a sinistra e percorrendo un tratto di strada in cui c'è vita.
che faccio? dico di no e punto? dico che non ho tempo? dico che non si fanno certe domande a una signorina? ina? dico che chi sei, anzi chi è lei?
- prego, salga.
ecco qua. mi sudano le mani e dico dentro di me che la voce di prima che diceva della cazzata forse avesse ragione.
- è che al giorno d'oggi uno non si fida a concedere un passaggio, con la gentaccia che gira.
mo perché mai mi deve fare questo discorso? sta mettendo le mani avanti così poi se mi vìola può dire sempre quanto me lo avesse fatto capire e quanto io invece non lo avessi afferrato?
- esatto. siamo sfiduciati.
capito? noi siamo sfiduciati, cioè io sto dentro quel noi e sono sfiduciata e tu stai dentro quel voi di cui uno è sfiduciato, siamo intesi?
- lei ha mai abbracciato un albero?
un albero.
se l'ho mai abbracciato.
(bi, chi cavolo è costui? una processionaria?)
- in effetti credo di no. mi ci sono arrampicata, quello sì.
- dovrebbe farlo, abbracciare un albero è una magia bellissima. ha visto dove ha preso me? lì, sulla sinistra, c'è quella specie di giardino con gli abeti. ecco, vada lì, ne abbracci uno. se no abbracci l'albero che più la ispira.
silenzio, mentre io non so veramente cosa dire (che è tutto dire).
arriviamo alla posta, si gira e prima di scendere mi sorride e mi ringrazia:
- grazie, così posso pagare la bolletta. abbracci l'albero, non si scordi. arrivederci.
- grazie a lei... grazie per l'albero...
(grazie per l'albero, bi? che caspita dici?)
bene, cosa ne pensiate poco importa, sta di fatto che questa cosa dell'albero è rimasta per un bel po' di tempo e ogni volta che passavo, e che passo, davanti a quegli abeti io comunque ci penso proprio.
poi un albero l'ho abbracciato, eccome. ma non uno di quelli, perché lì ci passano le macchine, magari pure qualcuno che sa chi sono, e mi è venuto in mente che il mondo non sia pronto a vedere una che abbraccia un albero alle cinque del pomeriggio, senza pensare che sia una pazza.
ho abbracciato una quercia. alta, robusta, verde e rigogliosa.
ed è stata un'esperienza straordinaria.
però sia chiaro: voi non concedete passaggi agli sconosciuti, mi raccomando!
andate direttamente ad abbracciare il vostro albero.

bi

"fin da piccola glielo diceva sempre papà
non prendere caramelle dagli sconosciuti in città
ora è cresciuta e va da loro a farsi il carico
le vendono in sacchetti ma non lavorano all'haribo
fa come la befana senza il sacco
le nasconde nelle calze

se le compra al parco
risparmia i soldi per un nuovo acquisto
non compra il disco di zucchero
ma lo zucchero in disco"


caramelle dagli sconosciuti

mercoledì 16 maggio 2012

a proposito di strada

mora, snella, agile, occhi a mandorla. capelli leggermente tirati in una morbida coda da cavallo, vesti sottili e volatili e gambe strette in leggings neri. ballerine. sorriso di un altrove lontano e caldo.
solleva quella sfera trasparente e piena con delicate dita affusolate e due mani diafane. e lo spettacolo ha inizio.
la palla cristallina le accarezza con una perfezione vitruviana il corpo atletico, attraversa il suo lungo braccio destro come a disegnarle un'ala, scorre dietro all'elegante collo da cigno, raggiunge con ritmo lento il braccio sinistro, mentre la mano la afferra svelta e la fa fluttuare sul petto e lungo il ventre e la lancia all'improvviso nell'altra mano. lei allora lascia libera la sfera e la raccoglie sulla sua fronte ampia ed intelligente, la fa calare lungo il naso dritto e la riafferra con la mano sinistra.
è tutto un vellutato gioco di luci e rotondità, mentre un vivido contrasto tra le carni pulsanti di vita di lei e la piena circolarità morta di quella sfera, che sembra solo riflesso ma forse risplende anche di luce propria, mi penetra negli occhi e mi entra dentro. 
la bellezza della loro vicinanza e quel modo elegante di occupare uno spazio lasciano in dono allo sguardo altrui una visione che va oltre il terreno stare al mondo. 
finché il semaforo torna verde ed è ora di rimettere la prima.
ma non prima di averle sorriso, felice di essere stata lì ad ammirarla incantata in prima fila e di aver potuto contribuire con il mio poco al fascino e alla grazia di quell'arte apparentemente improvvisata.
le ho detto quanto fosse brava e bella insieme alla sua sfera e l'ho ringraziata entusiasta e piena di stupore... e lei gentile ed allegra ha ringraziato me e fatto un inchino e lasciato un po' di luce in quel tramonto già piuttosto scuro e grigio di città.
solo un'artista di strada?
no, a me è sembrata una farfalla.
anzi, un angelo.
sì, lo era.

oggi mi hanno chiesto:
- perché scrivi?
perché l'immaginazione ti salva, ti nutre, ti fa voltare il capo in un'altra direzione e in un altro verso, ti regala un altro occhio, te lo fa donare ad un altro, ti porta in un altro luogo, ti proietta in un tempo altro, ti fa prendere per mano un'altra persona e te la fa portare lì con te.
la scrittura traghetta l'io.
ecco, esattamente ciò che quell'angelo e la sua sfera hanno fatto con me.

bi

"io sono assente ma in fondo a questa assenza
c'è l'attesa di me stesso
e quest'attesa è un'altra forma di presenza
l'attesa del mio ritorno
io vivo in altri oggetti
viaggio dando un po' della mia vita a certi alberi e a certe pietre
che mi hanno aspettato molti anni
si sono stancati di aspettare e si sono seduti
io non sono e sono
sono assente e sono presente in stato d'attesa
essi volevano il mio linguaggio per esprimersi
e io volevo il loro per esprimerli
ecco qui l'equivoco l'atroce equivoco angoscioso penoso
mi addentro in queste piante lasciando i miei abiti
mi stanno per cadere le carni e il mio scheletro si riveste di cortecce
sto diventando albero
quante cose mi sono convertito in altre cose
è doloroso e pieno di tenerezza
potrei gridare ma si spaventerebbe la transustanziazione
bisogna restare in silenzio
aspettare in silenzio"


vicente huidobro



[salvador dalì, allegorie de soie]

martedì 15 maggio 2012

i segreti del diario segreto

avevo otto anni e mi ero presa una specie di cotta per s. r.
(dai su, non è cattiveria né omertà, è che non si fanno i nomi, che lui non lo sapeva mica).
hai cominciato presto, direte voi, ma d'altronde io che avrei dovuto fare: andava bene a scuola il giusto, senza strafare, aveva quegli occhi così azzurri che faceva ripensare alle favole a lieto fine con il principe, quei capelli così dorati da ricordarmi per un attimo le emozioni di candy candy per anthony che poi è morto.
mi faceva imbarazzare e mi accelerava i battiti quel s. r. lì.
un giorno mi ha detto:
- non puntare mai l'indice verso la luna piena o ti verrà una verruca.
e io, che neanche sapevo che roba fossero queste verruche, mai e poi mai ho puntato con il mio indice piuttosto sfrontato la luna piena. pensa te.
avevo già un diario, di quelli da femmina che porta la molletta in testa a fiocco e la gonna, con la copertina lucida e soffice, bianco candido e puro e pieno stracolmo di pagine senza righe, e poi soprattutto chiuso da un lucchetto d'oro!
così potevo scaricare la nevrosi da segreti-d'amore e da per-sempre (cosa che, per inciso, moccia secondo me non ha evidentemente soddisfatto. ma pazienza).
succede che vado in vacanza nel mio paesino di sempre in abruzzo, nella casa superbellissima e gigantesca di zia t.
bene, lì si compiva un giorno sì e un giorno no (questo perché sono una lunatica gemelli) il rito del prendi il diario segreto bianco lucido e morbido con il lucchetto portato da casa mia, cerca la chiave che chi si ricorda dove l'hai nascosta forse talmente bene che manco tu puoi ricordarti dove (sempre perché sei dei gemelli e quindi sbadata), apri il lucchetto che comunque è un po' scamuffo e la chiave un po' così così, non rileggere quello scritto nei giorni precedenti che ci ripensi o magari ne vieni inesorabilmente influenzata nell'umore odierno, alza gli occhi al cielo e pensa a lui che non c'è lì e si trova in vacanza chi sa dove, inforca la penna con la destra stringendola da farla soffocare, china lievemente il capo sul candore della pagina vergine e giù, scrivi:
- b. b. è fidanzata con s. r.
così, d'istinto e impulsivamente.
e poi succede immediatamente che mi pento, perché sì è vero c'è la chiave, ma chi me lo dice che qualcuno non cerchi il mio diario segreto, sapendo che è segreto, e addirittura riesca ad aprirlo e scopra l'insieme in ordine sparso dei miei segreti e soprattutto questo preciso indicibile e soltanto mio segreto?
già allora credevo nelle teorie complottistiche e quindi dietro l'angolo ecco lì che senz'altro sarebbe potuto sbucare un ficcanaso da diari segreti e avrebbe potuto spifferare al mondo intero la mia personalissima verità nascosta su s. r.
e io proprio non potevo permettermelo per la reputazione che avevo e che stavo consolidando con gli studi di grammatica e analisi logica.
afferro la pagina con altrettanto impulso, quello però del c'ho ripensato che è peggio, l'indice e il pollice che la strozzano a morte nel bordo in alto a destra e il sangue che scorre accelerato e mi rende il viso paonazzo dall'imbarazzo.    
la strappo.
la accartoccio.
la butto dalla finestra.
lontano, dove il vento avrebbe saputo dove nasconderla e avrebbe potuto preservare il mio segreto da cervelli indiscreti e così sia.
(sicura che ci fosse il vento? perché invece no).
rientro nella cameretta con soddisfazione, ora il mio segreto era al sicuro, custodito in eterno e nel vento... (questo sempre perché sono dei gemelli e l'aria è aria mica è terra e manco acqua).
ma ecco all'improvviso un vociare forte e disordinato per le scale, sento mio cugino m. salire ansimante su per le due lunghe rampe e raggiungere la stanza più su di tutte, dove io ero alle prese con la piccola scrivania ed i segreti da rinchiavare e rimettere al sicuro.
irrompe come un diavolo nella mia stanza, io nascondo dietro la schiena il mio blindatissimo diario segreto, mentre lui con gli occhi di fuori urla:
- chi è s. r.?
(oddio! che ne sa, chi gliel'ha detto, mica può essere stato il vento, il diario è solo mio, che vuoi tu che sei maschio e mo perché mai le gambe mi tremano e la faccia mi brucia...)
- che ne sai tu? mi spii?
- sei tu che butti dalla finestra i fogli!
- e il vento? potevi lasciar fare al vento invece di impicciarti, no? non è nessuno, non è nessuno!
scoppio in lacrime.
il mio segreto era morto per sempre, non era più segreto, era stato violato per colpa del vento che non aveva saputo soffiare nel momento giusto, era colpa di quel gelosone di mio cugino m. che non aveva fatto finta di niente e basta.
e a quell'età un segreto violato fa male a lungo.

bi

"emmi, mi scriva.
scrivere è come baciare,
solo senza labbra.
scrivere è baciare con la mente.
emmi, emmi, emmi."


da "le ho mai raccontato del vento del nord"
di daniel glattauer 




[immagine tratta da "street art utopia"]

lunedì 14 maggio 2012

il tempo delle mele 2 e quei ritorni che fanno bene perché hanno un sacco di vitamine della gioventù e della spensieratezza




ancora lei: sempre bella e con la pelle di pesca chiara e luminosa, capelli come fili di seta nera lavata e preziosa, frangia che cade dolce appena sopra lo sguardo tenero ed indifeso, disperata q.b. (quanto basta) e alla ricerca di lui.
ti credo, lui è pierre cosso! -o cossò?- mica quel brufoloso del tempo delle mele numero uno pure con gli occhi un po' da pesce lesso che come prima esperienza magari va pure bene.
quindi questa volta vale troppo la pena di sbracciarsi e sgambarsi e sudare sette camicie e pure di più, se è per questo, per andarselo a recuperare!
e siccome è umana pure lei, per correre a quei livelli suda, eccome, e le si lucida anche la pelle di pesca e pare meno fresca di prima e pure la frangetta le si spettina e si sbraccia per lui. lui, che se ne sta per andare via. via.
insomma, comunque è sempre la stessa pappa al pomodoro: lei corre dietro a lui, lei lotta e se lo va a ripescare (magari pure a casa di un'altra, ma va bene, questa sarebbe un'altra storiaccia horror da che schifo e quanto sangue per carità!), lei proprio lei solo lei sa come si fa e quando e dove. e allora prende e corre alla stazione, dove lui ha deciso per la sua di lui dipartita e se ne va via. via.
sì, scappa, diamo un nome vero alle cose! e anche qui il cliché del maschietto (-etto, sì) è rispettato.
ma badate bene: non sto qui a fare la femminista più o meno femminile o post-femminista del terzo millennio o donna che ghettizza e sminuisce la figura dell'uomo: dico un'altra cosa proprio.
dico che (forse) non sia un fatto di genere come vanno questo genere di cose, ma semmai di sensibilità in un modo o nell'altro. laddove in un modo è femminile e nell'altro è maschile.
dico che (sicuramente) in ciascuno di noi ci sia quel fluido rosa che sostanzia la personale parte/sfera/lato/metà femminile, una roba liquida e magica e rosa chiaro, appunto. e poi anche un altro fluido celeste, che fa parte/sfera/lato/metà maschile. in ognuno, non importa il sesso il genere le preferenze e cose di questo tipo. chiaro?
dico che (forse) siano anche questi colori, rosa e celeste, a stimolare ed influenzare decisioni e comportamenti.
quindi, ipoteticamente, esistono anche uomini un po' rosa che si illuminano ed escono sbattendo la porta di casa, per andarsi a riprendere la donna-della-vita, che sta per prendere il suo treno e chi s'è visto s'è visto, o al massimo sentito.
comunque al tempo delle mele numero due è lei, la bellissima sophie marceau, quella che ballava con il brufoloso al numero uno con le cuffie infilate nelle orecchie, che fa tutte queste cose qui innamoratissime e roserrime, per andarsi a riprendere lui, pierre cosso! -o cossò?- e ti credo, mica è il brufoloso, eccetera.
corre e corre come una pazza in mezzo a parigi e manco viene investita, si lancia in salita sulle scale a chiocciola che sono ancora più lunghe di quelle a elle e dritte e spalanca la porta di lui senza trovarlo, senza neanche prendere fiato, e subito scappa alla stazione e cerca il treno per stuttgart che -zac!- compare sul tabellone delle dipartite, si precipita al cospetto del treno e -dando finalmente cenni di stanchezza, ma secondo me stava già pensando "o ci stai, o ciao!"- cerca e ricerca e stracerca lui, spiando veloce tra i finestrini...
intanto lui: tutto bello e pettinato e con il suo impermeabilino da ragazzo perbene si è trovato lentamente il suo vagone, sistema tutto preciso e caruccio il suo borsone color cachi -che non è arancione, si badi bene-, si gira verso la telecamera mostrando i suoi occhi azzurri come tutti i laghi i mari e i fiumi più puliti e -tac!- la vede!
vede lei, che sta là solo per lui e scorre tutti i finestrini di quel lungo treno, perché vuole solo riportarselo via da quel posto che li sta per dividere.
la chiama. lei si gira e si blocca.
attimi che sembrano anni luce connettono le loro menti e i loro cuori rosa (sì, dai, qui il celeste proprio non ce lo vedo). e finalmente lui scende! così, al volo, senza usare il cervello (che meno male, se no ragionerebbe celeste e addio) lascia quel maledetto treno della separazione-per-sempre e si lancia saltando i gradini verso la sua-ormai-per-sempre lei! e la bacia...

sì, occhei, ma il borsone cachi???
mah, si vede che è solo un film.

bi

ps: se non ci credete e non vi sembra vero e magari vi puzza, vi sbatto davanti agli occhi il video: è tutto vero e sacrosanto e sacro e santo. giuro.

un altro ps: perché a marzo c'era un post del tempo delle mele uno, non è che me ne esco così e basta.





 [immagine tratta da hub09 social design]

giovedì 10 maggio 2012

"transiti di venere"

si spengono le luci e non si apre il sipario, perché sipario non c'è.
ci calano nel buio e si spegne quel vociare che faceva da sottofondo, mentre cominciamo incerte a girare lo sguardo su noi stesse, prima a destra, poi a sinistra, e perdiamo l'orientamento per un po'.
poi ecco che cominciano ad accendersi stelle e pianeti tutt'intorno a noi: a destra, sinistra, sopra, dietro... ci corrono incontro con la velocità del tempo e attraversano uno spazio con noi condiviso.
è la poesia dell'universo, è l'universo che ci parla.
tutto si succede in pochi minuti, come in un cortometraggio in cui non ci sono solo immagini proiettate su due dimensioni: c'è qualcosa di diverso, di più, un'altra dimensione percepita, ma forse neanche soltanto una.
tutto lo spazio è reso movimento e suono e metafora di un luogo che raccoglie ed emana energia, quell'energia che tocchi ma non tocchi, che sta lì, la senti, ed intanto si susseguono attori su un palcoscenico ampio e aperto verso di noi.
una ragazza in vesti romantiche e fiorate si rincorre con un agile tennista, si raggiungono l'un l'altro solo sfiorandosi, senza mai toccarsi, come una pallina da tennis e una racchetta sanno fare: attraverso l'energia dei quanti. forse simulano l'amore secondo come gli uomini sanno viverlo, perché in fondo l'amore ti guarda, ti ruota intorno, ti avvolge, ti sfiora, ma non ti raggiunge mai, forse.
poi due corpi nudi e luminosi si ergono in tutto il loro candore: senza sesso, senza desiderio, solo con la luce che li accende e li spoglia del giudizio della società.
entra un giocatore di pallacanestro e si ferma di fronte a noi: gigante e robusto come una quercia secolare, emula cristo nel momento del trapasso, con una corona di spine infilzata nella testa: muore come in croce, per noi che siamo lì.
a seguire la poesia di thomas eliot, recitata delicatamente e con rotacismo da fausto bertinotti, ci accompagna nella visione di luci polverose che precipano a cascata e sembrano colonne che scendono dal cielo, fasci di luce non terrestri né terrene, accompagnate da musiche melodrammatiche di rossini.
e il regista, che raccoglie una palla e la rinvia verso di noi.
avvertiamo forte la metafora della catastrofe, di quel destino che ti insegue inesorabile, del desiderio di conoscere il senso di te stesso al mondo e della tua stessa vita, della volontà che batte il ritmo delle tue scelte, del viaggio della tua vita sospesa tra due coordinate: lo spazio e il tempo, mai uguali, mai gli stessi, sempre misticamente incrociati e liquidi e per sempre tuoi.
tutto in quel posto è un'evocazione forte del transito di venere, quel fenomeno astronomico rarissimo che si ripete a distanza di cicli di tempo irregolari e decisi dall'universo, così difficile da prevedere e, soprattutto, da vivere. venere attraversa il sole, danza sinuosamente al suo cospetto con amore e seduzione, mentre la terra, noi, restiamo lì a guardare.
ma solo se siamo fortunati, poiché bastano poche nuvole per perdere quella danza per sempre e non poterla mai più osservare.
si riaccendono forti le luci, lo spettacolo è finito e ci giriamo per andar via, mentre tre palline da ping pong ci raggiungono i piedi: rotonde, perfette, bianche. solo a noi, intendo. a nessun altro.
le raccogliamo, ci guardiamo occhi sgranati negli occhi, incredule e pronte a domandarci come mai, come mai lì, come mai in quell'istante, come mai solo a noi tre.
le raccogliamo e le facciamo nostre. e sono nostre per sempre, senza contare quanto duri questo per sempre.
il sei giugno duemiladodici si compierà il transito di venere sulla terra.
l'ultimo fu l'otto giugno del duemilaquattro.
quello prima il sei dicembre milleottocentottantadue.
siamo fortunati.
lo saremo ancor di più se non ci saranno nuvole ad impedirci di godere della sublimazione di quella danza.

bi

dedicato alle mie fedina ed ali, due splendide anime con le quali condivido la pallina da ping pong.
rotonda, perfetta, bianca, venusiana.

  

mercoledì 9 maggio 2012

c'era una volta la papaya

c'era una volta la papaya.
allora, io non è che qui possa fare pubblicità o spubblicità, sì insomma contro-pubblicità, però questa ve la voglio raccontare, perché magari è utile e pure perché magari per un attimo ci distraiamo e non pensiamo al fatto che proprio oggi nel millenovecentosettantotto è morto ammazzato peppino impastato e la democrazia cristiana si fa chiamare ancora democrazia e pure cristiana.
e quindi, c'era una volta la papaya.
- chi ha detto che le cose naturali fanno tutte bene?
dice sovente la mia amica delle insalate e del gelato fico.
- lo sai che anche la cicuta è un'erba, eh?
sembra che mi aspetti ogni volta in riva al fiume e mi veda passare e nuotare spasmodica e gridare:
- ti supplico, aiutami! avevi ragione tu, avevo torto marcio io!
- urlami che le cose naturali non fanno tutte bene e la finiamo qui!
sta di fatto che questa papaya, una roba naturalissima perché è un frutto, è osannata da tutti in tutto il mondo, tanto da fare veri miracoli e tale da fornire un supporto incredibile di energia vitale e vigore e vita.
prendi una tipo me, che si sveglia la mattina che non le si alzano le palpebre, che si aggira come un piccolo zombie silenzioso per casa, che mangia muta e sorda e cieca, che gli unici rumori che genera sono quelli della roba che le cade irrimediabilmente dalle mani, che guarda male chi ella altrui saluta per scoraggiare possibili scambi che lei non è in grado di avere, che dopo mezzodì diventa di contro logorroica e sorridente che pare un'altra e parte dall'orlando furioso per dirti il perché sia stanca...
una così, che ha la pressione bassa dodici mesi l'anno, d'inverno dorme mille ore al mese, d'estate non si regge dritta per il caldo e cammina con la mano destra sulla fronte, in autunno le girano perché sta per tornare il buio dell'inverno e, orbene, in primavera si guarda allo specchio per capire chi sia e come mai.
dunque, la papaya.
migliora la digestione dei brontosauri ripassati in padella con il peperoncino che mangio, è straricca di vitamina C più dei kiwi che mi piacciono poco e sono pure un po' pelosi e un po' così, contiene una squadra invincibile di antiossidanti che a trentasette anni te li devi fare amici e basta, favorisce il microcircolo visto che si è fatta una certa, è ricca di minerali amichetti delle ossa e nemici dell'osteoporosi che dopodomani eccola lì che sta in agguato dietro l'angolo e mi si spezza un femore, e facciamo che basti.
occhei, mi compro le bustine, che sono più pratiche, che non si sbucciano e si sciolgono nell'acqua e me le bevo tappandomi il naso, così se dovessero puzzare o dovessero esser amare, non dovrei sentire né il sapore né l'odore, che hanno pure la scatola che sa già lei stessa di vitamina C e quindi, in preda al mio solito entusiasmo dei primi due giorni, inizio il doping alla papaya.
comincia una trasformazione cibernetica pazzesca.
già solo alla terza bustina divento una iperattiva accaventiquattro, faccio cose ancora più velocemente di quando non sono bradipo, giro con i capelli dritti e gli occhiali da vista inclinati di venti gradi, sgrano gli occhi con le pupille dilatate e l'iride più verde che nocciola, telefono a tutt'andata alle mie amiche e vomito parole su parole che poverette loro, la sera sono iperattiva al limite dell'epilessia e ho voglia di uscire e giocare a carte e cenare fuori e andare in giro e amen.
(cioè, io).
mi sveglio in piena notte come fossi emozionata manco dovessi partire in vacanza la mattina successiva, leggo in due giorni un romanzo romantico per adolescenti che strillano di cinquecento pagine, ho dieci bruchi che si stanno per trasformare in venti farfalle dentro lo stomaco di notte e di giorno anche e mi sa che tutto questo si chiami ansia, non farfalle.
c'era una volta la papaya.
c'era perché è durata quattro giorni e poi al quinto è morta: fosse mai la papaya che mi rende così ansiogena?
questa favola è stata scritta cosicché io mi rassegni al fatto che: a) roberta ogni tanto abbia ragione, b) leggere attentamente le avvertenze non è una frase fatta che tanto odio ma magari fallo!, cioè leggi attentamente le avvertenze, c) naturale non è sempre compatibile con me e comunque le piante carnivore esistono eccome e i veleni pure, d) varie ed eventuali ma comunque con parsimonia.
ma se volete provare la papaya, fatelo e ditemi che esperienze allucinogene vi ha regalato.
ah, e comunque: regalo fantastica scatola di papaya, come nuova, arancio metallizzata, pochissimi chilometri, sempre garage al buio, lettore emmepitre, sedili in pelle umana: la mia.

bi



[no, non sono fragole: in realtà sono cuori.]

martedì 8 maggio 2012

l'otto maggio



un po' è anche una questione di ruoli, il legame tra mamma e figlia.
un giorno ho sognato che non ci fosse più: ero in un giardino, vagavo smarrita e senza terra sotto i piedi, mi mancava l'aria, ero sorda e sbandata e un fiume di lacrime mi solcava il viso. per sempre.
mi sono risvegliata con il cuscino zuppo. e il per sempre è svanito e basta.
ho assaggiato il sapore della mancanza e mi ha fatto schifo.
mia mamma pure lo ha assaggiato e ne porta ancora le bruciature sulla lingua.
lei non ha quasi mai avuto un papà, morto di cancro ancora giovane, che la lasciò così a nove anni. e non lasciò solo lei.
così, la lasciò e basta, questo dice lei.
perché dice che tu ti senta lasciato, non è che pensi che la vita te lo abbia tolto, perché funziona così e prima o poi succede più o meno a tutti in un modo o nell'altro e così è.
pensi che se ne sia andato e questo qualcosa sa di abbandono.
dice che non si ricorda tanto bene di averlo chiamato papà e di essersi sentita rispondere.
lui lavorava molto per mantenere la sua famiglia piena di figli e c'era già poco: erano gli anni dopo la guerra e c'era tanta fame e povertà e mia nonna era una donna che poco aveva e quel poco lo condivideva con gli altri, anziché tenerlo tutto per sé e per i suoi figli, quindi in casa nostra ci mangiava tanta brava gente, poco, ma ci mangiavano in tanti, come oggi sarebbe difficile.
comunque lei proprio se lo ricorda poco.
eppure c'è una parte di se stessa che parla di lui: attraverso i racconti delle sue sorelle e di suo fratello maggiori, di sua madre che è stata anche padre, di chi suo padre l'ha ringraziato e di chi l'ha aiutato, di chi lo guardava solo da lontano perché si sentiva intimorito da quegli occhi scuri e selvaggi, di chi osservava quella bella casa piena di musica nelle giornate di primavera e di chi lì ci ballava, appena dentro a quel cancello di un verde acceso che porta tuttora le sue iniziali: D.P.
mia mamma è una figlia che si è sentita sola nei momenti importanti, quelli in cui un padre ti prende sotto braccio e ti accompagna e ti dice che sei bella e pure brava.
quando arriva il momento di farle un regalo, penso sempre che vorrei donarle il mio di padre. anche se è suo marito. vorrei che lei lo chiamasse papà una volta sola, che si sentisse dire "dimmi", che si sentisse presa per mano stretta e con determinazione, che si sentisse guardata come solo un padre sa fare.
e soprattutto vorrei ringraziarla. perché mio padre l'ha scelto lei per me e per mia sorella e l'ha scelto bene e ha fatto sì che ci restasse accanto, lottando molto e ogni giorno per un'unione difficile da tener salda anche per i più capaci.
vorrei che giusto per un po' mia mamma non si sentisse più sorda al suo orecchio sinistro, quello del cuore, quello che un giorno si è stancato di sforzarsi di ascoltare qualcosa che non riusciva proprio a sentire.
ti dico: mamma, non ascoltare più con l'orecchio sbagliato.
esiste un altro canale, uno molto più potente, più vero, più efficace, più forte, più infinito del finito.
è il cuore ed è lì che si ritrovano tutti coloro che si sono divisi o che la vita ha temporaneamente separato.
parla al tuo cuore, accarezzalo ogni giorno, usa la tua mente che tutto può, è solo che sa poco come si fa. ma è solo una questione di allenamento.
preparagli il tuo ciambellone, al tuo cuore, accendigli quella luce e non lasciarlo più al buio.
e lì toccherai di nuovo le tue radici fangose e che odorano di terra e riabbraccerai lui.
e un'altra bambina nel suo troverà sua madre, un'altra ancora anche e così via.
mia mamma è mamma da tanto e si sente meno figlia e questo è importante.
c'è ancora una parte di sé un po' figlia, come resta a tutti, ma l'altra la tiene occupata.
una mamma deve badare alle sue figlie e una donna a suo marito e lei è bravissima a fare sia la mamma che la moglie.
un giorno qualsiasi bambina magari sarà mamma, o potrà diventare mamma di un'amica e sentirsi anche un po' figlia di un'altra...
niente è inflessibile e niente è inesorabilmente così, ma può diventare abilmente colà.
è l'otto la festa della mamma. e tutti gli altri trecentosessantaquattro giorni pure.

bi

lunedì 7 maggio 2012

dire, fare, baciare

ché - diciamocelo - lettere e testamento chi le sceglieva?
dire era pericolissimo, almeno se fosse toccato ad una tipo me.
come quando una volta durante l'ora di religione dibattevamo sulle cose importanti della vita - e secondo me era soltanto un modo del nostro professore di cercare di capire chi di noi fosse un anarco-insurrezionalista pericoloso o no, o chi fosse uno tipo un attentatore, e su di me il dubbio lo attanaglia tuttora, ne sono sicura, perché ricordo come mi guardasse con terrore.
ad un certo punto, mi sono alzata in piedi, con tutto il fervore che conosce solo chi mi ha visto parlare delle cose della vita, manco fosse l'ultima occasione che avessi per parlare, e girandomi verso il malcapitato di turno, dito indice alto verso il cielo, ho gridato:
- perché se non esistesse dio, non esistesse niente!
silenzio.
io rossa, paonazza, cianotica.
il professore allibito, sudore sulla fronte.
due congiuntivi insieme, mica le mie grida, due congiuntivi insieme non si possono proprio ascoltare, senza provare quello stesso brivido che ti dà il gessetto pigiato a morte sulla lavagna, oppure due forchette che si incastrano inesorabilmente tra loro, o anche qualcosa di ferroso e appuntito che riga il vetro...
due congiuntivi sono un dire che resta nella storia, che nessuno dimentica, che ti segnano per sempre e per sempre non ti sbaglierai mai più usando due condizionali, capito?
ad ogni modo, ecco il pericolo che si cela dietro quelle quattro letterine: il rischio che ti possa capitare una come me, ecco.
poi non parliamo del fare.
sempre se ti capita una come me.
oh, parlo di me perché non sarebbe carino (s)parlare di qualcun altro. e poi in effetti ne avrei di cose comiche da raccontarvi della mia vita. è che sono da sempre un po' così...
vi dico dell'aneddoto dell'ora di matematica.
che lì per lì è stato un dramma, altroché, consumatosi più o meno a fine primo quadrimestre.
tutti impegnati in un rognosissimo compito di studio di funzioni e cose complicatissime di questo genere.
il nostro professore era uno un bel po' ortodosso, laureato in fisica, uno di quelli che o la matematica nasci e la capisci, oppure sei un perdente a vita, che neanche è degno di sedere al secondo banco, ma solo in fondo alla stanza e pure senza luce e senza via d'uscita.
però era bravo nel sapere e però non era chiaramente amato.
insomma, io scrivo robe in brutta, svolgo un bel po' di esercizi, eccetera, e sento che a giovanni serviva di copiare.
dal mio timido primo banco, gli rispondo che ecco, stavo per finire, così gli avrei passato un po' tutto e speriamo bene.
così finisco e controllo il professore: era girato di spalle in fondo sulla sinistra, immerso nei suoi pensieri pitagorico-cartesiani, con lo sguardo perso in un orizzonte infinito per noi gente comune totalmente incomprensibile.
cioè non si sarebbe potuto proprio girare uno così, chiaro?
prendo quello straccio di brutta con la mano sinistra e lo passo dietro a giovanni. però non da sotto il banco, come farebbe uno normale, tipo. ma disegno con il mio braccio sinistro un cerchio perfetto che manco col compasso, partendo dal banco mio fino a raggiungere il banco suo, di giovanni... un cerchio di una bellezza straordinaria, se lo si immagina fatto soltanto con il braccio che sposta energia per l'aria!
si gira. quello che non si sarebbe mai potuto e dovuto girare, no?
si gira. e mi becca. e strilla.
- bussolotti!!! (con un sacco di i finali da togliergli il fiato in gola), che caspita stai facendo!!! (con un sacco di o finali da farsi venire un infarto secco).
- no, niente.
che risposta è niente se stai passando il tuo compito di matematica, oh barbara, oh santi lumi?
- dammi il foglio che ti metto due a penna sul registro!!!
e due fu. a fine primo quadrimestre. che fa media e fa che tiri giù tutti i santi del paradiso.
ma sono cose che capitano, se non sei furba e io proprio non lo ero, mi pare evididente.
ed infine c'era baciare.
be', che dirvi, baciare parla da solo ed era la cosa più fica del mondo!
potevi: a) baciare quello che ti piaceva con piena autorizzazione e senza passare per il via, b) baciare quello che mai e poi mai ti avrebbe baciato da solo prendendo egli stesso l'iniziativa senza costrizione, c) baciare con o senza lingua, che importa, intanto gli davi un bacio e chi si è visto si è visto.
potevi baciarne pure più di uno, più di due e fare la media o la moda o la mediana dei baci... e pure stabilire chi fosse il miglior baciatore e quello così così e quello ciofega.
comunque, lettere e testamento non se le filava proprio nessuno, e ti credo: erano inutili, fuorvianti e pure una bella perdita di tempo.
facevano prima ad inventare dire, fare, baciare e basta.
occhei, tra il dire il fare e il baciare si è fatta una certa.
poi magari un'altra volta vi potrei raccontare di nomi, cose, città e animali, poi vedo come mi gira.

bi    

venerdì 4 maggio 2012

vadetecum, che al vademecum ci penso io

senza proprio fare un elenco a numeri, che sembrano tipo una cosa un po' nazista, però un vadesecum ognuno se lo può scrivere, o no?
perché io scrivo il vademecum, tu scrivi il vadetecum, ella scrive il vadesecum... chiaro? (va bene, pure egli).
tutto è relativo, cioè per lo meno dovrebbe esserlo, ma è meglio che non faccia troppo la schizzinosa, come al mio solito, e veda il bicchiere colorato (che deve essere per forza mezzo pieno come dice il detto? per me deve essere colorato e colorato sia).
sarebbe carino, poi, se io scrivessi questo vademecum qui e voi rispondeste, a vostro piacimento, con un vadevobiscum, anche di poche battute... così facciamo una somma di vadetecum, eccetera... tanto avete capito meglio di come io mi sia spiegata.
allora ciao, io vado con il mecum.





- sia chiaro che il mio vademecum vale per oggi poi domani si vedrà
- lo pubblico perché mi servono dei testimoni del fatto che per un po' sia esistito
- non farò più otto cose insieme cosicché eviterò che si annientino l'una con l'altra
- mi rassegno definitivamente al fatto che le mie mani non siano fatte di carne ed ossa ma di aria
- quindi di conseguenza può essere che nella vita precedente io sia stata una regina di cuori con anche un testone gigantesco e le mie mani se lo ricordino anche se io no
- se faccio da me faccio meno e quindi è meglio che continui a chiedere aiuto
- dirò le parolacce soltanto nei giorni dispari e in quelli pari no
- guarderò i tiggì e leggerò i quotidiani on-line soltanto una volta a settimana per rispettare il vademecum di cui al punto precedente
- inviterò a cena il mio lato oscuro e antipaticissimo una volta al mese nel giorno di luna piena per vedere se è anche lupo mannaro e gli darò dell'aglio per vedere se muore come un vampiro
- ciberò con nutella docg la mia parte bambina tutti i giorni che è sano e giusto
- e quindi farò del moto a luogo per smaltirla almeno tre volte a settimana
- gestirò con astuzia e ironia l'ansia da prestazione per queste cose difficilissime da rispettare
- mi farò una ragione del fatto che adamo sia stato creato prima di eva e secondo me comunque è una bugia o comunque una favola maschilista come cenerentola
- non sognerò più le cose inquietanti di questa notte che mi sono svegliata spaventata e con un essere che mi osservava faccia a faccia e io non vedevo la sua faccia ma lui la mia mi sa di sì
- scaverò dentro di me e quello che troverò lo laverò con prodotti naturali che rispettino l'ambiente e quelli che mi amano e quelli che non mi amano pure
- leggerò poesie a voce alta e cercando di godermene la bellezza che è salvezza (eh sì)
- mi arrampicherò su un albero ogni volta che andrò in abruzzo e se non tornerò sarà forse perché sarò caduta
- crederò solo a quello che i media non dicono che è l'unica cosa vera e ho sete di verità (voi no?)
- mangerò cornetti solo il sabato e la domenica ma sempre con la crema ché non ho mica ammazzato qualcuno
- lavorerò con piacere lavorerò con piacere lavorerò con piacere lavorerò con piacere che scrivendolo quattro volte forse lo rispetto forse no (boh)
- farò perdere ogni tanto la memoria alla mia pelle che pare non si scordi proprio di niente che come fa non lo so (eppure è mia)
- mi convincerò che l'anima gemella sono io di me stessa che sono proprio dei gemelli in effetti quindi è così (capito, bi?)
- non farò mai finta di vivere in un paese normale e dico mai e punto e sto
- indosserò tutti i giorni la faccia migliore che ho e la sera la riporrò nell'armadio a testa in giù con il profuma armadi alla lavanda
- penserò cose belle e che mi porteranno lontano senza correre e avere fretta e sorridendo sempre e lavandomi i denti quindi tre o quattro volte al dì
- se non rispetterò qualche punto del mio vademecum non farà niente e starò bene lo stesso e voi pure col vostro vadevobiscum fate uguale che è importante perdonarsi tutte le marachelle e debolezze
- vi ringrazierò ancora e sempre per la dedizione e il coraggio che avete nel leggere le pazzie che scrivo
- e se un giorno scriverò un libro magari sarà gratis perché mica posso pure farvelo pagare (direi)
- vi regalo il mio miglior sorriso dal mio profilo più affascinante e vi auguro che splenda il sole fuori e dentro e ciao

bi

giovedì 3 maggio 2012

Lola & co.

la combriccola si aggira da diversi anni intorno alla casa di fronte alla nostra, quella grande e un po' giallina e con il cancello verde con delle grandi iniziali.
sono una bella famigliola, un po' mista, perché uno di loro ha il pelo corto, mentre le altre ce l'hanno piuttosto lungo, ma comunque sono quasi tutti a tinta unita e nessuno è troppo colorato tipo noi tre.



ho capito che arrivano quando la neve si è già sciolta e rivanno via prima che cada di nuovo, anche se ogni tanto fanno un salto e tornano qui per qualche giorno.
una mattina mi sono trovata catapultata proprio lì, nel loro zerbino davanti alla porta in cima alle scale.
mia mamma mi aveva preso su per il collo con grande amore e destrezza e mi aveva portato via con sé dal nostro nascondiglio segreto, dicendomi:
- non ci dovremo nascondere per sempre. la notte la trascorreremo qui, ma di giorno di casa ne abbiamo un'altra. una bella, accogliente, spaziosa, verde...
ed io in quel momento ne ero felice, ecco!
però trovarmi così all'improvviso lì davanti mi aveva fatto un certo effetto.
e poi mi vergognavo pure: avevo il pelo nero opaco e arruffato, un occhio incollato dal muco, la codina ancora spelacchiata... insomma, non ero bella e pettinata e lucida come la mia mamma, capito?
che figuraccia ci stavo facendo lì davanti a loro due della casa giallina, che mi vedevano per la prima volta?
va bene, comunque ad un tratto sono uscite entrambe, carine tanto, ma tipo impazzite...
hanno cominciato a strillettare smancerie, portandosi le mani sulla bocca, sgranando gli occhi nocciola, quasi come fossero preda di una crisi di panico!
- occhei, no panico. sono una gattina, capito? mica sono un brontosauro!
ho detto loro, strillettando anch'io.



che poi ero pure nata da poco e non avevo mica intenzione di farmi toccare da quelle loro mani senza cuscinetti... e se mi avessero fatto male? i cuscinetti fanno da cuscinetto e loro senza cuscinetti non mi avrebbero toccato con delicatezza. no? cioè, come potevo saperlo in quel momento?
loro questa cosa l'hanno capita subito e l'hanno sempre rispettata molto e continuano a rispettarla anche ora che ormai sono cresciuta e pure autonoma.
perché quando non mi va di essere toccata, non mi va e basta, senza perché e come mai.
ho altro da fare e a cui pensare e a cui badare, ecco.
la mia mamma dice che loro sono un sacco buoni e che ci riempiono le ciotole due volte al giorno di robe buonissime ed è proprio così, sì.



sono proprio gentili e premurosi e non ci sgridano mai e ci lasciano la porta di casa aperta e noi possiamo vedere dentro che girano di qua e di là e anche dalla finestra mentre giocano con l'acqua del lavandino della cucina e usano le pentole e vediamo anche che hanno dei tappeti morbidi proprio ma noi per rispetto non entriamo se non affacciandoci con pochi passi e giusto così.



e loro comunque ci lasciano tutto l'orto, pieno di erba alta dove io posso nascondermi e cercare le farfalle da rincorrere, dove posso allenarmi a salire fino in cima agli alberi, dove ci sono un sacco di profumi e pure tanti uccellini.






poi ognuna di noi ha la propria ciotola, senza nome perché non serve, ma ognuna sa dove deve mangiare e facciamo così: chi prima finisce, mangia nella ciotola dell'altra.
tanto siamo io, mia mamma e mia sorella senza nome.
senza nome perché dicono che non lo hanno mai saputo scegliere, anche se ogni tanto la chiamano Nerina, mentre mia mamma la chiamano Micia, e allora la chiamo Micia ogni tanto pure io, e io sono invece Lola e voglio che tutti mi chiamino così e basta.
sabato è successo un'altra volta: una di loro mi ha preso tra le sue braccia, riempito di carezze, ricoperto di massaggi, viziato di coccole e parole sdolcinate eccetera.
lei lo sa che a volte io invece non voglio, ma mica perché io sia attaccata morbosamente al cibo e basta, o perché mi conviene in questo modo, o queste cose così che fanno gli uomini che hanno solo due piedi.
è diverso, è che a volte ho da fare proprio, devo guardarmi intorno, ascoltare il tempo che mi parla, imparare a difendermi, cavarmela da sola, giocare, capito?


lei e loro comunque sembrano non restarci male, ci rispettano sempre per i nostri momenti e umori e lo sanno che abbiamo da fare queste cose.
e allora io la ringrazio, ringrazio tutti lì a nome di noi tre.
che mi fanno sempre sentire una gatta amata, rispettata, considerata e desiderata.
e non mi lasceranno mai.


[immagini tratte da "simon's cat"]

dedico queste righe alle gatte che ci hanno scelto e che rallegrano le nostre giornate montanare. e che ci insegnano cosa significhi amarsi in libertà e senza egoismi di sorta.

bi
 

mercoledì 2 maggio 2012

e così, senza neanche fare di conto, arriva pure maggio




e così, senza neanche fare di conto, arriva pure maggio.
non che questa sembri proprio una riflessione profonda in sé, a parole intendo, ma in realtà lo è eccome, lo giuro.
giuro che fino a ieri mi alzavo senza voci, né suoni di sveglie moleste e invadenti, né rumori di macchine, ma solo uccellini e al massimo un vociare tiepido e lontano. e nient'altro.
giuro che mi alzavo felice, aprivo tutte le finestre ma proprio tutte, le spalancavo al sole e a quell'aria pura, mi infilavo al volo una felpa, senza neanche passare davanti ad uno specchio per errore, e andavo in piazza in pigiama per il mio bicchierone di caffellatte e il cornetto pieno di crema gialla molto gialla (sarà per via delle uova più uova, sì).
giuro che parlavo pure, cosa rara per me di prima mattina in pigiama, e sorridevo anche tanto e spesso e senza pensarci su, e sapevano tutti che stessi in pigiama.
giuro che tornavo a casa, mi infilavo velocemente due cosette, le mie fantastiche scarpe da montagna nuove di natale, la musica inzeppata nelle orecchie e me ne andavo un paio d'orette in giro in mezzo alle montagne che mi conoscono da tempo.
no, non è pericoloso. lo è molto di più stare in città, respirare raffinate schifezze grigie, avere costantemente la macchina sotto le natiche, leggere i quotidiani, dover parlare con gente sbagliata. eccetera.
e poi non sono mai stata sola in quelle due ore.
ho sempre incontrato giuseppe che tornava dalla mainuccia, dove era stato a raccogliere funghi e un'altra cosa che non mi ricordo. lui scendeva, io salivo.
ho sempre incontrato i cavalli liberi di alessandro, su per il colle e nel campo: una distesa di grigi, morelli, sauri, tutti alle prese con un'erba squisita e un sacco di verde da spiluccare, con cinque nuovi puledrini appena nati in questi giorni, tutti distesi al sole a dormire appena poco distanti dagli zoccoli delle loro panciute mamme.
è tempo di nascite, sì. di inizi, di nuovo, di prime vere primavere.
ho trovato un sacco di cambiamenti, in effetti.
molto più verde, più chiaro, alberi in lontananza in cima alla montagna che prima erano grigi e ora violacei, un fango meno melmoso e meno marrone e meno fango, fiori dappertutto di tutti i colori e anche di colori che manco ti viene da pensare che esistano, forti ronzii di enormi calabroni a righe gialli e neri, api e vespe ad acchiapparsi per l'orto, uno scorpioncino nero lucido e fiero sul muro, una luce folgorante dentro casa, il letto meno freddo, il paese che si sta risvegliando dalle fatiche invernali.
poi micia incinta è ancora più incinta e con una pancia che non le consente le agilità dell'inverno, quando pure doveva correre e saltare per scaldarsi e sfuggire al ghiaccio sotto i suoi teneri cuscinetti.
tra l'altro l'orto è ancora più orto, pieno di fiori viola alti e fieri, altri rosa piccoli e tanti tutt'attaccati, altri bianchi sopra gli alberi da frutta, un sacco di soffioni paffuti e bianchi e leggeri, erba alta molto alta dove lola si nasconde e gioca a fare la pantera...
poi c'è la differenziata. che funziona e bene pure.
cioè ci sono poco più di trecento residenti e tutti che si adoperano per differenziare i rifiuti.
in mezzo alle montagne, capito?
che quasi non te lo aspetti, perché pensi che una grande città sia più pronta, visto che si sente città, mica paese.
e invece no. io in città vedo lo schifo, perché i cittadini buttano le buste dell'immondizia a terra e senza pensarci due volte se il secchione è pieno, perché mica se la tengono dentro casa: è monnezza!
in paese invece i paesani, giustappunto, differenziano e si differenziano dagli incivili civilizzati-solo-nelle-vesti.
domenica tutto il paese ha pulito cantine e prati e boschi e fontane e vie... insomma, c'è stata l'ormai decennale giornata ecologica. capito come?
cose che dovremmo imparare, noi cittadini indifferenziati delle città, e farle soprattutto, ché i nostri rifiuti sono uguali a quelli dei paesi. uguali.
con l'unica differenza della dimensione dei topi: i nostri sono geneticamente modificati. e dicono pure le parolacce.
su e giù con i trattori, a raccogliere, a pulire, a differenziare nei giganteschi cassoni del comune, pieni di polvere dalla testa ai piedi, baciati dal sole, assistiti da monte velino che veglia e protegge sempre, tutti sorridenti, canticchiando, prendendo botte sul sedere e sulla schiena nei rimorchi dei trattori, stanchi, affamati e tanto, tanto soddisfatti.
abbiamo pulito tutto, o quasi, e c'ero anch'io e mi sono sentita utile e ho capito che l'utile dovrebbe diventare indispensabile e non lascerò mai più un sacco dell'immondizia per terra se troverò i secchioni pieni!
me la riporterò a casa, perché comunque è mia e il marciapiede invece non è solo mio.
poi ieri ho visto l'asinello appena nato di luca e anche tutti i suoi cavalli e i puledrini appena nati anche loro.
ve l'ho detto, è tempo di nascite e loro nascono bene e dritti e pieni di voglia di fare e saltellare e bere latte attaccati alle mammelle piene di vita delle loro mamme.
in questi giorni ho dimenticato proprio che giorno fosse, la data, sì, ma il giorno pure.
avevo dimenticato anche di radica.menti, perché lì mi radico senza scrivere, già solo respirando.
comunque poi questa mattina siete stati uno dei miei primi pensieri un po' più spensierati di altri.
e così è arrivato pure maggio.
e un pizzico di consapevolezza in più.
  
bi