venerdì 22 febbraio 2013

io scelgo la neve






siccome è febbraio, io scelgo la neve.
per svegliarmi e sentire il silenzio che alleggerisce le strade.
per aprire le finestre e ascoltare quel bianco che sussurra appena nello scricchiolio della neve sotto le scarpe.
siccome è febbraio, mi vesto pesante.
mi metto una maglia a maniche lunghe, una dolcevita di lana e poi sopra ancora un altro maglione.
e sciarpa e cappello, pure.
poi prendo ed esco.
a piedi, ché voglio scricchiolare silenziosa anch’io.
incontro la mia macchina tutta coperta di bianco e le disegno un sorriso sopra al vetro fatto con l’indice.
è felice, sì, perché si riposa e si gode il bianco pure lei.
vado in metro, allora.
ma prima resto un attimo incantata davanti al laghetto.
siccome è febbraio, è più freddo e più scuro, lo vedo.
eppure intorno la neve lo schiarisce tutto e fa sentire meno la mancanza dei fiori.
la metro è strapiena e le persone si accendono di risate e leggerezze.
pure loro come me hanno scelto di uscire a piedi.
e la neve, hanno scelto anche loro la neve.
di godersela, dico, e di toccarla e di farla scricchiolare sotto i piedi.
mi prende la mano e, stringendola, me la scalda.
lo sento il suo amore per me, lo sento forte.
siccome è febbraio, lo bacio e credo di trovare le sue labbra gelide come le guance.
sono bollenti.
- portami allo zodiaco, amore.
e mi ci porta a piedi.
una lunga passeggiata dove le macchine sono soltanto parcheggiate ai bordi delle strade e le strade sono riempite da chi come noi la neve non vuole guardarla dalla finestra.
né, peggio, maledirla.
la neve è un’occasione per fare cose che non avremmo fatto, è un dono, la neve, per restare tutti imbambolati e stupiti più a lungo.
e uscire a piedi, pure se è freddo ed è febbraio.
camminare in salita ci scalda, stare mano nella mano pure.
così arriviamo su in alto.
restiamo senza parole.
roma non l’ho mai vista così bella, non l’ho mai vista così bella.
è tutto diverso.
è un altro febbraio, un altro panorama, un altro odore, altre persone, altri passi, altre immagini, un altro orizzonte, altre parole d’amore, altri baci, un’altra temperatura, un altro freddo, un altro biancore, un’altra neve, un altro tutto.
tutto è altro, altroché.
siccome è febbraio, rivoglio la neve.
voglio farla scricchiolare nel silenzio e ci voglio camminare a piedi.
rivoglio i suoi baci, mentre ci giriamo intorno e il bianco ci rinfresca le guance.
voglio quell’aria sognante e sognata e gli alberi spogli coperti di candore.
anche quest’anno, io scelgo la neve.

bi 


"immagina di poter prendere l'uomo e di rovesciarlo come un guanto. non rimarrebbe così come lo vediamo ora; si espanderebbe fino a diventare l'universo".
(rudolf steiner)
 
 

 
[immagini mie, scattate a roma]

lunedì 18 febbraio 2013

un attimo

cosa si nasconde in un attimo?

piove a dirotto.
piove che il cielo sembra non riuscire più a contenere quel pianto e lo vomita alle sette di sera. è buio, un buio di febbraio delle sette di sera.
gio s’infila il cappuccio sul capo ed esce rapidissima dalla macchina. il cuore le galoppa impazzito e sembra sbalzarle fuori dal petto, mentre corre e va ad infilare la lettera nella cassetta della posta di lui, sperando con tutta se stessa che nessuno la veda e che lui non torni in quell’attimo. e scappa via come una ladra.
è bellissima, gio. pure con tutti i pedicelli sotto il mento e quell’aria spocchiosa da diana la cacciatrice.
- ma scusa, perché non gliela mandi per posta?
- perché deve sapere che sono stata lì, sotto il suo balcone, e che mi ha perso per un attimo...
lui l’ha lasciata. perché non era più capace, così le aveva rivelato. e lei non se ne capacitava e la notte non ci dormiva e il giorno si spaccava la testa pur di capire che volesse dire quel non essere più capace e come mai e perché quel no invece di un sì!
non seppe mai se lui la lesse. se la lesse in cucina con il giaccone ancora addosso semiaperto. oppure nell’androne ancora incredulo e appena incerto prim’ancora di salire le due rampe di scale. non lo seppe. né volle saperlo. mai. mai. 

piove a dirotto.
ari è chiusa in macchina, piena d’ansia e di rossetto rosso. i capelli sono lisci e ordinati, gli orecchini neri pendono appena sopra alle sue spalle. ascolta distrattamente canzoni a caso passate in radio, mentre la città la trapassa con le sue luci chiassose del traffico delle sette di una sera di febbraio.
tutti sono impazienti di tornare a casa, invece lei da casa è uscita da poco meno di mezzora. ha un appuntamento, un appuntamento con lui.
il giorno in cui lo incontrò, rimase impigliata in quello sguardo. intenso, onirico, ombroso... bello. uno sguardo dal quale non era più riuscita a separarsi. l'aspettava da tempo un’emozione così. da restarci sveglia all’una di notte e da credere che sì, la vita li avesse fatti incontrare proprio lì, in quell’aperitivo distratto. distratto per tutti, ma non per loro.
si cercarono, si trovarono. si parlarono al telefono per qualche giorno, vogliosi di rivedersi e di restituire ai loro occhi la sublimazione del loro primo incontro.
- lunedì sera alle sette sarò tutto tuo.
le disse. e lei precisa è lì. solo che si è fermata un attimo prima, un momento prima di arrivare dove lui già la sta aspettando.
ari è bellissima, con quel suo rossetto ciliegia e il cappotto corvino e quella luce accesa negl’occhi. è piena di sé e consapevole. ha chiaro che chi ti vuole non si fa aspettare in un luogo. semmai ti raggiunge nel tuo.
non seppe mai cosa pensò lui di quell’attimo di attesa. se l'attese anche dopo. o smise in poco tempo, dimenticandola. seppe solo che lei si era salvata.

piove a dirotto.
gigi l'ama quella melodia dell’acqua che si frantuma sulla finestra e se la guarda, così grigia e così liscia e così potente. febbraio è freddo e umido. febbraio è corto, è come una canoa che ti traghetta dall’inappetenza dell’inverno alla speranza della primavera. è febbraio, non c'è dubbio, e sono le sette di una sera di pioggia.
alle sette no, ma alle cinque c’è ancora il sole. non quel giorno, perché quel giorno piove. e la pioggia purifica, dice gigi, lava l’aria, cancella le maldicenze, scrosta le cose cupe, si porta via i ricordi scomodi.
è steso nel suo letto e guarda un po’ fuori dalla finestra, un po’ il soffitto di legno, un po’ chiude gli occhi. è quando li chiude che la vede. e li mantiene chiusi, per tenersela lì.
la sta aspettando, perché lei ha detto che sarebbe arrivata prima di cena, per le sette. e lui le ha già comprato le sue cose preferite da mangiare insieme, insieme a un buon bianco dai profumi floreali.
lei è come i fiori d’inverno, dice sempre. lei è una ventata di passato che lo avvolge nel presente, dice sempre. lei è un po’ pazza, un po’ strana, un bel po’ diversa dalle altre. eppure la sente così sua, così tanto sua da non sentire più il confine tra il proprio cuore e quello di lei. 
un giorno la sposerà, o forse no. un giorno comunque, ne è certo, vivranno sotto lo stesso tetto e guarderanno lo stesso soffitto e respireranno la stessa aria viziata e cucineranno insieme chiusi nella stessa cucina e si laveranno nello stesso bagno con la stessa acqua! questo lui lo sa.
in quell’attimo il campanello suona. rompe il silenzio di quei pensieri e penetra in quel momento forte e chiassoso. è lei. è lei ed bellissima. la guarda curioso ed in un attimo lei gli salta al collo e lo bacia tutto.

cosa si nasconde in un attimo, dunque?
è un attimo per sé.
eppure è un attimo per tutti.
un intimo attimo di ciascuno.
un attimo fatto dell’infinità di tutti.

bi
 


["pioggia di colori", artista di strada anonimo]
 

giovedì 14 febbraio 2013

un libro per librarsi

 
 


quanto a te, t’amerò dentro un libro.
nella prima pagina, in cui avrò inflitto col cuore una dedica al mio universo.
una facciata vestita a festa, frutto del tempo e del sogno che ho stirato per farla nascere dalle tenebre del nulla.

quanto a te, t’amerò dentro un libro.
nella prefazione, scritta durante il rumore della pioggia e il fresco del mattino ancora tenue e scolorito.
è un ingresso, più che una prefazione, arredato con colori chiari e subito caldo e conosciuto.
la frasi sono sussurri ventosi e tu ne sentirai l’aria, prim’ancora che il suono.

quanto a te, t’amerò dentro un libro.
nelle pagine centrali, dove regna il respiro, il battito delle ali del cuore, la pancia e le sue emozioni più selvagge e femmine.
lì la bellezza trapasserà il pensiero e lo renderà carne attraverso le parole.

quanto a te, t’amerò dentro un libro.
nelle ultime pagine, lente, stanche eppure vogliose di sapere.
di sapere come avrà fatto il corso degli eventi a trasfigurarci in un uno imprescindibile ed eterno.
un uno acceso sul bianco, altre volte sul rosso, altre sul rosa.

quanto a te, t’amerò dentro un libro.
nel finale, nella voce che ci griderà che è una fine solo per chi ci legge, ma non per noi che nel libro ci viviamo.
la fine è un orizzonte e noi già ne viviamo il suo oltre.
il suo al di là.

questo l'ho scritto per l’amore.
per l’amore universale.
per l’amore verso tutte le creature.
rivolto a chi mi ama, a chi amo, a chi mi sostiene, a chi sostengo, a chi mi teme, a chi temo, a chi mi guida, a chi guido, a chi mi rimprovera, a chi rimprovero, a chi mi nutre, a chi nutro, a chi m’ha dato la vita, a chi la darò io.
rivolto al cielo infinito, alla terra umida, ai paesaggi di cui m’invaghisco, ai luoghi cui appartengo, ai tempi da cui provengo, ai domani verso cui andrò.
rivolto ai desideri di tutti, ai perdoni, ai per sempre, ai sogni aperti e non più chiusi nei cassetti.
ma anche ai miei gatti e al mio cavallo, agli scarponi da montagna, alle frappe e ai biscotti al cioccolato, al divano con la coperta e un libro, alle donne, al film nel lettone, alla cena con le amiche e ai segreti contenuti, ai ti amo sussurrati e a quelli rubati, alle guarigioni fisiche e oltre, alla musica e ai suoi diesis, alla vita e al suo dopo, ai sì invece dei no, ai leggings, alla macchina vecchia e passata di moda, alle cose semplici, alla verità degli occhi e alle menzogne delle parole, ai san valentini e ai non san valentini.
questo l'ho scritto per l’amore.
questo è un libro per librarsi.

bi
 
[immagine: "kiss" by andy warhol, 1959]


martedì 12 febbraio 2013

un giorno sarò tua madre

un giorno sarò tua madre.
ci perderemo l’una negli occhi dell’altra e ci annuseremo con narici familiari e a forma di cuore.
tu saprai di me, io saprò di te.
io saprò più cose di ora, tu me le insegnerai.
vorrei che fossi concepita in viaggio, mentre tuo padre attorciglia i miei capelli sottili attorno alle sue dita forti e mi sussurra parole deliziose all’orecchio sinistro, quasi in silenzio.
ancora non ti ho mai sognato, o forse sì.
eppure già sogno per te attimi fatti di suoni gentili, profumi orientali, lievi carezze.
sarai desiderata e amata, amata e desiderata.
avrai sogni leggeri ed impalpabili, chiari, limpidi e illuminati.
ti porterò in montagna a guardare i fiori da vicino, senza staccarli dalla terra loro, a cercare rapaci e cervi e a chiamarli per nome, correndo in mezzo agli alberi profumati di antico.
ti insegnerò che dall’alto siamo tutti piccoli e che la natura si tuffa dentro di noi, nella nostra immensità.
tuo padre ti porterà lontano, tenendoti la mano stretta a sé.
con i suoi occhi vedrai città enormi e moderne e mangerai lo zucchero filato e imparerai a sentirti sicura e protetta e donna e guarderai lontano perché è lì, è lì che il tempo t’appartiene davvero.
lui sarà il tuo slancio verso il futuro, io sarò il sapore del tuo passato.
ascolterai la musica che ha fatto la mia storia e la storia mia con lui e la storia di tuo nonno, che ti ricoprirà con le dolci note del suo violino.
non lo fa più per nessuno, ma per te sì: tornerà a suonarlo.
ti laverai con l’acqua tiepida e userai l’acqua di rose.
te la spruzzerai guardando come faccio io e rideremo come pazze, chiuse insieme in bagno.
prima di dormire ci metteremo alcuni minuti insieme nel tuo letto: io ti insegnerò a pregare, tu mi ricorderai come sognano i bambini e come si chiamano gli angeli.
li guarderai indicandoli nel soffitto, salutandoli e ridendo, ed io li cercherò attraverso gli occhi tuoi, perché i miei, pigri, hanno smesso di vederli.
ti arrampicherai sulla libreria a piedi nudi e vorrai leggere con me, t’infilerai nel letto grande per fantasticare davanti ad un film insieme a tuo padre.
vorrei insegnarti a gesti e parole che il segreto della vita sta nella gentilezza, nell’attenzione verso gli altri e nella considerazione quotidiana verso chi ami.
che la vita terrena è fatta di tempo, ma anche di spazio e quello va condiviso, altrimenti le distanze diventano pian piano incolmabili.
vorrei dirti ogni sera che t’amo.
tuo padre te lo dirà ogni mattina, venendoti a svegliare.
e tu dovrai amarti ogni giorno ed ogni giorno un po’ di più.
non dovrai credere in me o in lui.
dovrai credere in quello che sarai tu, crescendo accanto a noi.
e noi staremo lì, a guardarti e sostenerti.
un giorno sarò tua madre.
e ti ricorderò che l’infinito si nasconde sulla punta del tuo dito indice, quello che punti di fronte al tuo sguardo.

bi




 

[…] come la mano che pensa dell'altra mano: si sovrappone, quindi è identica a me. e invece è opposta.
(anonimo)

[immagine di sara fogl]

mercoledì 6 febbraio 2013

Moonrise Kingdom




Ho visto Moonrise Kingdom ieri notte, per curare l'insonnia e la stanchezza. l'ho visto perchè la recensione dell'amico mio caro, flavio, mi ha convinto a farlo.
la storia contiene molti degli elementi che amo trovare in un racconto: è la fine dell'estate, la luce è gialla, due preadolescenti s'incontrano, si riconoscono, s'innamorano e scappano dal loro mondo per avventurarsi alla ricerca del loro universo. è attesa una grande tempesta, che come sempre, stravolgerà il vecchio per far affiorare il nuovo. è la storia di due anime legate da quel patto, che in quell'età si sente più forte che mai, che si fonda e si plasma sul sentirsi estranei al proprio mondo e al proprio tempo.
il tutto è narrato delicatamente, e prende  forma in una stramba ma delicata poesia.
questo ha spalancato le porte ai ricordi di quell'età, quando con lara, ci "chiamavamo" x ed y, manifestando il disagio di chi ancora si sente un'incognita, un'indefinita entità colma di emozioni e sensazioni che emergono per spazzare il noto ed accogliere l'ignoto corso, di un'esistenza altra, che non si riconosce più nel mondo incantato della fanciullezza, che discognosce "l'adultità", vissuta e percepita come lontana, estranea, oscura ed inaffidabile.
l'avventura è il fine ma anche il pretesto, per cercare di trovare un posto in quel mondo che sembra non accoglierci più come prima, quel mondo in  cui vorremmo trovare uno rifugio dove poter muovere i nostri passi incerti e poter mostrare i colori nuovi che sprigioniamo, a tratti violentemente e che non sappiamo capire e più contenere.
i protagonisti del film creano il loro mondo nuovo, creano anzi, una riserva sacra, in cui goffamente sperimentano le loro pulsioni profonde, nascoste, da  difendere fermamente da chi vuole usurpare quei sentimenti e quel legame indispensabile per potersi concedere poi, alla pienezza della vita. lo difendono da tutto e tutti, anche quando il loro "giardino segreto" verrà usurpato e distrutto dagli adulti e dalle autorità che li troveranno. crederanno fino in fondo a questo legame e riusciranno a tramutarlo in storia d'amore e d'amicizia che trasformerà chiunque sia venuto a contatto con loro.
questo tema è centrale nella mia vita, per il lavoro che faccio e per i ricordi così pregnanti, a cui ho avuto di nuovo accesso, grazie a questa incantevole storia.
e ricordo l'estate nel mio paesino fra le colline marchigiane, quando con i miei compagni ci preparavamo per intrapendere le nostre fughe avventurose. il fiume Fiastra attraversato a piedi sui ciottoli scivolosi, la strada nascosta che cercavamo nel bosco della selva scura, per non farci trovare, perchè quell'avventura rimanesse il nostro segreto, da difendere da occhi indiscreti e non abbastanza puri da capirene il significato. la casa abbandonata sotto la capagna del paese, che occupammo per un'estate intera, territorio da riempire di storie e sogni, solo nostri e di confessioni inconfessabili, di amori solo sognati e raccontati e di risate piene, pulite e fragorose, che liberavano, finalmente, quello spirito nuovo che nasceva piano piano dentro e che sentivamo troppo ingombrante per essere contenuto dalle mura delle nostre case.
mi è sembrato di risentire gli echi dei quei ragazzini lontani, perduti, ieri notte, mentre il film scorreva.

Di.




martedì 5 febbraio 2013

mi ricordi la roccia

mi ricordi la roccia.
quella su cui la natura posa il suo respiro e fa germogliare il muschio e l’erba incolta e barbara e selvaggia.
sembra immutabile, mai erosa, mai trasformata.
lento, nel tempo quasi eterno.
così mi sembri, tu.

mi ricordi il rumore della pioggia.
quella incessante, abbondante, vigorosa e fresca, una pioggia che inonda, nutrendo e piangendo gioia e vita.
una musica, quel rumore.
un temporale che grida forte, quasi infinito.
così mi sembri, tu.

mi ricordi il profumo della terra.
dei suoi frutti, dell’aria limpida e rigida, dei passi di chi quella terra la invade e la calpesta in cima alla testa.
e lei lascia fare, ché ha il capo massiccio e le spalle ampie e robuste.
carica su di sé fardelli non suoi e va. 
potente, quasi immenso.
così mi sembri, tu.

mi ricordi il silenzio.
il silenzio nel suo vociare, il vuoto pieno di spazio, il tempo che scorre e che ai più pare immobile.
plutone, ecco, plutone mi ricordi.
coi suoi giri pigri e lunghi come secoli, ghiacciato e sempre bollente, lontano e così intimo.
onnipresente e scivoloso, quasi liquido.
così mi sembri, tu.

mi ricordi un mantello.
scuro e pesante, che avvolge e protegge, che socchiude e lascia rifiatare, che vigila guardiano e si dischiude in un impercettibile sorriso.
sono gli occhi a sorridere, io li vedo.
accesi all’improvviso nell’abisso, quasi come lampi e fulmini. 
così mi sembri, tu.

mi ricordi le radici.
le origini, gli inizi, i principi, l’uno.
tutto in te vedo riunito: il cielo e il sole e i baci nostri e l’amore e le parole dolci e la voce che s’alza e il respiro che s’affanna e il cuore che pulsa e l’anima che si dà pace.
un ululato nella quiete, quasi un lupo.
così mi sembri, tu.

mi ricordi il vento.
dominante e tiepido, che spira e sposta l’esistenza, la mia, la tua, quella di noi due insieme.
e io ti corro dietro e mi sento una farfalla e poi ti giro intorno e sicura m’allontano e intimidita prendo e torno e questo moto è regolare come il respiro dentro al petto che mi spalanca il cuore e lo richiude e l’aria c’entra e tu pure.
io vi custodisco lì, dentro, in fondo, come si fa con i tesori più preziosi.
prezioso, così.
così mi sembri, tu.

mi ricordi la roccia.
quella su cui vola una farfalla.
quella su cui m'adagio io.

bi





[il bacio, gustav klimt]


venerdì 1 febbraio 2013

dov'eri?

dov’eri quando, angosciata, dissi a bassa voce a mia madre che andavo a piangere in bagno, purché l’avessero lasciata stare accanto a me cinque soli minuti in più?
i suoi abbracci e i suoi occhi lucidi erano su di me più forti di qualsiasi antibiotico.
i muri del bagno avevano piastrelle bianche e limpide ed io restavo lì più a lungo, per farmi consumare dalle mie innocenti lacrime bambine.

dov’eri quando, spavalda, indossavo senza timore il mio vestito da cleopatra di fronte a una platea nutrita di genitori affamati dei proprio figli?
con quella lunga, lunghissima parrucca corvina sul capo mi sembrava di allisciare il paradiso.
ricordo bene che mi presi i miei applausi ed uscii di scena di corsa, soltanto per andare a specchiarmi e per continuare a carezzare quella chioma meravigliosa.

dov’eri quando, incredula, esultavo di fronte al primo voto alto?
ero seduta con tre libri di fronte, la penna nera tra le dita umide e la sciarpa a seppellirmi il rossore dell’agitazione impresso sul collo.
e quelli non erano solo tre libri, ma tre direzioni.
le ho prese come si fa con una tisana, me le sono ingoiate.
erano tiepide e sapevano di fiori.
ho parlato per mezzora senza interruzioni e mi è sembrato di fare una passeggiata nel parco in primavera, eppure era febbraio.
uscii volando.

dov’eri quando, bella e profumata, festeggiavo le mie prime cinque estati?
sedevo sul divano, come se sapessi tutto dell’esistenza mia e di quella altrui.
ero lì che leggevo, eppure non sapevo ancora leggere.
inventavo segreti e li facevo scivolare sotto i miei zoccoli di legno dal colore chiaro.
avevo il vestito color ciliegia con le bretelle sottili, che stava a significare che di lì a poco saremmo andati tutti insieme in spiaggia, come ogni anno.

dov’eri quando, felice, raccontavo dei miei sogni desiderati e un po’ realizzati?
quando mi lagno, trovo sempre una mano pronta a spiegarsi per disegnarmi consigli.
fa del bene a sé, più che a me.
vorrei accanto chi amo quando gioisco e urlo la contentezza mia, invece.
eppure non tutti siamo così puri da saperlo fare.

dov’eri quando, ingenua, ho commesso il mio primo grave errore?
i cocci erano finiti fin sotto terra e avevano scheggiato pure le mie radici.
mi sentivo spezzata ed erano bastati già soltanto un gesto a metà e una parola storta.
ho imparato che il respiro è fondamentale per prendere tempo.
respiro per attendere, di un’attesa che sospende e previene le offese.
quelle che inferto agli altri.

dov’eri quando, disperata, la vita mi disse che di malattia si muore e che, pure quando si vive, ci si continua a sentire morti dentro?
la malattia parla.
non si vede, eppure tocca.
t’afferra, non è che ti sfiora.
non è una cosa a sé, diventa di tutti.
diventa universale.
e allora dall’anima passa alle membra.

dov'eri, dunque?

già, dov'ero?


bi, dialoghi surreali allo specchio




[creazione di shinya okayama, tratta da digital-art]