martedì 20 maggio 2014

l'abito a pois


comprai un abito a pois, di quelli delicati come l’acqua. liscio più di una foglia di ficus, leggero come le ali di una farfalla. fondo nero, con i pois color aria. aria di campagna, quella che ti buca le narici e conserva quei riflessi color crema, senza per questo contenere latte.

comprai un abito a pois, per non sentirmi mai all'altezza di indossarlo. per lasciarlo come un dipinto incastonato nella cornice dell'armadio, per non sentirlo mai del tutto mio e per non farmi possedere mai nei contorni della mia pelle. per guardare con palese gelosia la sua superficie cilindrica e setosa, per chiudere gli occhi e vedermici dentro, bella, circondata, costretta, non libera seppure a mio agio.

lo metterò con gli stivali bassi, mi dissi, e il chiodo nero, per il solo gusto di indossarlo e subito ignorarlo, mentre mi tocca e mi s’incolla addosso. camminerò a testa alta e le strade si divaricheranno e mi mostreranno le viscere della terra e sveleranno confidenze indicibili ed io saprò mantenere quei segreti senza provare mai l’impulso sadico di tradirle e colpirle nel fianco, come si è in grado di fare, talvolta, al cospetto delle debolezze altrui.

lo metterò al crepuscolo, quando i coni d’ombra della sera assottiglieranno la mia figura e cercheranno di costringere la mia natura selvatica. mai al mattino, quando il fare porta verso i doveri della giornata e poche volte verso i piaceri.

un pomeriggio lo provai davanti allo specchio. mi raccolsi i capelli, per tenere scoperto il collo ed osservare perbene le espressioni del mio volto, per saper cogliere ogni sfumatura di seta riflessa sulle guance e sul mento. non appena indossato, il vestito a pois mi morse a morte.

pian piano il mio corpo fu attraversato dal fuoco, i capelli si levarono al cielo, i piedi si sradicarono dal pavimento, le braccia si eressero all’esterno, con la chiara volontà di staccarsi e lasciarmi per sempre. poi il fuoco si calmò e i miei occhi si accesero come due braci. dapprima rosse, poi del colore scuro del sangue appena schizzato da una vena rotta, poi più scure ancora, di quel grigio sbiadito della cenere, che è la morte delle fiamme.

comprai un abito a pois e mai mi sentii all'altezza di indossarlo. mai riconobbi me stessa in quella scelta. mai mi ci riuscii a specchiare. mai ci trovai traccia del mio sangue.

lo guardo con invidia, ancora adesso. apro l’armadio e lui sembra uscire da solo, emergendo dall’anonimia degli altri appesi. appeso, pure lui, ma in realtà sospeso. in un altro quando, in un altro dove, mantenuto vivo dal mio desiderio di possederlo e non averlo mai.

dal mio desiderio di dire che, sì, è mio e posso indossarlo quando voglio. e non averne mai il coraggio.
 

bi
 
 
[ph. francesca woodman]

 

venerdì 9 maggio 2014

antica

 

"dovete fare pensieri dolci e meravigliosi
saranno loro a sollevarvi in aria"
j. m. barrie, tratto da peter pan
  

antica
guarda, si è eretta questa bocca di leone sulle scale. un miracolo nel cemento, un segmento di vita sbocciata tra le morti. alleggerisce i piedi, quando scendi, e ti fa sentire una libellula con quattro ali variopinte. quando sali, t’accompagna i talloni, facendoli spiccare verso l’alto.
 
antica
la tovaglia di quel rosa primitivo incipria la tavola. ce l’hai lasciata cadere, come un cristo cede alla propria fine, annodandosi tra le braccia addolorate di sua madre. giace, lì, ripiena di molliche. eppure è così piena di vite.

antica
appartengo ai luoghi in rovina, in cui i muri consumati di esistenza riscrivono sulle proprie pelli la mia storia. come fece la fanciulla bianca, che una notte strinse la mia mano con la sua luce e lesse. lesse me, i miei trentanove anni, facendoli scivolare tra le nostra dita. dita bambine. 

antica
come la mensola di marmo, che incappuccia il comodino al piano di sopra. indugia sul legno appassito e, carezzandolo, gli ricorda quanto le carni si gelino al contatto col marmo. il marmo spezza ogni sentimento e ricorda che il brivido è uno strato di pelle che scivola via e che perdi per sempre.

antica
come la macchina da cucire nera e stondata, che hai nascosto allo sguardo del mondo. l’hai riposta nel passato remoto, in cui il tempo l’ha cristallizzata. riposa nel soggiorno, ferma da tempo. per lei vivere non equivale a fare, esserci è ciò che basta. per me neanche, eccome. vivere non è mai fare.  

antica
come i decori celesti dei piatti e delle tazze da tè. la dolcezza non è una debolezza che va perdonata: questo cantano in coro, dalla credenza poggiata sul muro. la dolcezza dei colori pastello della voce che non s’alza, delle carezze che il suo indice mi scrive sulla fronte, della discrezione del buio e di quanto sia capace di farsi nero: questo, tutto questo è ciò che ci è stato insegnato.

antica
piantata nel posto sbagliato. con lo sguardo alla ricerca dell’est e dei suoi contorni montani. col fiato che colora di verde la bocca e lecca la lingua di brina. io mi curo col vento. quando il respiro vien meno e il petto si cuce sul cuore, allora sento un vento secolare che spira. e inghiotto l'aria fino in pancia, per restare in vita.
 
bi
 
 
[shadowbox photography - delusions]