mercoledì 24 settembre 2014

la vita degli altri


la vita degli altri è fatta così: di citofoni, cortili e finestre.

ecco perché mi piace tanto camminare e fermarmi a leggere i citofoni. li leggo attentamente e mi fermo su ogni cognome, chiedendomi se mai io possa conoscere qualcuno, lì, o se possa averlo incontrato un giorno, chissà dove.

leggere il citofono è un modo per vivere la vita degli altri dal piano terra e senza disturbare nessuno. per capire chi abita più attaccato alla terra e non prende mai l’ascensore e chi è più vicino al cielo e può stendere i panni nella mansarda comune. per toccare i bottoni in ottone, belli tondi e tutti lucidati, o quelli di ferro più vecchi e opachi e consumati dagli indici di tutti.

i citofoni li leggo dall’alto verso il basso, così non rischio di perdermi nessuno, e ogni volta mi impegno a capire una cosa: quelli più alto sono quelli dell’attico, o no? e non lo capisco mai, perché forse – mi dico – questa cosa cambia in ogni condominio.

i cortili, poi. mi è sempre piaciuto girare per i cortili sconosciuti, quelli con tante aiuole e tante cantine nel piano sotterraneo. organizzavo delle spedizioni con i miei amici, ai tempi delle medie, e ce ne andavamo tutti lì: nei condomini degli altri, in terra straniera, dove non senti niente tuo e respiri l’aria che non t’appartiene. e pure quando scoprivamo cose che non ci piacessero – la sporcizia buttata a terra, alle volte, o angoli tetri e pieni di piscio stantio e puzzolente – allora, anche lì, ce lo scrollavamo di dosso, perché sapevamo di non appartenere a quel luogo.

alcuni erano bellissimi, pieni di viuzze incrociate, di fiori composti che sfilavano simmetrici, di panchine in ferro o in marmo usate tutti i giorni dalle natiche delle anziane, e pure così inverditi e pieni di persiane aperte e semichiuse, alcune più nuove, altre rigate di anni vissuti.

e le finestre, sì, anche quelle amo molto osservare. mi tuffo per pochi attimi nelle case degli altri, tranne quando sono completamente serrate o sporche di nero – lì no, ci giro alla larga. mi piace guardarle da lontano e vedere quanta luce tengano per sé e quanta ne rilascino per gli ospiti fuori. mi piace immaginare se lì accanto a loro ci sia un divano, se sia sempre stato lì, o se – come faceva mia madre – fosse stato spostato di tanto in tanto.

lo aveva sistemato dapprima tutto a sinistra in fondo, vicino alla finestra, con lo sguardo rivolto alla parete della cucina e la tenda bianco sporco, che col vento lo lisciava sul lato corto. potevano vederlo da fuori – pensavo – e vedere che noi ci sedevamo lì dopo le cinque, per restarcene un po’ tutti vicini, l’uno accanto all’altro. la sera no, ci dividevamo e io lì ci restavo da sola, a guardare fuori con le luci spente, alla ricerca dei chiarori altrui. poi mia madre lo spostò appena si entrava a destra, subito dopo l’arco del salone, e non potei più sdraiarmi coi piedi sulla tenda e lo sguardo buttato verso fuori.

è bella la vita di voialtri, sapete? siete tutti belli a guardarvi. ché poi – a pensarci ora – senza guardare la vita degli altri, e ricamarci un po’ d’immaginazione, la mia è perfino più noiosa.
 
bi
 
[ph. bi]