lunedì 24 novembre 2014

diversamente est


sei andato a scuola e ti hanno detto 'siedi al tuo posto'
e già li hai smesso di credere che il tuo posto sia dappertutto”
(silvano agosti)

 


sono da frutto quegli alberi.
il mattino sorge sulla destra ventilata e fresca ed i fiori si muovono in ordine sparso sulla sinistra rumorosa e ingiallita, proprio lì dove il sole si cala di nascosto e dipinge di ocra rosato la vetta di fronte.
è l’est.
dove il buio regna sulle bocche piene di canti degli animali selvatici.  
ogni volta c'è un dove ad attendermi, sai?
che freme e vibra di sentimento e lo sento da qui.
allora io mi raccolgo tutta e mi preparo a spiccare il volo verso il mio levante interiore.
è che non ci vivo, purtroppo.
abito in un altrove diverso da est.
lì la durezza della montagna partorisce generosa creature divine, vestite di un rosa deciso ed orgoglioso, profumate di tempo e di un inverno selvaggio e bianco.
è un'orchidea montana, mi disse un giorno.
ed io la guardai senza fiato: non era alta neppure come un mignolo.
ogni angolo mette in mostra le rovine di eterne estati trapassate e le siepi di cipresso narrano le storie di eroine di tramonti randagi.
vivo la condanna di abitare l’ovest e di vedermi di fronte ogni sera la morte del sole, che mai trova consolazione.
ecco perché viaggio piena di panorami nelle tasche.
per infilarci le mani e diventare albero.
poi foresta.
poi collina.
poi vetta.
poi cieli liberati e dirupi pieni d'aria.
per buttare gli occhi nelle finestre semichiuse e guardarmi ogni tanto in fondo alle budella.
il mondo non è lineare, ma è pieno di circolarità e lì ce l’hai nelle vene.
l’est è quello delle nascite e degli inizi.
è il mio naufragio.
la mia terra di mezzo.
l’aria che mi sospende e mi concede il volo.
la libertà del mio corpo di respirare.
la libertà dell’anima mia di sentirsi a casa con la porta aperta.
 
bi

[hiroshige utagawa]
 
 
 

mercoledì 12 novembre 2014

come fanno ad amarla

come fanno ad amarla se lei non si ama? li vede i suoi occhi ripiegati all’ingiù? ecco, sono il segnale che lei si rivolge fuori se stessa e mai dentro. mai dentro.

si è sposata per felicitare gli altri, fosse stato per lei neanche si sarebbe inchiodata a quel modo. basta condividere una casa e le notti insieme, in fondo, cos’altro? di chi sono tutti quei festeggiamenti in grande, mentre era prigioniera di quella veste innaturale color latte? di chi? non i suoi, non di certo.

è alta e sembra allungarsi sempre di più. dove vorrebbe andare? sulle nuvole, lassù, dove i ruoli spariscono e le donne possono decidere per sé, possono piacersi per il culo grosso che hanno e per i fianchi diluiti nello spazio, possono dire del loro mestruo e possono annaffiarci i loro fiori, diluendolo con abbondante acqua. per cosa? per sentirsi terreno e radici insieme. terra e radici. ma devi andare sulle nubi per farlo, capito? lì in cima.

ora è madre. non può più dirsi figlia, a suo avviso, ed è per questo che le duole la schiena. pare che si carichi addosso tutte le responsabilità del mondo, ora che è madre. perché è madre, solo per quello. da figlia avrebbe solo un po’ di mal di collo e via.
 
suo figlio le sta incollato alla gamba destra e non la lascia camminare. le tira la gonna e gliela gira attorno alla coscia, mentre lei gli dispensa parole dolci con una voce bassa eppure isterica. dice che è felice d’essere madre, dice che fosse ora che lo diventasse, che poi sarebbero giunti i quaranta e tutto sarebbe stato più difficile. ma difficile per chi? non capivo. difficile, dopo che ti sposi che fai? figli, fai figli. cioè uno. gliene basta uno, uno e sta. due manco per sogno. anche se, in verità, non ha mai sognato nemmeno il primo.

si comporta come un’inetta. un’incapace. un’ingenua. una che non sa provvedere a sé, figuriamoci agli altri. che non dispensa consigli, ma ne beve a iosa ogni giorno, per sfamare la sua inadeguatezza. legge libri conosciuti, non s’avventura. ascolta musica pop, non s’avventura. alza poco la voce, non s’avventura. poco le interessa viaggiare, non s’avventura.

l’avventura ha in sé i semi delle possibilità e lei non ne vuole. nessuna possibilità, nessun cambiamento, nessuna crescita: solo lo status quo, quello che altri hanno scelto per lei. e lei vi si crogiola, come si fa sotto un piumone caldo e soffice nelle giornate più fredde.

non esce dal suo guscio sicuro, da quella melma che s’è costruita nel tempo per piacere a chi vuole guardare solo un guscio, senza osare a spingersi oltre. più sotto, più dentro, oltre la soglia della sua pelle abbronzata. si separa dal mondo fuori così: col suo trucco sofisticato e mai sciolto, piangendo in solitudine, per non sentirsi scoperta e fragile.

come fanno ad amarla, se lei non s’ama? come fanno? ad amarla? se lei non lo sa fare? lo fanno come fa lei, con un bel guscio da truccare, vestire, far parlare poco e bene e con i sentimenti serrati nel cassetto e al sicuro dalla vita.
 
bi
 
[steven daluz]
 
 
“l’anima lunare è in sintonia con la morte. essa non la sfugge, ma la accoglie come metafora dello scorrere, dello sprofondare, del trasformarsi, immaginare, interiorizzare, ricominciare.”