c’era il sole quel giorno. quasi un evento, visto che era
febbraio inoltrato, il mese della luce corta e rigida e delle ombre allungate.
il sole mette allegria, dicono, mentre noi eravamo crucciati. io avevo i
pensieri distanti ed ero intenta a non tenere la fronte troppo irrigidita, per
via della ruga – sì – quella che divide gli occhi in modo casuale e asimmetrico.
lui camminava in silenzio e sembrava intento a centrare le mattonelle del
pavimento del parco.
c’è sempre un perché ai silenzi prolungati e il verde
accecante del parco distoglieva la mia attenzione da quel perché. sono
importanti i perché, i perché alle volte salvano la vita. se le parole hanno un
peso, la loro assenza genera un vuoto che risucchia. ecco, stavo per essere
ingoiata in quel vuoto muto e spietato – senza che ancora lo sapessi.
sabato vengo a
prenderti e ce ne andiamo in centro. io e te, hai voglia? facciamo quattro
passi insieme, mi fai conoscere questa città.
era stato lui a cercarmi. aveva gli occhi strani, quasi spenti,
o comunque poco attenti. poco attenti – sì – distratti, buttati a caso a
guardare i miei. timidezza, pensai, incertezza o incapacità di amare. siamo
sempre brave noi donne a fare queste analisi certosine. eppure, se solo ci
fidassimo di più, scopriremmo che c’è spesso del vero nelle sensazioni
subitanee, quelle in cui ancora non sai cosa sarà.
era stato pieno di passi quel sabato, ben più di quattro.
passi, abbracci e braccia posate sulle spalle. e a quel sabato pensai nel mezzo
di quel silenzio distaccato, ai baci che ne segnarono il trascorrere delle ore,
al ritmo serrato della prima volta insieme e della timidezza di non sapersi e
di volersi sapere al più presto.
un giorno mi feci coraggio e glielo dissi. io, proprio io, in preda ad un fuoco all’intestino che mi stava bloccando il bacino e le gambe… glielo dissi timidamente, a letto, girata di schiena. gli dissi ti amo. avevo la gola secca e la bocca amara. era la paura, il terrore di uscire dal guscio, che si stava impadronendo del mio corpo. restammo al buio, restammo in silenzio. lui non disse nulla, fece restare il silenzio sdraiato tra di noi e un lenzuolo nero leggero, che ci nascondeva dal soffitto. ti amo - ma tu non dire nulla. ecco, se fossi potuta tornare indietro di pochi minuti, avrei voluto dire così, per sentirmi meno sola. perché io, lì, ero sola.
non bisognerebbe mai fidarsi di chi non risponde. di chi
tace davanti alla bellezza delle parole e alla purezza dei sentimenti. mai, mai
fidarsi di chi dopo un ti amo non ha
il coraggio di parlare.
- bi
[ph. noell oszvald] |