“non essere in collera con la pioggia;
semplicemente non sa come cadere verso l’alto.”
vladimir nabokov
vladimir nabokov
se dovessi raccontarti l’autunno, dovrei cominciare dalla pelle che si è schiarita e assottigliata. se ci passassi l’indice – vedi? – sentiresti le mie ossa forti e lucide. e la tenerezza del sangue. i fiori si sono seccati, i frutti sono morti. i capelli si sono sciupati, le unghie si sono indebolite. il calore mi ha spinto di fronte a quella porta – quella lì – e l’ha spalancata e mi ha scaraventato con la faccia sul pavimento freddo. e il caldo e il freddo mi hanno sfregiato. gli occhi mi bruciano, la bocca va a fuoco, il petto sanguina, i miei fianchi sono feriti. vuoi sentire? metti il dito: qui, a destra – qui. infilalo e premi. toccala: è l’onestà della ferita, che ancora si sta svuotando.
se dovessi raccontarti l’autunno, dovrei dirti dell’uno. dell’intero. dell’unità. del tre meno due. del primo tra tutti. del primo numero primo. dovrei fare l’una e lasciarmi una sola con la pioggia, a lacrimare fino a perdere l’ultima delle foglie dalle palpebre e restare seduta di fronte a questo senso transitorio di felicità. dovrei fare l’una e lasciarmi abbracciare dalla lana e fare che il vento mi lecchi il collo e mai resistere – anzi lasciare. dovrei fare l’una e vagare a piedi, andando a recuperare i miei frammenti, sparsi per il tempo e per lo spazio. dovrei fare l’una e costruire le mie verità, slegare la colpa e l’abbandono, lo stordimento e la cecità. intanto sono zero virgola cinque.
– bi
[ph. francesca woodman] |