martedì 17 dicembre 2013

io facevo il tasso



"siamo clessidre con la sabbia in fondo"
edoardo sanguineti


alla recita di natale io facevo il tasso.
un pino nanerottolo per sempre sempreverde e amante delle ombre e delle montagne.
- eccomi qui, io sono il tasso.
così cominciavo, legandomi le mani di nascosto dietro alla schiena.
avevo disegnato una corteccia tutta marrone piena di aghetti verde scuro e bacche rosse qua e là e me l’ero messa al collo, come fosse un lungo bavaglio di cartoncino bianco.
mi trovavo bene a fare il tasso, era proprio l’albero più mio di altri.
più basso dei pini, eppure pino anche lui, uno che parla tanto e che vive in mezzo alle montagne.
dice di sopportare bene il caldo e le sparate grosse del sole e di resistere pure ai soffi del gelo invernale, pur lamentandosene con tutti.
un po’ innamorato della tramontana ma anche dell’umidità e dell’ombra rubata al vicino più alto di lui.
il suo vestito di legno è resistente e flessibile, è uno forte e che vive a lungo.
e poi è uno che può avere varie forme, se potato, più forme come l’acqua.
uno sereno variabile, ecco, garbato e di compagnia.
- sono tasso e sono un albero dal portamento ampio e irregolare e talvolta cespuglioso.
così dicevo, facendo destra e sinistra con le spalle.
era un esercizio per la memoria, quello, per ricordare ogni battuta e non perdermi neanche una parola per strada.
avevo l’occhio di tutti addosso moltiplicato per due, che faceva tantissimo, e in più l’occhio della macchinetta fotografica di mio padre.
quindi lui aveva tre occhi, mica due.
le mie mani sembravano due laghetti, a forza di sudare e sudare, e il mio viso era più rosso delle bacche del tasso.
- i miei nemici sono le processionarie.
così continuavo e in testa mi si disegnavano quelle larve spinose e viscide, che mi facevano ormai una paura bruttissima e mi spingevano a camminare per strada a occhi bassi.
in classe dicevano che mi sarei riempita di bolle, se le avessi toccate o se mi fossero piovute addosso.
ed io ero terrorizzata di incontrarle e il tasso come me, proprio uguali.
ognuno ha un albero nel cuore e io ho il tasso.
un solitario guardiano dei cimiteri, dicono, l’albero che unisce la morte e la vita, con ai piedi profonde radici sottili e dense.
proprio uguali io e il tasso.
due specie di angeli della soglia.
sempreverdi.
con le bacche rosse.
un po’ severi.
sorridenti.

bi



["scarecrow" pejac street artist]



 

mercoledì 4 dicembre 2013

è un anno che t’aspetto

dicembre.

tu e la tua frenesia di luci fiammeggianti, di viali pieni di alberi accesi ed impallinati, di strade riversate di menti pulsanti.
pensieri si tramutano in doni carteggiati e desideranti, voci si trasfigurano in melodie antiche e sempre uguali.
corri, tu, dicembre.
e tutti corriamo attorno al tuo vorticoso epilogo, come se non ci fosse un altrimenti.
ché altrimenti è mancata festa, è mancata fine, sono mancati inizi.
le periferie diventano centri e ognuno si sente centro di se stesso.
una forza centripeta sei, dicembre.
che collassa negli intestini capovolti di ognuno.
tu e la tua luce più breve, eppure così divina.
luce sacra e mai soltanto appena un po’ religiosa.
non umana, ma piena d’umanità riunita e patita.
amo i tuoi cioccolati misti, le nocciole incartate in torroni speziati, le tue pietanze arrossate e affondate in condimenti custoditi dalla memoria, i tuoi piatti decorati di una volta l’anno.
piccoli abeti travestiti da festoni decorano la storia di piccole famiglie, che scovano gli angoli della casa più degni per sorvegliare auguri d’ogni bene e d’ogni amore.
regali da portare allo scoperto riflettono l’indugiante desiderio di chi li sceglie e stuzzicano la fanciulla immaginazione di chi dovrà spogliarli dei loro abiti vivaci, per farli per sempre propri.
il dare s’impasta con l’avere.
la neve decora i paesaggi che raccolgono tradizioni e modernità e li unisce in una mescolanza che fa gioia.
la gioia di vivere il natale come nascita.
tutti.
ogni volta, come fosse la prima.
t’aspettavo, dicembre.
per concludere, per chiamarti per nome, per rivivere un sorso di ricchezza, per coprirmi, per ricoprirti, per riscoprirti, per festeggiare mio padre e riunirmi coi miei il ventiquattro a cena.
non mi stancherai mai.
con te pare che la musica classica sia più celestiale e stare intorno a un tavolo sia fondersi in abbracci perpetui e dirsi auguri sia come sussurrarsi segreti mai svelati che diverranno atti compiuti.
penetri, tu, dicembre.
nelle interiora, strappandole dalle viscere e palesandole al mond’intero.
e l’interiore diventa esteriore.
so già che ogni volta sarà come l’ennesima festa con te, con l’aggiunta di un altro anno in più.
e come ogni volta ti ribadirò che i propositi non fanno per me, ché io non so mai cosa proporre.
aspetto un cenno da te e tutto accadrà nell’ordine naturale delle cose.
sei un contenitore in cui riversare i miei liquidi e dare loro finalmente una definizione.
(i miei, sì, ché mi sento sempre eternamente indefinita).
trame di passioni si tessono a dicembre con fili di lana pura e tinta di giallo.
è freddo, dicembre.
eppure con te sento caldo dentro.

bi

[ph. alicia savage, da la révolution surréaliste]