la morte non si vede: ha lo spazio prolungato di un’assenza
che non smette mai più. la morte non è verbo essere, ma verbo avere. possiede
di noi tutto ciò che ci manca e ci mancherà.
come quando morì suo padre, dopo pochi mesi distesi nel
letto in una posizione eretta verso infinito. morto di che? di cancro all’esofago.
un fuoco rovente di morte in pieno petto, che non era nulla di per sé, non
aveva identità, ma si stava lentamente espandendo nello spazio del corpo di suo
padre. lo stava possedendo.
il cancro non era verbo essere, era verbo avere. avere
quel petto, nutrirsi delle ossa della gola e del tubo che fa parlare la bocca direttamente
con lo stomaco. un tubo di perdita, quello, di futura mancanza.
ricorda poco di quella morte, era piccola e la tenevano
lontana dallo spettacolo di quel corpo, che si stava pian piano consumando in se
stesso. ha ricordi sbiaditi, dice, poche cose, e tutte legate alla bellezza di
quell’uomo così poco vissuto. dei suoi capelli color notte, del suo portamento
magro e svelto e a modo suo imponente e fiero, sicuro di sé e dello spazio calpestato,
del suo viso rassicurante ed elegante, come pure i suoi abiti marroni talvolta spiegazzati.
poi il nulla. il vuoto. l’assenza. la mancanza. ecco cosa
fa la morte: taglia e non ricuce.
cosa fu suo padre per lei? fu un’assenza il giorno della
comunione, un fantasma silenzioso, un’ombra taciuta dietro al colonnato della
chiesa. le sue orbite vuote la fissavano nel suo abito bianco e semplice,
mentre ella sentiva un vuoto vacillante negli intestini.
fu un’assenza quando partì e si trasferì a roma per
lavoro. salutò quella matrona di sua madre, seduta con rigore nella sua sedia
di paglia. aveva le dita intrecciate le une alle altre e poggiate in grembo con
rassegnazione. la salutò e la baciò sulle guance fino a sfinirla. erano doppi
quei baci, anche per un lui che era solo spietata mancanza.
fu un’assenza il giorno del suo matrimonio, quando cercava
di incastrarne il ricordo, sempre meno vivido, dentro quelle lacrime dimesse.
di gioia, sì, per la felicità di una nuova vita, eppure
di dolore. il dolore già noto, quello della mancanza.
fu un’assenza quando partorì la prima figlia, quando ne
partorì un’altra, quando queste crebbero e chiesero di lui, quando tornarono migliaia
di volte in quella casa, in cui l’assenza si respirava a pieni polmoni.
la morte non è, la morte ha la mancanza di chi vive voltandosi
indietro e non trovandosi nessuno dietro alle spalle. la morte non è, la morte
ha l’assenza di chi ci protegge dietro alle spalle, senza essere più
riconosciuto.
la morte sottrae presenza e addiziona dolore, moltiplica mancanza
e divide i corpi. la morte non è verbo essere, ma verbo avere.
- bi
[andrei tarkovsky, the mirror] |
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