non far morire il tuo sguardo sul marciapiede, avrei
voluto dirle. alzali, quegli occhi spenti, facci entrare un po’ della luce del
sole.
con luisa frequentavamo la stessa classe alle medie. non
lo stesso banco, ma poco importava, perché io mi spostavo in continuazione,
tranne durante le spiegazioni. mentre interrogavano sì, mi mettevo più
avanti possibile, cosicché, se fosse servito un suggerimento, lo avrei potuto
lanciare.
luisa no, restava sempre accanto alla sua compagna di
banco, lì vicina, al sicuro dai discorsi. era riservata e le brillavano
gli occhi scuri e quei riccioli sottili, pure, splendevano di carnalità. le
sfioravano appena le spalle ed erano sempre ventosi: bastava un alito per farli
dondolare al ritmo dell’aria.
ieri l’altro sembrava invece una mina vagante senza
innesco. ti sei forse smarrita? avrei voluto chiederle. procedeva con passi
incerti, uno sconnesso dall’altro, come se le gambe appartenessero a due corpi
diversi. ciao, luisa! le ho detto, incrociandola. e l’ho fatta saltare, come se l’avessi
destata da un sonno profondo del primo mattino. sembri in attesa della tua vita
da qualcun altro, avrei voluto sussurrarle nell’orecchio nascosto da pochi
riccioli cadenti.
questo luogo
fatto di mille occhi mi osserva sfacciato, sembrava volermi dire con quel suo ciao
appena accennato. non che non avesse piacere di avermi incontrato, non era
quello. avevo come la sensazione che non avesse più con sé una madre che la
facesse sfebbrare e le rasserenasse la fronte bollente. silente, prudente e
troppo sensibile, così la ricordo, con meno rughe ai bordi del viso ed una
pelle più accesa.
ne vuoi uno? le ho
detto. odio gli amaretti, mi ha risposto, lasciandomi, muta, sul ciglio
della strada affollata.
- bi
[ph. michaela meadow]
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