mercoledì 27 aprile 2016

odio gli amaretti


non far morire il tuo sguardo sul marciapiede, avrei voluto dirle. alzali, quegli occhi spenti, facci entrare un po’ della luce del sole.

con luisa frequentavamo la stessa classe alle medie. non lo stesso banco, ma poco importava, perché io mi spostavo in continuazione, tranne durante le spiegazioni. mentre interrogavano sì, mi mettevo più avanti possibile, cosicché, se fosse servito un suggerimento, lo avrei potuto lanciare.

luisa no, restava sempre accanto alla sua compagna di banco, lì vicina, al sicuro dai discorsi. era riservata e le brillavano gli occhi scuri e quei riccioli sottili, pure, splendevano di carnalità. le sfioravano appena le spalle ed erano sempre ventosi: bastava un alito per farli dondolare al ritmo dell’aria.

ieri l’altro sembrava invece una mina vagante senza innesco. ti sei forse smarrita? avrei voluto chiederle. procedeva con passi incerti, uno sconnesso dall’altro, come se le gambe appartenessero a due corpi diversi. ciao, luisa! le ho detto, incrociandola. e l’ho fatta saltare, come se l’avessi destata da un sonno profondo del primo mattino. sembri in attesa della tua vita da qualcun altro, avrei voluto sussurrarle nell’orecchio nascosto da pochi riccioli cadenti.

questo luogo fatto di mille occhi mi osserva sfacciato, sembrava volermi dire con quel suo ciao appena accennato. non che non avesse piacere di avermi incontrato, non era quello. avevo come la sensazione che non avesse più con sé una madre che la facesse sfebbrare e le rasserenasse la fronte bollente. silente, prudente e troppo sensibile, così la ricordo, con meno rughe ai bordi del viso ed una pelle più accesa.

ne vuoi uno? le ho detto. odio gli amaretti, mi ha risposto, lasciandomi, muta, sul ciglio della strada affollata.
 
- bi
 
 
[ph. michaela meadow]
 

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