lunedì 4 novembre 2013

il due novembre


"qui radichi e cresca! non vuole, per crescere,
ch'aria, che sole, che tempo, l'ulivo!"
giovanni pascoli, canti di castelvecchio


il due novembre è dei morti. che s’illuminano ancora, che si cospargono di fiori allargati e dal profumo acre, che tornano coi vestiti di una volta, colorati di scuro e ben sistemati sui loro antichi corpi esili.
tornano nei ricordi di ciascuno, nei loro passi pieni di lumini da far brillare, nelle loro parole piene di eterni riposi, nei loro sogni, nei loro bisogni.
pare sempre nuvoloso il due novembre, come se il sole non sia necessario, ché i cimiteri da sé rischiarano i paesi e i loro contorni annebbiati. il vento parla deciso, passa la sua mano affettuosa sui visi schiariti da un ottobre trapassato, accompagna i pellegrinaggi tra le tombe piene di presenza e le cappelle spalancate.
entrate, non esitate. siete i benvenuti nella valle dei ricordi e delle memorie familiari. così pare che dicano i cancelli dei cimiteri aperti fino a tarda sera, che luccicano come i boschi di fine giugno abitati da lucciole giocherellone. sono i lumi a giocare a novembre, i bagliori minuscoli dei lumini arrossati che resisteranno, se saranno fortunati, una sessantina di giorni e di notti.
io ci tengo al due novembre. all’uno no, ma al due sì. la morte è una trasformazione che va festeggiata, come una nascita. è una rinascita e io la vedo così.
mi faccio il mio percorso dentro e saluto i miei nonni. sono ancora così, sempre uguali a prima, con quei visi frontali e tatuati di lavoro e fatica.
paolo non l’ho mai stretto corpo a corpo e l’ho sempre immaginato alto quasi un metro e settantacinque, magro e diritto, sorridente e furbo. chi parla di lui lo fa ancora con grande rispetto e sorride. paolo è un sorriso mai incontrato e sempre ricambiato.
anna l’ho amata fin da bambina sul mio divano di velluto color castagna. ampia e vestita di lane arruffate, con lunghi capelli argentei acciuffati in una cipolla intrecciata alla nuca. una diana cacciatrice che profuma di casa e robe cucinate e pane cotto al forno. seduta con fierezza all’angolo del terrazzo solo suo, accanto alla sua fedele rosa spinosa, su una sedia impagliata e leggermente deformata, sulla quale m’accoglieva in ogni istante.
enrico invece è mio zio, uno dei fratelli maggiori di mia madre. è morto nell’ottanta di tumore all’esofago ed è bello come pochi altri uomini mori e di montagna. alto, sicuro di sé e taciturno, vigile come un falco e regale come un principe delle foreste nordiche. lo ritrovo sempre avvolto nel suo sguardo languido e malinconico, uno degli ultimi condivisi coi vivi, credo.
zio bino è lì che sorride e accoglie tutti. come se stesse ancora di fronte al suo camino di marmo bianco, infilato nella giacca grigia da maestro severo e capricornino. come se stesse in cima allo scalino del camino, appunto, ciondolante sulle punte delle sue scarpe stringate in pelle nera. pronto a dirmi: “be’ allora, barbara, che stai studiando?” e a farmi sedere al suo fianco sinistro, per vedere un film di totò o un giallo di hitchcock.
cammino, scansando piante ancora incartate e piene di petali violacei o accesi di giallo. il silenzio domina nella valle e mi sento a mio agio. ci andavo anche di notte, per gioco e per sfida, nelle mie estati abruzzesi di tanti anni fa. e lì, allora, i vicoli apparivano delle possibilità spaventose e opprimenti. ora non più.
arrivo con la macchina la sera ed è una baldoria di luci, che si estendono lungo tutta la valle di santo martino e disegnano presenze remote. immagino il fare disinvolto delle donne che hanno trascorso i giorni appena accaduti a pulire le lapidi, a far sparire fiori secchi e piante sfinite, a pregare mentre spostano la scala alta con le ruote grandi.
il due novembre è di chi resta. di chi fa sparire le pupille al di sotto delle palpebre umide e prova a rappresentarsi nella testa il percorso che dalla vita porta ad un al di là sconosciuto, abitato da una luce supposta.
mi piace il due novembre, mi piace pensare che non ci si scordi di nessuno e che anche i morti più vecchi tornino nelle parole di un presente che non li vede protagonisti.
il due novembre è imbottito di boccioli appena nati, di cimiteri ripuliti e coi varchi allargati, di persone che s’incontrano e si raccontano le cose accadute nell’ultima manciata di mesi, di lacrime sommesse, preghiere dilatate e di luci.
luci accese in ogni dove. luci naturali di candele. luci narrate e non più solo intraviste. luci coraggiose, che cantano esistenza. luci che incendiano memoria orale e scritta. luci dei lumini.
il due novembre è della luce e di chi ha ancora voglia di accenderla, com’a dire che la morte, in fondo, è una candela sempre accesa.  

bi


 

[foto di ingrid endel]
 

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