lunedì 17 marzo 2014

frammenti di una giovane figlia


il conflitto con mia madre nacque giovane e forte e si sviluppò anche grazie al vestito a mezza tunica color beige. una specie di sahariana (così la chiamava), tipo camice, abbottonata sul davanti e stretta in vita da una corda da saio. odioso. brutto. smunto. questo pensavo di quel coso orribile.
le altre bambine giravano, illese e sorridenti, su vestiti lilla dalle principesche pieghe sulla gonna, che facevano delle ruote vorticose ad ogni giro su se stesse. il mio immobile. un quadro antico. era poi corredato dal mio stoico broncio, ben pettinato sul viso candido, scaldato dai miei due occhi intarsiati di giallo oro.
vestito beige da fraticello-femminino e broncio, un’ottima presentazione alla festa in giardino. l’unica cosa da fare restava quella di scatenarmi, a tal punto da far saltare quei bottoni sul davanti, uno ad uno. ma all’epoca era un atto decisamente troppo rivoluzionario e io non ce la potevo fare. allora mi limitavo a scatenarmi il giusto, senza far saltare i bottoni, ma tornando senza voce e senza fiato.
poi il conflitto si espanse, nutrendosi di eventi assai interessanti. come quando a settembre giungeva il momento di comprare il grembiule e il fiocco blu. tutti avevano dei grembiuli abbastanza spartani, con comodissimi polsini elastici, poche smancerie cucite sul fronte e fantastici fiocchi in fettuccia di cotone blu già infiocchettati. sì, già belli infiocchettati proprio.
il mio no, naturalmente per lei doveva essere differente, perché lei le cose uguali agli altri non voleva farle. ma non chiedeva a me, per sapere quale grembiule potesse piacermi di più, no. lei è nata bilancia ed è l’esteta per eccellenza. le scelte estetiche spettavano dunque a lei, per diritto acquisito dalla nascita.
e così io ero l’unica sfigata che aveva il grembiule bellissimo, ma senza elastici al polsino, con due maledetti bottoni, che mettevano a dura prova la mia già vacillante pazienza. ogni volta per lavarmi le mani era una doccia d’acqua lungo gli avambracci, perché, appunto, i bottoni non riuscivo a riabbottonarli. e fosse mai che io andassi in giro con le maniche ciondolanti del grembiule, mai!
poi il fiocco. un nastro spazioso e fulgido, degno delle cose più luccicose del mondo, liscio e setoso, da annodare ogni volta attorno al collo. ogni volta. non come quei fiocchi in fettuccia di cotone blu già infiocchettati di prima, ma un fiocco viscido che si sfiocchettava alla prima corsa in giardino e restava appeso senza vita al mio collo imbronciato. perché sì, ero imbronciata pure a causa del grembiule e del fiocco. e dovevo correre ogni volta dalla maestra, chiedendole di infiocchettarmelo.
poi venne il momento della comunione e lì ci fu poco da decidere insieme: quel simpatico del prete aveva deciso il vestito da suora per tutte e da frate per tutti. bianchi, tutti in bianco. ma in clausura.
ricordo ancora il servizio fotografico, che mio padre custodisce gelosamente, che mi ritraeva in quell’occasione più bianca del solito, con il collo stretto dentro la morsa di quel coso bruttissimo, pieno di suoritudine, che non mi rappresentava neanche un po’. imbronciata, sì, ma anche piuttosto triste. ero già calata nella emarginazione che si prova nel non sentirsi compresi.
un altro conflitto nasceva per i capelli, che lei tagliava per farli rinforzare. rinforzare da che poi non l’ho più capito, manco crescendo. comunque corti, al massimo a caschetto lungo le spalle, e ricuciti da una forcina sul davanti. ma non legati, ché si sarebbero indeboliti.
quindi prima di entrare a scuola, con tutto il grembiule coi bottoni e il fiocco pronto a sfioccarsi e la cartella con chili di libri dentro e tutte queste cose scomode qui, io mi facevo di nascosto i codini, improvvisando una riga sul retro che se mia madre l’avesse vista le si sarebbero accartocciate le budella su se stesse a spirale!
è così, il conflitto con mia madre è atavico e dura dalla notte dei tempi e si sfama giornalmente di incomprensioni da premio nobel. io parlo e lei non ascolta. lei parla e io non ascolto. io ascolto ma lei non parla. io mi metto in nero e lei dice marrone. lei dice gonna e io metto i jeans. eccetera.
eppure sono da sempre una figlia felice. ribelle, ma felice.

bi
 
 
[illustration by sara singh]
 
 
 

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