"il mondo è pieno di cose magiche
pazientemente in attesa
che i nostri sensi si acuiscano"
william butler yeats
(tra me)
mi fa senso passare nella strada asfaltata, che una volta era di terra battuta.
ci passavo in bici, seguita da una nube di polvere chiara. andava diritta, poi scendeva e io spalancavo le gambe, per ingoiare quell’aria verde e fresca, poi risaliva e le chiudevo per concentrare le forze lì, a spingere per salire.
non appena giravo a sinistra, s’apriva un viale stretto e all’orizzonte un bosco fitto e popoloso. ma la discesa per raggiungerlo era ripidissima, a risalire dico, ché a scendere siamo tutti bravi e coraggiosi.
allora giravo a destra e lì mi imbattevo in una serie di casette di campagna, un po’ improvvisate. non ville ricche, ma casette con piccole corti e prati selvatici, di trifogli e margherite bianche.
ora tutto questo non esiste più. ha vinto la grammatica del cemento e del catrame dell’asfalto. le auto ci passano felici e superano i cinquanta, tanto la strada è larga, ché ha rubato centimetri, quasi metri, ai prati incolti.
la verità? è che siamo impermanenti. tutto è impermanente. le vie, i prati, le margherite, le salite e le discese, le biciclette, le età, i sentimenti, le emozioni, le vite, i problemi, le opportunità, le decisioni, i desideri. tutto cambia, perché cambia sul serio. veramente.
siamo tutti il multiplo di qualcos’altro e qualcun altro e questa strada corvina e liscia e tutta diritta è il multiplo triste di quella sterrata e sconosciuta e così tanto emozionante, che ha perduto per sempre la propria impermanenza. per quanto io la conservi ancora bella stampata in mente e ne mantenga viva non solo la memoria scolorita, ma anche gli odori disabitati e le musiche indifferenti alla modernità.
oggi ci passo con la macchina, ahimé, e disinnesco il veduto con la veduta commemorata nella mia testa e i miei occhi ne rivedono i prati e le margherite coi trifogli e le salite e la nube di polvere chiara. e io non mi sento poi così tanto narcotizzata dai nuovi panorami senza nome e senza emozione, che mi si stringono attorno con una morsa insanabile.
ci ritrovo quello stesso incantamento, che mi tira come il dondolio di un’altalena lenta, che sale e scende, va avanti e torna indietro.
non c’è speranza per noi nostalgici. per noi che torniamo tanti attimi indietro, non uno, e lì, indietro, ritroviamo un conforto così tanto conosciuto e accogliente. non c’è speranza per noi sognatori dagli occhi spalancati, che ci tuffiamo nel nostro sguardo per entrare nell’anima delle cose. per noi che troviamo sollievo nella solitudine, che non è starsene da soli e basta, ma accarezzarci dentro e parlare alla nostra pancia. per noi che ci poniamo domande grosse come catene montuose, ché le risposte un giorno arriveranno.
per noi che nelle vite degli altri vediamo storie da narrare e mani da offrire e che alziamo la voce per la passione che vediamo ardere nell’universo e che non abbiamo l’orologio per perdere la consapevolezza del tempo e che vediamo la bellezza in una spiga di grano o negli occhi della persona che amiamo e che scaviamo nelle viscere di noi stessi per fare un passo avanti.
tra me e me mi dico ciò e altro ancora. tipo questo:
non è il mare che si ritira nel suo ondeggiare, ma è la terra che si riprende le sue radici.
bi
[illustrazione di christina tsevis aka crosti] |
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