venerdì 28 marzo 2014

alla voce entropia


se non ci fosse la gravità, non ci dovremmo alzare dal letto. saremmo già delle parti che nuotano in aria. con gli occhi chiusi, sì, e posizioni fetali che durano non più di qualche secondo. poi volteggeremmo un po’ orizzontali, un po’ no, verticali il giusto e obliqui quanto basta.
non alzarmi dal letto sarebbe uno di quei desideri fantastici, che se divenissero realtà vera – di tutti i giorni, dico – io proverei una gioia senza senso dalla bocca dello stomaco in giù.
come l’altro giorno, mentre guidano e pensavo a p. al fatto che stia poco bene e che comunque rimanga perfettamente sorridente e piena di energie. un po’ lo conosco il suo segreto, un po’ resto in attesa di conoscerlo meglio. allora, ascoltandola un pomeriggio, ho deciso di avvicinarmi a lei. ho pensato che da quel momento avrei iniziato a tenerle la mano e a dirle che ci siamo tutti in questa terra, a destreggiarci tra mille cose e grossi problemi, e cerchiamo di farlo tutti al meglio di noi stessi. e che la condivisione, lo starsi vicino una accanto all’altra a guardare verso lo stesso lato, ci fa sentire più forti, meno soli, più accompagnati.
lei mi ha accolta e ha stretto la mia, di mano. ecco. questa è una gioia profonda. quando esci da te ed entri nell’esistenza di un’altra persona. ho provato una felicità molto forte, che a dirla così un po’ si sciupa, quindi me la tengo per me.
non è che comunque non mi alzerei mai, se non ci fosse la gravità, perché ad un certo punto gli occhi mi si spalancherebbero e il mio sonno mi sussurrerebbe che si sente appagato e che basta così. questo accade il più delle volte dopo otto, nove ore almeno da quando ho iniziato a dormire e comporta un sacco di robe. tipo che alle nove di sera ho già sonno, per via della sveglia con gravità della mattina successiva.
ho gli occhi pigri, si vede, e pure io sono pigra, quindi andiamo perfettamente d’accordo. ché a fare troppe cose e sempre con ritmi velocissimi poi mi si svita un po’ il cervello e mi liquefaccio. sarà una difesa, questa.
a chi non piacerebbe nuotare nell’aria, in lentezza e sicurezza, eh? senza il rischio di precipitare, di provare il vuoto in pancia e le gambe pietrificate dalle vertigini che ti ingoiano, di dover stare sempre coi piedi per terra, anziché starci – che ne so – con le mani o la testa, eh? a chi non piacerebbe fare dorso senza bagnarsi, fare rana senza ficcare la testa sott’acqua, buttare via i braccioli e non doversi più infilare quelle ciambelle con le papere che ti sbattono in faccia. eh?
la gravità è impegnativa, ecco che c’è. ti succhia e t’incolla qui e non puoi volartene da un’altra parte. e non ci sono invenzioni supertecnologiche che reggano: il nostro destino è stare ancorati per terra sulla terra.
e allora non ci resta che farcela alleata, così come abbiamo fatto da sempre, e pesarci sulla bilancia, correre anziché volare, inventare le scarpe e comperarcene di mille tipi e mille colori, avere i capelli lunghi, che tanto restano appesi verso giù e non danno fastidio, sederci sulle sedie, dormire sui letti e fare, insomma, tutte queste cose scontate qui.
però una cosa bella ci resta: l’entropia. lei è ribelle e non risponde ai principi ordinati della gravità, ma subisce il fascino deformante della relatività e dello spazio che altera l’universo. dunque mi entropizzo un po’ anche io. 

bi

entropia
[en-tro-pì-a] s.f.
fis. Variabile termodinamica di stato, interpretabile come misura del disordine di un sistema


[ph. man ray, l'etoile de mer]



"io guardo spesso il cielo. lo guardo di mattino nelle ore di luce
e tutto il cielo s'attacca agli occhi e viene a bere,
e io a lui mi attacco, come un vegetale che si mangia la luce".

mariangela gualtieri, da fuoco centrale

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