se non ci fosse la gravità, non ci dovremmo alzare dal
letto. saremmo già delle parti che nuotano in aria. con gli occhi chiusi, sì, e posizioni fetali che durano non più di qualche secondo. poi volteggeremmo
un po’ orizzontali, un po’ no, verticali il giusto e obliqui quanto basta.
non alzarmi dal letto sarebbe uno di quei desideri
fantastici, che se divenissero realtà vera – di tutti i giorni, dico – io
proverei una gioia senza senso dalla bocca dello stomaco in giù.come l’altro giorno, mentre guidano e pensavo a p. al fatto che stia poco bene e che comunque rimanga perfettamente sorridente e piena di energie. un po’ lo conosco il suo segreto, un po’ resto in attesa di conoscerlo meglio. allora, ascoltandola un pomeriggio, ho deciso di avvicinarmi a lei. ho pensato che da quel momento avrei iniziato a tenerle la mano e a dirle che ci siamo tutti in questa terra, a destreggiarci tra mille cose e grossi problemi, e cerchiamo di farlo tutti al meglio di noi stessi. e che la condivisione, lo starsi vicino una accanto all’altra a guardare verso lo stesso lato, ci fa sentire più forti, meno soli, più accompagnati.
lei mi ha accolta e ha stretto la mia, di mano. ecco. questa è una gioia profonda. quando esci da te ed entri nell’esistenza di un’altra persona. ho provato una felicità molto forte, che a dirla così un po’ si sciupa, quindi me la tengo per me.
non è che comunque non mi alzerei mai, se non ci fosse la gravità, perché ad un certo punto gli occhi mi si spalancherebbero e il mio sonno mi sussurrerebbe che si sente appagato e che basta così. questo accade il più delle volte dopo otto, nove ore almeno da quando ho iniziato a dormire e comporta un sacco di robe. tipo che alle nove di sera ho già sonno, per via della sveglia con gravità della mattina successiva.
ho gli occhi pigri, si vede, e pure io sono pigra, quindi andiamo perfettamente d’accordo. ché a fare troppe cose e sempre con ritmi velocissimi poi mi si svita un po’ il cervello e mi liquefaccio. sarà una difesa, questa.
a chi non piacerebbe nuotare nell’aria, in lentezza e sicurezza, eh? senza il rischio di precipitare, di provare il vuoto in pancia e le gambe pietrificate dalle vertigini che ti ingoiano, di dover stare sempre coi piedi per terra, anziché starci – che ne so – con le mani o la testa, eh? a chi non piacerebbe fare dorso senza bagnarsi, fare rana senza ficcare la testa sott’acqua, buttare via i braccioli e non doversi più infilare quelle ciambelle con le papere che ti sbattono in faccia. eh?
la gravità è impegnativa, ecco che c’è. ti succhia e t’incolla qui e non puoi volartene da un’altra parte. e non ci sono invenzioni supertecnologiche che reggano: il nostro destino è stare ancorati per terra sulla terra.
e allora non ci resta che farcela alleata, così come abbiamo fatto da sempre, e pesarci sulla bilancia, correre anziché volare, inventare le scarpe e comperarcene di mille tipi e mille colori, avere i capelli lunghi, che tanto restano appesi verso giù e non danno fastidio, sederci sulle sedie, dormire sui letti e fare, insomma, tutte queste cose scontate qui.
però una cosa bella ci resta: l’entropia. lei è ribelle e non risponde ai principi ordinati della gravità, ma subisce il fascino deformante della relatività e dello spazio che altera l’universo. dunque mi entropizzo un po’ anche io.
bi
entropia
[en-tro-pì-a]
s.f.• fis. Variabile termodinamica di stato, interpretabile come misura del disordine di un sistema
[ph. man ray, l'etoile de mer] |
"io guardo spesso il cielo. lo guardo di mattino nelle ore
di luce
e tutto il cielo s'attacca agli occhi e viene a bere, e io a lui mi attacco, come un vegetale che si mangia la luce".
mariangela gualtieri, da fuoco centrale
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