giovedì 7 marzo 2013

quando la vita era tutta rosa e fiori

quando la vita era tutta rosa e fiori ero atterrita dalla paura del buio.
il buio era un nero fitto fitto e rumoroso di scricchiolii dentro le orecchie.
me le tappavo forte quelle, premevo fino in fondo per isolarmi e non sentire più.
gli occhi pure.
li strizzavo fino a farli diventare cianotici, da vedere dei puntini filiformi fatti di luce.
una luce tutta mia nel mezzo di quel buio allucinante.
mi giravo e rigiravo, certa che da un secondo all’altro avrei sentito un peso poggiarsi in cima al bordo del letto.
alle mie spalle, non di fronte.
una volta, mentre sudavo sotterrata da una coperta di cotone rosa (era pure estate, me lo ricordo, ma non ci pensavo minimamente a scoprire il mio esile corpo, prestandolo a simili esperienze col buio), restai senza respiro.
una mano a me troppo vicina sbatté due volte sul muro bianco della camera.
contai i secondi di muto terrore e di mancanza di ossigeno.
erano tanti, che ora non li ricordo nemmeno.
una mano aveva rotto il silenzio, non la mia.
eravamo sole: io e la mano.
e il muro, sì.
non so bene cosa successe, ma io ero immobilizzata e insudiciata e la gola era secca e la bocca ammutolita e il naso cercava aliti d’aria in silenzio e le gambe erano piegate e gelide e le braccia mi stringevano a loro e la stanza era buia.
nera come la pece e il silenzio mi stava stordendo.
presi un po’ d’aria.
zitta.
muta.
la mano non doveva capire ch’io fossi sveglia e l’avessi sentita sbattere vicino a me sul muro bianco fatto a volta.
l’aria era fresca.
era buona e rassicurante e ripresi a respirare.
lentamente.
in silenzio.
nel buio.
il cuore era impazzito e non riuscivo a farlo tacere e batteva, mi batteva in pieno petto, dentro il mio pigiama zeppo di sudore.
sei viva, mi diceva.
era vero, ero viva sul serio.
e sveglia, ero sveglia.
ero lì.
la mano pure.
mossi furtivamente il braccio destro.
dapprima piano, senza far rumore.
poi in modo meno incerto, accompagnandolo con un sospiro.
fu proprio quel sospiro a restituirmi sicurezza.
coraggio, mi disse, accendi la luce in questo buio.
era troppo.
la mia mano sarebbe dovuta uscire allo scoperto, rischiando di incontrare l’altra.
la mano altra.
contai.
uno, due, tre… a dieci, dissi, a dieci accendo.
quattro, cinque, sei… a dieci accendo, sì.
sette, otto… a dieci ammazzo il buio.
nove… dieci.
e luce avvenne.
gialla, tiepida e familiare.
una rassicurante e tenera luce gialla.
il soffitto a volta era bianco e disegnava ombre allungate e amiche.
io ero lì, bianca come il muro.
il muro bianco era accanto a me.
era vero, ero ancora viva.
e sveglia, con gli occhi spalancati.
il cuore mio trovò consolazione e i miei occhi trovarono la loro verità.
eravamo soli: solo io e il muro.
nessuna mano, nessuna mano che potesse sbattere ancora.
quando la vita era tutta rosa e fiori tutti credevano che ci fossero soltanto rose e fiori.
io già sapevo che ci fossero anche le mani.

bi
 


[creazione di nicoletta ceccoli artist]
 

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