martedì 28 maggio 2013

a te i miei occhi

sono nel grido di un treno lontano, di ritorno dal posto che fu.
una nebbia appannata di tempi ibridati m'incornicia ed ecco che adorna anche te.
t'incontro e gioisco e la mia mano s'incolla sulla tua guancia color latte così tanto familiare.
ti rivedo, teresa.
e rosea e pallida e fresca, proprio com'eri allora, mi rispondi che sì, ne sei felice.
ché sempre lo dicevi, finché la corporeità che t'ospitava te ne aveva accordato il permesso.
accenni un sorriso serrato su quelle sottili pieghe della bocca.
mi cogli e mi stringi a te con le tue dieci dita grosse.
piccolo essere selvaggio, mi dici, esistono alberi incolti e tu sei una di quelli.
quando i cuori avranno pensieri, continui, diventerai corteccia e ti fonderai con essa.
vivrai nell'immensità che tanto canti, laddove m'incammino anch'io senza più fatica.
mi guardi con il turchese dei tuoi occhi di cristallo e resto lì.
con te, per te.
qualsiasi pigreco saprebbe ridisegnare la tua armonica rotondità e scattarne una fotografia.
donna di genuina ed educata gentilezza, senza libri ed istruzione aggiunta, donna vera, amabile signora.
la tua era una camera con svista.
un tranello, uno scherzo, una vita a due mancata.
sola da sempre, perché senza marito, madre di due figli.
venuti dal cielo, così pensavo che fossero.
parlavi del tuo uomo morto come uno scrittore parlerebbe di un suo personaggio.
un alito che esiste soltanto nell'occhio di chi lo sa vedere tra le righe.
non ho bisogno di nient'altro, dicevi, quando mi siedo al tavolo coi figli miei.
ed io nel guardarti mi facevo invisibile come un vetro che t'osservava e risputava riflessi muti.
eri bella.
la nebbia si fa tenue e ci apre un bosco di foglie e muschi e umidità e odori pregnanti.
lo vedi, mi chiedi, nei tuoi andirivieni disabiti luoghi e cavalchi orizzonti.
attraversi altri esseri viventi, ti cibi del loro spazio e doni loro del tempo.
non vedo.
ecco, mi dici, a te i miei occhi.
e te li stacchi uno ad uno, facendoteli scivolare sulla mano destra.
turchini e bianchi.
a te i miei occhi, dici dolcemente e me li doni.
ora lo vedo, teresa.
è come se io stessi seduta su una nuvola ed essa mi trasportasse da un essere a un altro.
ora vedo, finalmente.
non trovi parole che come i frutti di un albero riescano a raccontarmi la vita della morte, concludi.
ma tu continua a farle volare sulla bocca, mi sussurri, affinché le possa trovare anch'io.

a teresa, la sorella di una nonna che, anche lei, fu.

bi




“pensavano che anche io fossi una surrealista,
ma non lo sono mai stata.
ho sempre dipinto la mia realtà,
non i miei sogni".

frida kalho

[illustrazione di andy kehoe]

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