i pomeriggi di luca erano in finestra.
un po’ faceva i compiti, seduto composto sulla sedia della cucina nel lato corto del tavolo. i libri ordinati, i quaderni senza orecchie, le matite e le penne colorate sistemate nell’astuccio dalla forma regolare e allungata.
la finestra era di fronte al tavolo. gli bastava distrarsi un attimo e alzare lo sguardo per avvertire forte la pulsione ad alzarsi. la apriva e si affacciava. premeva con gli avambracci sul davanzale e restava un po’ penzoloni con i piedi, le gambe scendevano morbide. e senza accorgersene ci restava un bel po’.
nato nella terra degli ulivi e dei trulli, tra il mare ventoso e chiaro e l’entroterra tinto di verde e a tratti brullo, luca era obbediente, studioso il giusto e amava arrampicarsi sugli alberi.
io lo vedevo da fuori. vedevo che vagava con gli occhi giù per la strada. la rastrellava meticolosamente e ne copriva tutti gli angoli, anche quelli in ombra.
- sali, ti faccio vedere.
mi disse una volta in cortile. e da allora restammo amici. era pieno di biglie di vetro colorate e aveva una bici comodissima per andarci in due, perché aveva una di quelle selle dalla forma allungata e ben imbottita, tipo un motorino.
avevamo scoperto di andare alla stessa scuola elementare ed avevamo preso anche ad andarci insieme. stavo bene con lui, potevamo parlare della mia bambola di colore, della scrittrice jo del romanzo “piccole donne” e del suo amico lorence, dei soldatini pieni di vita schierati nella sua libreria, dei bambini con gli occhiali, della lebbra e di raoul follereau, senza che io mi sentissi una marziana inavvertitamente caduta dal cielo e lui sembrasse un bambino di un altro universo.
mi invitò quella mezz'ora nella sua vita e mi mostrò un mondo che non conoscevo. luca si affacciava tutti i giorni in finestra e si sceglieva le macchine. le automobili parcheggiate per strada e nei cortili, che si riuscivano a sbirciare dalla finestra della sua cucina, erano tra i suoi passatempi preferiti. si sceglieva e contava quelle che gli piacevano di più, quelle che avrebbe voluto per la sua famiglia. tipo la lancia thema grigia, la y blu, la panda bianca, la jeep grigia, l’alfa romeo rossa, la golf nera, la peugeot cabrio, la grande volvo station wagon e altre cose così. le altre no, non le sceglieva. tipo la ritmo, la croma, la uno e queste più bruttine.
non capivo a cosa servisse fare queste scelte, contare le macchine belle e ignorare quelle brutte, ma mi divertiva. e luca mi aveva insegnato i nomi delle macchine e il fatto che il colore fosse un elemento estetico fondamentale.
il suo era un immaginario coltivato, a righe orizzontali e accoglienti, azzurro mare e a tratti rosa e marrone. non vi era nulla di euclideo nel suo sguardo e in ciò che faceva, eppure tutto sembrava rispettare un segreto equilibrio, il suo, e un’armonia celestiale. c’è un oltre in ogni oggetto e lui sapeva catturarlo. nelle auto ad esempio lui sapeva cogliere la storia della vita di chi le guidava e ne faceva una storia per sé, da non dire a nessuno.
spesso lo trovavo a braccia conserte e andavo per aprirgliele e lui le stringeva ancora più forte sul petto suo, a tal punto da non riuscirle più a staccare.
- mi scaldano il cuore.
così diceva. e un giorno disse pure:
- la verità si trova nella mezza luna che non vedi.
da allora non guardo più alla luna come ad un satellite che non sa splendere di luce propria, ma come a una luce intermittente, che a volte regala il suo chiarore, altre volte la sua ombra.
sì, come noi persone.
bi
[illustrazione di joe sorren]
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