mercoledì 15 maggio 2013

la cugina di agata

cadde all'improvviso.
le cadde accanto, facendo un tonfo soffocato e secco e lasciandola impietrita, a guardarla con due occhi sgranati così. più di un cuore sembrava batterle in petto, ché uno le sembrava poco per il chiasso che le si agitava dentro. 
lo sentiva dire da giorni quanto sua cugina fosse preoccupata e pure triste, per questo era andata a stare un po' dagli zii, coccolata in famiglia e lasciata tranquilla con se stessa e con le sue ferite sgranate. quando desiderava stare in compagnia, c'erano loro. suo zio le sorrideva, le carezzava il capo con l'affetto e la comprensione di un adulto piuttosto giovanile e le offriva sempre di rimboccarle l'acqua nel bicchiere. sua zia la stringeva a sé e si raccomandava che stesse bene, che non pensasse agli altri per quei giorni e che mangiasse, soprattutto.
agata le stava piuttosto addosso, le leggeva cose, dormiva con lei e stefy si divertiva a giocarci e le parlava di cose da grandi. di cerette, per esempio, e di trucco da stendere sul viso, cose che agata non avrebbe mai fatto, le diceva, né comprato neanche da grande. mai, no.
era figlia unica, agata, sola e solitaria e, sebbene sua cugina avesse undici anni di più, era felice quando poteva stare con lei, occupare gli stessi spazi suoi, dormirci, lavarsi i denti con lei, mettersi le sue ballerine allungate e ampie e dorate.  
era estate piena e quel giorno stefy indossava una gonna che la avvolgeva fin sopra alle ginocchia, tinta di una fantasia geometrica blu, azzurra, bianca e gialla, con cerchi, piramidi e quadrati. sopra aveva messo una canotta corta azzurro scuro, sottile, liscia.
cadde all'improvviso, mentre erano in un negozio di vestiti. agata e i suoi occhi sgranati le si avventarono sopra, preoccupati di coprirle subito uno dei seni, che sfuggì svelto dalla canotta. le sistemò in fretta anche la gonna, che aveva lasciato scoperta una gamba abbronzata. in un attimo arrivarono gli altri, che pure si precipitarono attorno a stefy con affanno.
- è svenuta! solleviamole le gambe!
si affrettarono tutti a darsi da fare per stefy. le alzarono le gambe, facendo scivolare il suo corpo forte verso il muro e facendo aderire i piedi alla parete. per far scorrere il sangue, dissero.
agata si preoccupò subito di sistemarle la gonna, facendogliela scivolare in mezzo alle gambe, affinché la tenessero bloccata.
- sarà colpa del succo di frutta freddo.
faceva terribilmente caldo, non si muoveva neanche un alito di vento e il sudore ghiacciato si era fermato sulla fronte di stefy. agata glielo asciugò, tamponandola con la sua maglietta di cotone bianca. aveva un pagliaccio disegnato sulla maglia, rosso e giallo e sorridente. le carezzava la fronte e le tempie con la maglia, per asciugarla da quell'ansia traboccante.
la donna del negozio portò un catino con acqua fresca e la zia cominciò a bagnarle i polsi bollenti. la sfiorò adagio e di continuo e le sussurrò cose che stefy non poté ascoltare, forse.
agata era lì.
i genitori di stefy non c'erano. in casa loro vi era una guerra sempiterna, liti che la facevano sentire minacciata e le segavano le ali. le ali di stefy.
agata era lì.
a controllare che la gonna restasse ferma e composta, che la fronte smettesse di agitarsi e si mantenesse secca, che la canotta custodisse al sicuro i suoi seni giovani e scuri, quelli di sua cugina stefy. un fiato d'aria e le premure di tutti la rianimarono e con estrema lentezza e prudenza stefy cominciò a riprendere vita, per poi sollevarsi da terra e tornare eretta, seppure con esitazione e debolezza. i suoi colori stiepiditi tornarono a illuminarle il viso e, bevuta un po' d'acqua, si allontanarono tutti dal negozio per tornare a casa.
- ti sei spaventata, agata?
le chiese stefy, una volta a casa.
non era proprio spavento, in verità. fu un'altra la sensazione, più lunga, più profonda: si sentì precaria e inerme, quasi non padrona dei propri movimenti, così le disse. quegli occhi così immobili, sbarrati in avanti contro stefy, che giaceva a terra scomposta, i suoi cuori galoppanti e ululanti in petto, il pensiero che sua cugina non potesse riaprire gli occhi, mai più, e la visione dell'intimità nocciola del corpo di stefy, gettato a terra in balia di tutti, quello proprio non riusciva a scordarselo. 
- ma non preoccuparti, stefy. mi sono presa cura io di ricoprirti e sistemarti i vestiti mentre eri a terra. nessuno ti ha scoperta.

bi
 


[immagine di sam wolfe connelly, "harvest"]
 

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