giovedì 13 giugno 2013

fotografata


 
tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza
della vita è composta d'ombra e di luce.
(lev tolstoj, anna karenina)

 

la sua era nera, bordata d'argento in minuscoli tratti. di quelle con gli obiettivi di diverse dimensioni da svitare e riavvitare. ci guardavo dentro e non riuscivo a trovare la giusta messa a fuoco.
lui sempre.
mi ricordo di scatti bianchi e neri e quadrati, bordati di coste frastagliate e spesse. di carta satinata, mai lucida. le faceva stampare sempre così, opache. per lui erano più belle.
dai primi giorni di vita, rilassata e curiosa tra le braccia di mamma luce. la fissavo nei suoi occhi a spicchi come due castagne autunnali quasi gemelle ma asimmetriche, quelle di fine settembre. del ventisette.
mi ricordo quelle scattate di corsa, piene di echi di risate leggere. su marmi dai disegni astratti e cremosi, su mattonelle a rettangoli arancio bruciato messe sbieche e incrociate, su asfalti ruvidi e scuri, sulla sabbia battuta dall'acqua.
lui con me, assolato di tramonti rossi e opachi.
con la barba nera allungata e potata, le dita lunghe piene di corde da suonare, le mani potenti. i suoi scatti erano quadri, ogni volta dalle sfumature nuove. la sua macchina sempre con sé, portata a mano, nonostante la cinghia per appenderla al collo. la stringeva tra le mani, con l'indice pronto a dipingere.
mi ricordo di stampe rosate, quasi fucsia. un errore, diceva, al momento dello sviluppo. un incontro con la luce, che aveva alterato la vista a colori naturali. erano primi piani, in cui inquadrava una me seienne, pettinata, sorridente in modo educato, un cerchietto di margherite che m'incorniciava i lineamenti e che nuotava tra i capelli cenere portati appena sotto il mento. intorno tutto fucsia. rosa scuro, dico. il viso, il salone dietro le spalle, gli occhi giallastri… tutto era rosato. ed io non ci vedevo errori.
sembravano una gara quelle fotografie. in ogni quando ed in ogni dove portava la sua macchinetta con noi. e immortalava anche le mie lacrime bambine. come quando staccò le rotelle dalla bici blu e bianca, sul marciapiede della rotonda di ostia, e mi disse: ora puoi andare! la paura mi agganciava le caviglie e l'equilibrio mi portava a destra e sinistra e le mie lagne si tramutavano in fotografie con la bocca aperta e gli occhi raccolti in mezzo a rughe fanciulle di pianto.
mi ricordo il cavallo a dondolo al centro del salone, galoppante di libertà e zeppo di vento tra i capelli. le canzoni cantate al microfono, tutto di metallo e senza spugna nera sulla sommità: glielo avevo detto io che s'era sbagliato a comprarlo. i libri sfogliati seduta sul divano di pelle fresca color terra. i primi giorni di scuola con i fiocchi azzurri sempre troppo abbondanti. gli abbracci coi cugini. l'arrivo di quella tanto amata sorella, che ci ha messo nove anni per raggiungermi. i prati, i mari, i monti, io e mamma luce, io e il mio angelo.
immensamente amata e così tanto fotografata. per tanti compleanni e tempi importanti. importanti perché fotografati.
mi metteva al centro del suo occhio e mi lasciava lì, stampata su una carta resistente ed eterna.
domani compirò trentanove anni e correrò da lui, per farmi fotografare.
ancora una volta.

ai miei trentanove anni, ritratti su carta e custoditi con gelosia ed amore incondizionato.
a mio padre angelo, il primo uomo che abbia amato. 

bi
 
 


[fotografata nel 1974]
 

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