"non sempre io sono del mio parere"
paul valéry
paul valéry
avevo dei pantaloni a fiori gialli su uno sfondo blu sbiadito, tipo jeans. pantaloni di cotone, sottili e affusolati, con un bottone di metallo e le tasche tagliate strette. i fiori erano tipo delle minuscole margherite con i petali appuntiti, ma ti ci dovevi avvicinare parecchio per distinguerne la forma. gialli accesi, di un giallo sicuro di sé, più di quanto lo fossi io al tempo di me stessa. il blu invece era incerto, non sapeva se essere più azzurro o più blu e restava così: insicuro di sé.
indossare un pantalone a fiori era come rotolarmi su un prato di velluto e tatuarmelo addosso, senza ammazzare i fiori, né schiacciar loro le teste. erano un messaggio chiaro al mondo: io amo la natura, che non si vede? perché se non si vede, siete voialtri a non capirlo.
avevo un paio di ginocchiere rosse. di quelle da pallavolo, con le quali facevo la riserva, in panchina. ero bassa e la mia elevazione faceva parecchio schifo, ma le prendevo tutte. le battute, le schiacciate. tutte e dico tutte. ma ero bassa e avevo poca elevazione e quindi me ne stavo in panchina, felice e con infilate le mie ginocchiere rosse.
le tenevo basse all'altezza della caviglia mentre camminavo a bordo campo. mi davano un tono, serio e al tempo stesso affidabile. camminavo come una che sapeva tutto della vita e che studiava tutti i giorni fino alle sei. quando le infilavo sul ginocchio, o ne mettevo una sì e una no, era il momento di giocare. ed ero più felice di quanto fossi felice in panchina.
avevo una chitarra classica. un regalo di mio padre, che ci sperava che imparassi a suonare qualche corda di robe sue. quindi un natale andammo in centro con la metro. gli stringevo la mano forte, perché quei posti pieni di gente mi mettevano inquietudine.
come potevi fare a mettere d'accordo tutta quella gente insieme? non potevi farlo e ci credevo allora che ci fossero ladri e scippatori sulla metro, come quelli che avevano strappato la borsa dalle mani di mia zia, scioccandola per settimane.
in centro arrivammo in questo negozio bellissimo, accanto ad uno di vestiti per preti. pieno di strumenti fino al soffitto. di tutte le grandezze e colori, arrampicati su scaffali ordinati o appuntati sulla parete con dei chiodi invisibili. avevo paura che ci crollassero tutti addosso e che mio padre non avesse il tempo di pagare la mia chitarra.
il fatto è che non la seppi suonare mai e tuttora non so come funzionino gli accordi. però quando scrivo mio padre legge tutto. e gli vengono gli occhi lucidi lo stesso, pure se le parole non sono note accordate.
avevo l'enciclopedia degli animali. dodici volumi neri e lisci, con la doppia copertina e una foto gigante e coloratissima al centro. suddivisi tra mammiferi, insetti, uccelli, invertebrati e insieme rettili e anfibi. non mi ero mai resa conto che in fondo i rettili e gli anfibi fossero meno degli invertebrati. e che siamo pieni di mammiferi (quattro volumi, tipo più del trenta percento degli animali esistenti al mondo).
li ho letti tutti e dodici, alcuni più volte negli anni. tipo i cani. le cui pagine ho consumato per quanto le ho leccate e sfogliate. volevo un cane, era ovvio. non un gatto, che non potessi portare con me al guinzaglio e richiamare. un cane vero da portare al giardino, per mostrarlo a chi avesse il cane prim'ancora che ce lo avessi io. per dirgli: vedi? adesso ce l'ho. poi ci trovavo le somiglianze con i cani meticci che giravano sotto casa mia e che io chiamavo col fischio quando scendevo alle quattro. e comparivano, scodinzolando.
oggi ho tre gatte più i neonati e zero cani. segno che nella vita un sacco di volte dici -a- e succede -b-.
avevo due dischi ellepi di heidi. hanno girato talmente tante volte che si sono trasformati in energia universale e non esistono più sotto forma di dischi ellepi.
sapevo a memoria quanti panini heidi avesse portato alla nonna cieca di peter, quante volte fosse salita sul tetto della casa di clara per cercare di scorgere le sue montagne nel grigio di francoforte, come fosse fatto il letto di fieno al piano di sopra della casa del nonno, come si chiamassero tutte le capre (mica solo fiocco di neve, che era facile), come fischiasse il vento in mezzo alle alpi, come piangesse la piccola heidi nei momenti di struggente tristezza, come si stesse senza una mamma e un papà, quali compiti facesse fare la signorina rottermaier e pure tanti altri pezzi.
sono cose che ti segnano per sempre le cose che hai. e, come dico sempre, difficilmente sono solo cose.
bi
[immagine di mab graves "harlow and the faerie ring", tratta da pop surrealist]
Nessun commento:
Posta un commento