mercoledì 11 settembre 2013

storia di un luogo chiamato amore



scritto lo scorso undici settembre
per un amore oggi quarantunenne






- qual è il segreto per restare insieme quarant’anni?

- ascoltare insieme la sua musica classica e i miei celentano e morandi, dentro la stessa macchina, dentro casa con lo stesso stereo. che poi sono quarantasei: sei anni di fidanzamento ufficiale, quando si fece più di centocinquanta chilometri con la cinquecento di suo padre, in mezzo alla neve alta e senza autostrada. era san valentino.

abbassò lo sguardo e lo fece scivolare giù, immergendolo nel pavimento. il suo naso sottile ed appuntito creò un’ombra sulle labbra, che trattennero altre parole. era volata proprio lì, verso quel san valentino. ed io la vedevo.

- fuggiva da me appena possibile, perché sapeva che ero lì ad aspettarlo. e non si faceva aspettare poi molto. altre volte invece l’ho aspettato a lungo, senza che arrivasse mai. rubava la macchina a suo padre, neanche ne aveva ancora una tutta per sé. l’amore è un atto di coraggio, sai? un giorno ci lasciammo. il distacco durò sei mesi, forse di più, eppure tornò lui e mi giurò che sarebbe stato per sempre, se io l’avessi voluto. “o me, o la musica” gli risposi secca, senza neanche concedergli un’occhiata. sapevo bene cosa gli stessi chiedendo. bene, lui fu coraggioso: scelse me. era la sua assenza che non potevo sopportare, il fatto che non ci fosse, che io mi sentissi abbandonata, mentre lui trascorreva le sue serate fuori tra musica e musicisti, in un mondo in cui io non avevo spazio. continuò a suonare comunque, ma in modo diverso: suonò per me, per l’aria di casa nostra, per insegnare la sua sensibilità agli altri. con passione, la sua.

- erano bellissimi: lui, il suo violino e la sua folta barba nera.

- sì, eccome! ci sposammo un lunedì pomeriggio, con poco, pochissimo, ma comunque con ciò che fosse sufficiente per amarci. anche per litigare, scontrarci, ammusarci, ritrovarci, abbracciarci, perdonarci e perderci nei nostri sguardi innamorati, ancora una volta. quel giorno era bellissimo ed il vestito glielo regalai io: un mezzo tait nero, con sotto una sottile camicia bianca ed un cravattino nero nascosto sotto al collo. portò i suoi occhi verdi bagnati dalla commozione fino ai miei. e ci scambiammo il nostro per sempre.

quel giorno anche lei era uno splendore, un raggio di luce incantevole che camminava sognante, accompagnata da suo fratello, nell’assenza di un padre mancato troppo presto. il suo sguardo lo gridava in silenzio: “vorrei infilare il mio braccio destro in quello sinistro di mio padre”.
a lui dedicò un trucco azzurro come il cielo abruzzese di settembre e delle rose chiare appuntate su una lunga veste candida, liscia e raffinata. se le mise anche in testa e profumava di mancanza e bellezza. tutta.

- siamo il giorno e la notte, eppure non ci siamo arresi. io non mi sono arresa.

e sottolineò quell’io, portando in alto le sopracciglia nere e ben disegnate, incantandosi in un movimento oscillatorio e regolare del mento, dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso, in un moto perpetuo che in quel momento generava un’energia cosmica che ci avvolgeva tutte.
avevano sofferto entrambi molto e non c’era alcun bisogno di dirselo a parole. eppure avevano sempre avuto il potere di tramutare il dispiacere di uno scontro in un nuovo inizio.

- ci si sceglie e ci si ama. pienamente, capito? sono le anime a scegliersi e i corpi le seguono senza indugio, nel rispetto reciproco. quando ci è capitato di esitare, sono corsa a cercare mio marito, l’ho fermato all’ingresso di casa e l’ho interrogato con lo sguardo. glielo dicevo che ero lì, che la comunanza avrebbe vinto sulla differenza, e glielo dicevo quanto lo amassi. anche in silenzio. e lo ha fatto anche lui con il suo, di silenzio. ci si ama anche così, senza le parole.

- qual è la verità del vostro amore?

- la nostra verità è che devi gridare, se l’amore grida forte, e che non devi smettere mai di guardare verso la stessa direzione.

- e se uno si confondesse e distogliesse lo sguardo?

- l’altro dovrebbe essere bravo ad accorgersene, andarselo a riprendere e riportarlo lì. il nostro amore non è un quando, è un dove da vivere e arredare insieme. questi quarant’anni sono un luogo chiamato amore.

uscì poco dopo, uscì assieme a lui. lui le prese la mano, lei gliela strinse nella sua.
la sera nel letto lei gli diede la buona notte, allungandogli un bacio sulle labbra e poggiando i piedi caldi sui suoi, sempre gelidi. lui si scaldò. lei gli chiese di abbassare il volume della tivù, lui lo abbassò.
lui la chiamò amore, con l’ardore di un eterno schiodato dal tempo, e lei lo sognò quella stessa notte.
non sognò un quando. sognò un dove.

bi

(a mio padre e mia madre,
al loro matrimonio oggi quarantunenne).



[immagine tratta dal film
"ferro 3 la casa vuota"
di kim ki-duk:
"siamo tutti case vuote
e aspettiamo qualcuno
che apra la porta e ci renda liberi"]

Nessun commento:

Posta un commento