giovedì 24 ottobre 2013

nome comune di cosa / maschile / singolare / minuscolo







è al sapore di agrumi.
in realtà di due limoni con foglia e dalla buccia erta, strizzati a mano nello spremi-agrumi di plastica bianco e giallo scuro.
dalla finestra entrano beffarde urla dei bambini dell’asilo vicino.
si staranno spingendo su quelle slanciate altalene di ferro blu, un po’ attempate e ossidate.
resto in silenzio.
senza tivù, né musica, solo i fragori esterni che s’intrufolano quasi a dispetto.
è assai nuvoloso, di un grigio antracite chiaro e sfumato di canna di fucile.
poco vento.
eppure i brividi mi attraversano la superficie della pelle indisponente.
il riso è di colore bianco latte.
leggermente attenuato dai bocconcini di pollo dorati in padella.
la tovaglia rossa è ripiegata a metà, quella giusta per una me solitaria.
vado lenta.
e svuoto la prima ciotola.
passo alla rucola, piena di limone anche lei.
senza limone pare che io non sappia più mangiare.
come appena sveglia.
percorro come un fantasma la cucina, apro la finestra verso il buio che c’è prima delle sette e apro il rubinetto dell’acqua calda.
faccio che scorra un bel po’.
ci riempio il bicchiere e ci spremo mezzo limone dentro.
bevo incerta, più perché faccia bene che per il gusto dell’aspro di prima mattina.
nello speck ho spruzzato l’aceto balsamico.
mi piace e altera il giusto l’impressione della carne che spinge sul palato.
solo due fette.
le grida continuano e mi avvicino alla finestra per cercare di vederli giocare.
si staranno rincorrendo, penso, perché non riesco a vederli.
una volta si vedeva tutto da lì.
lo sterrato, il prato, il giardino dell’asilo e l’asilo.
ci arrampicavamo su per la rete e ci intrufolavamo a giocare nei pomeriggi in cui veniva svuotato.
e c’eravamo solo noi, in quattro o cinque.
un giorno alessandro sbatté il lato destro del cranio su uno spuntone dello scivolo.
forte.
un fiotto a due corsie di sangue scarlatto scuro sgorgò come un fiume selvaggio davanti a noi.
agnese cominciò a piangere.
disperata.
io mi affrettai a strillare di correre tutti a casa di alessandro, per farci aiutare da sua madre a fermare quella piena dalla testa.
ci restò impresso a lungo e lì non ci tornammo più.
la vivemmo come un rimprovero della vita quella cosa.
un non si deve fare e non si fa e allora non lo facemmo ancora.
libero la tavola, lasciando la tovaglia stesa nella sua giusta metà.
non ci sono molliche, perché il pane non lo mangio se non in bruschetta.
faccio per chiudere la finestra, prima di uscire di casa.
la vedo al suo solito posto.
è la rosa, quella di quasi due metri.
solo due giorni fa aveva ancora la testa ricoperta di petali rosa sbiaditi dal velluto della loro consistenza.
oggi ne ha solo due o tre, non di più.
è l’inizio della fine di ottobre anche per lei, che è fiorita con la primavera dell’inverno.
mi manca già quella sua fierezza femmina che mi guarda dall’alto verso il basso.
o dal basso, quando la cerco dall’affaccio di casa mia.
è pranzo.
il nome comune di cosa.
maschile.
singolare.
(minuscolo).

bi



[ph. bi: aceto balsamico, tracce]

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