mercoledì 16 ottobre 2013

rose rosse

sedevano composte in un tavolo da sei. la tavola apparecchiata era movimentata e le cose vi giravano sopra in ordine sparso, seppure fosse pulita e senza macchie, senza acqua caduta accidentalmente e schizzi di sugo attorno ai piatti bianchi. erano quattro giovani fanciulle e una donna adulta di spalle.
due parlavano tra di loro, messe una di fronte all’altra. se l’erano scelto prima di sedersi quel posto – ne sono certa – proprio per ritrovarsi con i visi allo specchio e le parole incrociate al loro centro. fammi assaggiare la tua pasta, diceva una. sì, sì, ché è buona anche senza il sugo di mamma, le rispondeva l’altra.
sorelle, quattro sorelle, seppur differenti nei colori e nelle linee.
una era buttata sull’angolo vicino alla finestra, silenziosa e dedita ad agghindarsi le ciocche castane chiare. appena dodicenne – così pareva – con lunghi capelli annodati su loro stessi in caduta nel lato sinistro del viso, con le punte schiarite dall’estate finita.
sembrava slegata dal resto del tavolo, come se cenasse da sola e senza ingoiare cibo. si era accostata una fine rosa rossa sulla guancia destra, facendola scivolare avanti e indietro, per trovarne la più giusta inclinazione per una bella inquadratura. voleva scattarsi una foto, che sembrasse presa d’improvviso e senza studio, naturale quanto basti per piacersi sotto la stessa luce in cui presumibilmente la vedesse il resto mondo.
di fronte a lei una bambina poco più piccola mangiava il pollo in silenzio. anche lei aveva una rosa rossa, sistemata in perfetto orizzontale tra il bicchiere ed il piatto pieno. gli occhi li affondava nel piatto, poi li faceva risalire in aria e li spostava verso destra, alla ricerca di sua madre.
una donna mora, esile e composta era seduta infatti a capotavola a raccoglierle tutte davanti a sé. era impegnata con il suo telefono cellulare, mentre attorcigliava scomposta una folla di spaghetti sottili, che le sfuggivano dal piatto. poi alzava lo sguardo, passava in rassegna le sue quattro creature sedute a tavola, controllava che i piatti si stessero svuotando, per poi tornare nei suoi pensieri affondati nella luce artificiale del telefono. aveva donato a tutte una rosa rossa.
intanto le parole continuavano ad incrociarsi tra le due sorelle frontali, accomodate rispettivamente alla destra e alla sinistra della madre. brevi visi accesi da sorrisi e pensieri bambini, contornati da capelli sciolti e ben organizzati lungo le loro schiene.
quella di sinistra sorrideva di continuo e restava impegnata nel suo piatto ricco di pietanze verdi attorno ad una fettina di carne scura. agitava la sua rosa rossa col braccio sinistro, accompagnando discorsi spensierati e gesticolando allegria e garbo.
la sorella di fronte la ascoltava divertita, interrompendo a volte con frasi corte quel monologo così ben articolato. aveva un bel viso tondo, accerchiato da lunghi capelli cenere, che le coprivano il profilo gentile. avevo preso di getto la sua rosa rossa e aveva cominciato a sventolarla sul muso di sua sorella, ridendo a voce piuttosto alta e muovendosi sbattendo sul tavolo e spostando la tovaglia. i suoi erano movimenti selvaggi e poco ponderati, quasi poco consapevoli di siffatta potenza, pronti a scoprire un viso piatto con due mandorle perfette al posto degli occhi.
tutte e cinque separate e a sé stanti, eppure così unite da amorevoli fili invisibili, intessuti da quella madre indaffarata e così presente con più d’uno dei suoi sensi, riunite in quel loro qui e ora di una domenica sera piena di rose rosse.
cinque donnine erano cucite insieme da un forte sentimento di appartenenza familiare alle loro radici comuni, mentre già si stavano inconsapevolmente costruendo, ciascuna per sé, un segmento di autonomia e libertà. da vincoli, provenienze, storie di vita, da quei fili d’aria. nella pienezza della libertà di essere presenti senza assenze.
come le rose rosse.

bi




[ph. christian schloe digital art]

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