sedevano composte in un tavolo da sei. la tavola
apparecchiata era movimentata e le cose vi giravano sopra in ordine sparso,
seppure fosse pulita e senza macchie, senza acqua caduta accidentalmente e
schizzi di sugo attorno ai piatti bianchi. erano quattro giovani fanciulle e
una donna adulta di spalle.
due parlavano tra di loro, messe una di fronte all’altra.
se l’erano scelto prima di sedersi quel posto – ne sono certa – proprio per
ritrovarsi con i visi allo specchio e le parole incrociate al loro centro.
fammi assaggiare la tua pasta, diceva una. sì, sì, ché è buona anche senza il
sugo di mamma, le rispondeva l’altra.
sorelle, quattro sorelle, seppur differenti nei colori e
nelle linee.
una era buttata sull’angolo vicino alla finestra,
silenziosa e dedita ad agghindarsi le ciocche castane chiare. appena dodicenne – così pareva –
con lunghi capelli annodati su loro stessi in caduta nel lato sinistro del
viso, con le punte schiarite dall’estate finita.
sembrava slegata dal resto del tavolo, come se cenasse da
sola e senza ingoiare cibo. si era accostata una fine rosa rossa sulla guancia
destra, facendola scivolare avanti e indietro, per trovarne la più giusta
inclinazione per una bella inquadratura. voleva scattarsi una foto, che
sembrasse presa d’improvviso e senza studio, naturale quanto basti per piacersi
sotto la stessa luce in cui presumibilmente la vedesse il resto mondo.
di fronte a lei una bambina poco più piccola mangiava il
pollo in silenzio. anche lei aveva una rosa rossa, sistemata in perfetto
orizzontale tra il bicchiere ed il piatto pieno. gli occhi li affondava nel
piatto, poi li faceva risalire in aria e li spostava verso destra, alla ricerca
di sua madre.
una donna mora, esile e composta era seduta infatti a
capotavola a raccoglierle tutte davanti a sé. era impegnata con il suo telefono
cellulare, mentre attorcigliava scomposta una folla di spaghetti sottili, che
le sfuggivano dal piatto. poi alzava lo sguardo, passava in rassegna le sue
quattro creature sedute a tavola, controllava che i piatti si stessero
svuotando, per poi tornare nei suoi pensieri affondati nella luce artificiale
del telefono. aveva donato a tutte una rosa rossa.
intanto le parole continuavano ad incrociarsi tra le due
sorelle frontali, accomodate rispettivamente alla destra e alla sinistra della
madre. brevi visi accesi da sorrisi e pensieri bambini, contornati da capelli
sciolti e ben organizzati lungo le loro schiene.
quella di sinistra sorrideva di continuo e restava
impegnata nel suo piatto ricco di pietanze verdi attorno ad una fettina di
carne scura. agitava la sua rosa rossa col braccio sinistro, accompagnando
discorsi spensierati e gesticolando allegria e garbo.
la sorella di fronte la ascoltava divertita,
interrompendo a volte con frasi corte quel monologo così ben articolato. aveva
un bel viso tondo, accerchiato da lunghi capelli cenere, che le coprivano il
profilo gentile. avevo preso di getto la sua rosa rossa e aveva cominciato a
sventolarla sul muso di sua sorella, ridendo a voce piuttosto alta e muovendosi
sbattendo sul tavolo e spostando la tovaglia. i suoi erano movimenti selvaggi e
poco ponderati, quasi poco consapevoli di siffatta potenza, pronti a scoprire
un viso piatto con due mandorle perfette al posto degli occhi.
tutte e cinque separate e a sé stanti, eppure così unite
da amorevoli fili invisibili, intessuti da quella madre indaffarata e così
presente con più d’uno dei suoi sensi, riunite in quel loro qui e ora di una
domenica sera piena di rose rosse.
cinque donnine erano cucite insieme da un
forte sentimento di appartenenza familiare alle loro radici comuni, mentre già
si stavano inconsapevolmente costruendo, ciascuna per sé, un segmento di
autonomia e libertà. da vincoli, provenienze, storie di vita, da quei
fili d’aria. nella pienezza della libertà di essere presenti senza assenze.
come le rose rosse.
bi
[ph. christian schloe digital art]
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