cerco di capire cosa sia quel terrificante suono senza melodia alcuna che irrompe nel mio tanto amato buio che speravo invece rimanesse buio più buio e a lungo possibile ed ecco che capisco che è quell’isterica di sveglia.
cerco di capire dove e come spegnerla sempre immersa dentro buio ed ecco che mi cade il telefono sul marmo lucente ancora in profondo letargo ma pur sempre tosto come il marmo e pare nel frattempo che una bomba a timer sia scoppiata dentro casa perché qualcuno vuole farmi fuori (sì io credo nelle teorie complottiste più che nella favoletta maschilista di adamo ed eva).
farfuglio qualche parolaccia in italiano sgrammaticato con una voce cavernicola e pare (al solo tatto e sempre immersa dentro buio) che il telefono non sia diventato un puzzle.
cerco di capire di cosa ho voglia per colazione ed ecco che: a) latte-parzialmente-scremato mi cade dalle mani (strano) e totalmente sul lavandino b) caffè è finito senza dirmi niente c) burro l’adorato da spalmare è scaduto dal diciassette luglio (però del duemiladodici) quindi l’ho mangiato svariate volte che era già andato a male e non sono manco schiattata d) fette-biscottate non sono più biscottate ma sono fette come panini all’olio flosci e tristi e insipidi e) crostatine-di-riserva sanno di fette biscottate non più biscottate e non sanno più di crostatine perché sono state lì tutte insieme a fare un party durante le ferie d’agosto belle ammucchiate come in spiaggia a ostia la domenica a mezzogiorno dentro un contenitore sottovuoto per non farle (appunto) afflosciare e invece no: si sono afflosciate e ibridate.
così ho rinunciato alla colazione a casa.
così ho rinunciato alla colazione a casa.
cerco allora più volte di beccare in bagno l’immagine di me medesima riflessa nello specchio ampio come villa borghese ed eccola che la trovo in un pertugio che mi sorride beffarda e le strillo all’istante:
- cos’hai da ridere?
- non rido, sorrido.
e sorride e subito mi balena nella testa il perché: per via di quello che ho sognato e lei (giustamente) sorride (ma no: ride proprio).
ho sognato una professoressa piuttosto avanti con l’età corpulenta e slanciata dai lucidi capelli argentati e corti e sapiente della sapienza che insegna tipo biologia e mi dice:
- quali esami le mancano, dunque?
- diritto pubblico... metodologia della ricerca sociale e un altro.
- bene, cosa aspetta?
- mi sto organizzando mentalmente: ho troppi libri che proprio altri sei non saprei dove appenderli.
- allora facciamo così: venga a settembre e le tolgo due testi di diritto così sosterrà con me l’esame sul libro che ho scritto nel duemilaundici. ecco, questo.
e fa per darmelo e come non fosse passato neanche un minuto mi fissa dritta negli occhi e incalzando mi dice:
- le farò tre domande, una è questa: qual è la formula dell’energia cosmica che tiene legate tra loro tutte le donne del mondo in un unico plasma senza tempo e senza spazio che tuttavia non è affatto un non-luogo?
[oddio].
e la me allo specchio ride e ci credo che ride perché neanche einstein se l’è mai chiesto e neanche planck ne ha scritta una per cui io questa formula dove dovrei andarla a cercare?
sarebbe già una domanda senza risposta e per giunta comincerei malissimo l'esame.
ride perché pensa che il mio innamoramento edipico per artemide stia sconfinando in qualcosa di più grande delle mie facoltà affettive a me già note e ciò è talmente oscuro che un po’ lo temo anzi sì: lo temo senza un po’.
cerco di prepararmi qualcosa per pranzo velocemente ché ho solo un’ora per andare-mangiare-tornare e incollo un patchwork con quello che di sano (e non scaduto o ammaccato o blu cobalto) trovo nel frigo solitario e perso nei suoi tanti perché e come mai.
trovo: a) due pomodori b) una confezione da quattro di wurstel di pollo sottili e di colore accettabile c) una mozzarella (ah sì! me la ricordo: l’ho comprata lunedì quindi è di origine controllata) d) basilico bello imballato di cui sapientemente stacco e congelo le foglie inutilizzate (solo perché me l'ha detto r. che si può fare e lo faccio tranquilla).
ma poi mi giro: c'è benedetta parodi e subito un'ansia da prestazione bestiale mi assale e s'impossessa di me perché lei se ne sta lì tutta ben vestita caruccia e coi tacchi dodici che danza in cucina come se ci fosse nata e non avesse mai messo il naso fuori da lì ed è nata cuoca e morirà cuoca che parla di tazzine bocconcini cucchiaini pugnetti piattini dolcini ini ino ina ine che a me viene da vomitare mentre imbratto tutto il lavandino del siero della mozzarella e di olio e sale mentre ripenso a tutti i miei issimi: famissima bellissimo fichissimo dannatissimo superlativissimo.
e spengo.
benedetta parodi mi mette l’ansia perché io faccio casino e lei no e punto.
cerco poi di concentrarmi e di ritrovare la me che lavora e che ha un ruolo dentro un’azienda e chiedo aiuto alla mia collega superbravissima e tuttofare:
- senti visto che hai l’e-mail aperta scrivi a cosa e le ricordi che il dodici settembre alle nove dev’essere qui per quella riunione del cavolo? [pausa] e visto che hai la stampante accesa potresti per favore stampare il modulo che pincopallino deve compilare per la formazione? [pausa] ah eppoi visto che scendi ti spiace consegnare a caio sempronio e tizio (in ordine rigorosamente alfabetico così non si confonde) queste buste?
si volta con eleganza lei che è sempre così stoica e sorridente e piena di energie che chi può sapere cosa ci mescoli dentro quello yogurt magro tedesco e sorridente mi sussurra:
- visto che hai la bocca aperta, mi chiami mamma? mi chiedeva mia sorella, talmente svogliata che non voleva chiamarsela da sola... mi sembri lei.
ha ragione.
ha ragione e parla anche con le virgole mica come me che oggi esisto ma senza punteggiatura.
è che dicono che chi cerca trova che (ne ero certa) non è una cosa vera ma una grossa grassa bugia e infatti io vi ho sempre detto che i detti è inutile dirli (ben detto!).
come esordio non è male: in fondo sono a metà dì di veglia e ho ancora un sacco di boiate da fare fino a sera.
love, bi
[piperita patty, alias pp, alias bb]
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