lunedì 3 dicembre 2012

nel dubbio io mi vesto ed esco





il destino esiste, eccome.
prendi una donna tutta pronta per uscire: truccata, labbra lustrate, in piedi sicura su due tacchi dodici, sciarpa in pura lana al collo color pastello, cappotto che ormai è dicembre e fa freddo, anelli e cose varie, borsa e chiavi sul tavolo della cucina.
si poggia pochi minuti in equilibrio incerto sul bordo del tavolo e si stende un difficilissimo smalto bordeaux scuro luminoso.
si chiude la porta alle spalle ed esce, sale in macchina e fugge via.
lo smalto fresco, eppure immacolato.
né scheggiato, né rovinato, né scollato e cose così.
resta perfetto.
poi dici che il destino non esiste.
sì, il destino esiste.
un sabato mattina al mercato, gente che corre di qua e di là, piena di buste e di robe ingombranti, banchi che ululano sconti e occasioni che mai nella vita, confusione sopra e sotto i piedi, una mamma che in fretta e furia cerca di fare la spesa e porta con sé la figlia di cinque anni.
se la perde.
la bambina resta immobile sotto al sole cocente nel punto esatto in cui la mamma l’ha lasciata e non si muove per più di mezz’ora.
resta in silenzio.
si mette in ascolto isolando le voci della folla per restare in sintonia soltanto con quella di sua mamma, si guarda intorno attraversando le cose per trovare solo lei, stringe tra le mani a strozzarlo un pezzo di pizza rossa, senza morderlo più.
lei torna.
sua mamma torna e si tuffa su di lei con gli occhi bagnati di lacrime, descrivendo quale grande paura di averla persa per sempre l’abbia colpita in pieno petto, da lasciarla senz’aria.
lei la guarda ancora un po’ così, come un’animella smarrita, e le risponde che no, non doveva preoccuparsi: lei era solo rimasta lì, certa che il destino le avrebbe ricondotte in quel punto preciso, accanto al carrello pieno di spesa.
le ridà la pizza, dicendole che non le va più.
si, sì: il destino esiste.
un giorno ero in macchina.
ho uno stereo vecchissimo, un pezzo da museo degli anni novanta, che se fosse una persona sarebbe un rincoglionito di centodieci anni portati un po’ benino e un po’ no, che si sa che l’apparenza inganna e l’abito non fa il coso.
per alzare o abbassare il volume dovevo sfilarlo, sbatterlo con un colpo secco sul volante, mai due, e riaccenderlo: funzionava, per magia.
ora neanche più quello: ha un volume fisso su ventidue.
posso ascoltarci soltanto la radio e resto sempre su una, perché ormai il display è quasi tutto buio, che se me la perdessi sarei fottuta: mi toccherebbe ascoltare radio maria, che è l’unica che prende anche sotto un traforo.
mettono una canzone bellissima, di quelle che alzerei il volume e mi metterei a cantarla strillando e facendo destra e sinistra con le spalle ben rilassate sullo schienale del sedile, liberando lo sguardo verso il cielo.
così anche un altro giorno, sempre quella, sempre la stessa, sempre più o meno nel primo pomeriggio del venerdì o del sabato, che la mente viaggia più veloce della luce.
e pure un’altra volta, un’altra ancora e un’altra anche…
è il destino, mi dico.
è questo spiffero silenzioso che senti quando ti passa un brivido sulla schiena così intenso da farti contrarre le spalle e ritrarre la spina dorsale.
è la magia dei pezzetti a caso che coincidono e si sincronizzano in quel punto e non in un altro.
che tu ci creda o no, io il destino l’ho visto.
e comunque, nel dubbio, io mi vesto ed esco.

bi

(ah, la canzone è questa...)




[immagine by asuka111 "dear princess", su digital art]

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