i suoi abbracci e i suoi occhi lucidi erano su di me più forti di qualsiasi antibiotico.
i muri del bagno avevano piastrelle bianche e limpide ed io restavo lì più a lungo, per farmi consumare dalle mie innocenti lacrime bambine.
dov’eri quando, spavalda, indossavo senza timore il mio
vestito da cleopatra di fronte a una platea nutrita di genitori affamati dei
proprio figli?
con quella lunga, lunghissima parrucca corvina sul capo
mi sembrava di allisciare il paradiso. ricordo bene che mi presi i miei applausi ed uscii di scena di corsa, soltanto per andare a specchiarmi e per continuare a carezzare quella chioma meravigliosa.
dov’eri quando, incredula, esultavo di fronte al
primo voto alto?
ero seduta con tre libri di fronte, la penna nera tra le
dita umide e la sciarpa a seppellirmi il rossore dell’agitazione impresso sul collo. e quelli non erano solo tre libri, ma tre direzioni.
le ho prese come si fa con una tisana, me le sono ingoiate.
erano tiepide e sapevano di fiori.
ho parlato per mezzora senza interruzioni e mi è sembrato di fare una passeggiata nel parco in primavera, eppure era febbraio.
uscii volando.
dov’eri quando, bella e profumata, festeggiavo le mie
prime cinque estati?
sedevo sul divano, come se sapessi tutto dell’esistenza
mia e di quella altrui.ero lì che leggevo, eppure non sapevo ancora leggere.
inventavo segreti e li facevo scivolare sotto i miei zoccoli di legno dal colore chiaro.
avevo il vestito color ciliegia con le bretelle sottili, che stava a significare che di lì a poco saremmo andati tutti insieme in spiaggia, come ogni anno.
dov’eri quando, felice, raccontavo dei miei sogni
desiderati e un po’ realizzati?
quando mi lagno, trovo sempre una mano pronta a spiegarsi
per disegnarmi consigli.fa del bene a sé, più che a me.
vorrei accanto chi amo quando gioisco e urlo la contentezza mia, invece.
eppure non tutti siamo così puri da saperlo fare.
dov’eri quando, ingenua, ho commesso il mio primo grave
errore?
i cocci erano finiti fin sotto terra e avevano scheggiato
pure le mie radici.mi sentivo spezzata ed erano bastati già soltanto un gesto a metà e una parola storta.
ho imparato che il respiro è fondamentale per prendere tempo.
respiro per attendere, di un’attesa che sospende e previene le offese.
quelle che inferto agli altri.
dov’eri quando, disperata, la vita mi disse che di
malattia si muore e che, pure quando si vive, ci si continua a sentire morti dentro?
la malattia parla. non si vede, eppure tocca.
t’afferra, non è che ti sfiora.
non è una cosa a sé, diventa di tutti.
diventa universale.
e allora dall’anima passa alle membra.
dov'eri, dunque?
già, dov'ero?
bi, dialoghi surreali allo specchio
[creazione di shinya okayama, tratta da digital-art]
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