il caso è fatto apposta e capita voluto, sempre e comunque.
come innamorarmi di un burro di cacao al miele, pallido e
morbido come una nuvola su cui atterro dolce, che steso sulle labbra mi scarta
le parole una ad una. c’è, eppure non si vede.
come ripensare a una vecchia bottiglia verde di seven up, alta, immacolata, di cui non
ho mai saputo il nome del sapore, né l’ho mai toccato con il mio dentro. è
sempre rimasto un liquido segreto da chiamare zup, con la zeta di zanzibar.
e se lo avessi assaggiato, ora non avrei avuto la curiosità di immaginarmene il gusto,
che così, inventato, mi pare mille volte meglio.
come ripercorrere una passeggiata fatta a parigi un
martedì di settembre da sola, protetta da un elegante e sofisticato cielo
grigio perla, perfettamente abbinato con i ritmi gentili e sottovoce delle
stradine di montmartre, mentre
calpesto ciottoli fatti di surrealismo e poesie.
come stupirmi di fronte all’asimmetria che il mio viso
disegna allo specchio: quella che ribalta l’introspezione del mio occhio destro
sull'arguzia dell’occhio sinistro, il labbro destro elastico e agile sul sinistro rigido che non s’alza, il basso sopracciglio destro sul sinistro alto e
slanciato. sono un po’ storta, in effetti, a guardarmi bene. per fortuna.
come spalancare con un gesto la finestra e trovarci l.
che si sbraccia a salutarmi e dirmi dolce, come tutte le volte: bentornata, cara! con quelle sue guance
piene di rose rosa, il corpo raffinato ed impalpabile e quei capelli come fili trasparenti e affusolati, annodati con arte e dedizione. sembra mia nonna. e lasciare poi
allargata la finestra, per farci camminare aliti d’aria fresca per casa e farci
entrare il suono delle campane delle quattro.
come volare su un’altalena che cigola più forte quando mi
lancio verso l’alto e che risuona più piano quando tiro indietro le gambe con
tutta la forza che ho, pronta a buttarle di nuovo tutte in avanti e lanciarle
verso le foglie dell’albero di fronte. quello zeppo di fiori bianchi gonfi di
odori spensierati ed estivi.
come ridere mentre cammino sui sassi dei giardini di
ghiaia e li faccio scricchiolare, ci suono una canzone, ci affondo le scarpe e le ritiro su tutte
impolverate, ci riempio le punte dei piedi e calcio su in alto tanti sassi mai
uguali, mai.
come scorgere il volo scuro di un rapace all’improvviso, che mi
disegna tanti otto sopra la testa, però alti proprio altissimi in cielo. è regolare come se stesse
dipingendo un quadro o scorrendo come le note di un violino e ha un movimento silenzioso
ed elevato, pieno di occhi penetranti come spilli infiniti e lontani. che è
sempre e solo lui il primo a vedermi, mai io, e le sue piume bianche le vedo
solo se scende un po’, che da lontano sembrano solo un nonazzurro.
come amare i cappelli di lana che mi coccolano la testa e
me la carezzano, si prendono cura dei miei pensieri e li tengono caldi e al
sicuro, li fanno scivolare verso il cuore, fino alla pancia, dentro l’anima e
si fanno cappelli anche lì, giù in fondo. e scaldano ancora.
non capitano a caso un abbraccio senza braccia, un bacio
senza labbra, una carezza senza dita, una parola senza fiato, un pensiero senza
testa, una frase senza parole, un pizzicotto senza tocco, un pianto muto e
senza acqua, un dolore senza sangue, un ricordo senza immagini, un’immagine
senza immaginazione, un amore senza brividi, un corpo senza membra, un grido senza
pancia, una risata senz’anima, un orecchio senza tunnel, un desiderio senza nome,
una felicità da raccontare.
bi
[immagine tratta da internet]
Ciao, sono un abbraccio senza braccia :)
RispondiEliminaciao, sono un pensiero senza testa :)
Eliminacapito perché andiamo d'accordo?