martedì 29 gennaio 2013

le donne vengono da venere e gli uomini da dove vengono non se lo ricordano

lei.
esce in ritardo ed incontra la vicina di casa. la saluta allegramente e, mentre corre velocemente per le scale, le augura un’ottima giornata, pure se fuori piove a dirotto ed è ancora semi-buio, perché sono da poco passate le sette.
s’infila in macchina svelta, i capelli già inumiditi perché l’ombrello… già dov’è l’ombrello? l’ha dimenticato nella borsa nera, l’ombrello, ché pioveva l’ultima volta che ha messo orgogliosa il suo impermeabile comprato col cinquanta percento di sconto.
conta fino a cinque, mette la retromarcia ed enuncia a voce alta:
“oggi è una bellissima giornata!”
e sorride mentre lo dice, se no non vale uguale. mette la musica col volume a ventisei e lo stereo grida una stra-bellissima canzone rock piena di energia propulsiva, un po’ canta, un po’ guarda curiosa il telefono in attesa che lui, sì, lui proprio, le mandi un buongiorno col cuore.
si butta sulla strada principale in quinta e va diritta. sposta il retrovisore su di sé e si stende orgogliosa l’ultimo gloss zeppo di luccichini, che le accende due labbra paurose color rosa pallido. manca qualcosa, si dice. osserva la strada, controlla lo spazio che la accoglie ben oltre i centottanta gradi di visuale che qualsiasi essere umano avrebbe e capisce che le manca il mascara nero, ché dove caspita te ne vai senza?
smucina con la mano destra nei pertugi bui, buissimi, della gigante borsa marrone, quella senza ombrello dentro, alla ricerca della pochette perduta. ma sì, quella fucsia da tre euro del mercatino, con dentro i segreti inconfessabili dei barba-trucchi!
intanto va dritta, non sbaglia strada ed è perfettamente in orario con la tabella di marcia, che la vuole fresca e leggermente truccata nella sua femminilissima postazione di lavoro.
ed eccolo qui: mascara. guida con la sinistra e intanto lo svita, tirando fuori lo splendente pennello attorciglia-ciglia magico. si protende appena in avanti, in modo da centrare perfettamente il retrovisore ancora puntato su di lei, non perde mai di vista la strada e le macchine e via! si stende alla perfezione e senza tocchi schifosi e non districabili il suo favoloso mascara nero non resistente all’acqua. ché se devi piangere, piangi, chi se ne frega che poi ti scivola e ti crea due strisce nere poco simmetriche sulle guance arrossite dallo sfogo. se devi piangere, piangi e ne mostri orgogliosa i segni sul volto e ciao.
l’opera è conclusa. mancherebbe solo lui. sì, lui, il moroso del messaggio col buongiorno e coi cuori. va bene, che aspetta a fare? afferra d’istinto il cellulare ed inizia a comporre lei stessa il suo breve ma efficace:
“li senti i miei baci che ti danno il buongiorno, amore?”.
intanto guarda avanti, guida perfettamente, senza mai esitare in uno sbandamento a destra.
(tutte cose assolutamente da non imitare, che sia chiaro, per amore del cielo, percaritàdiddio!)
arriva in ufficio precisa e puntuale, bella come una dea dipinta da uno street artist sui muri di lisbona.
viene da venere, questo è inconfutabile.

lui.
esce in ritardo ed incontra il vicino di casa. lo saluta a malapena, con un “salve” ibrido ed esitante e, mentre corre velocemente per le scale, si chiede come si chiami, ché tutte le volte proprio bo? se lo scorda.
fuori piove a dirotto e tira fuori orgoglioso il suo ombrello over-size di un nero da impiegato triste e mesto. eppure  sta di fatto che non si bagna manco con una goccia virtuale. s’infila in macchina un po’ goffo e, per chiudere perbene l’ombrello nero over-size, si bagna tutti i pantaloni e sgocciola in cima al sedile vuoto del passeggero. tira giù un morto.
accende la macchina e attende certosino che salga la temperatura quel po’ che faccia scaldare il motore e che lo faccia vivere più a lungo possibile e in salute, al motore, così come gli ha consigliato il suo irruento amico meccanico.
accende la radio e ascolta i commenti di quei truzzi che parlano di calcio poco dopo le sette di mattina e che giurano eterna fedeltà alle maglie rigate e sponsorizzate delle loro squadre superfiche e mafiose. la musica no, si ascolta pure le previsioni del tempo, ma la musica gli fa perdere tempo e gli fa mancare anche il tg con le ultimissime notizie dei cruenti fatti accaduti nella notte.
si butta sulla strada principale in quinta e va diritto, senza accorgersi del panorama ingrigito e delle grosse buche a terra, nascoste malvagiamente dalla pioggia, che continua a scendere senza sosta. ne prende una, di buca. tira giù il secondo morto. continua dritto, un po’ più incavolato di prima.
guarda il retrovisore per tenere sotto controllo la strada anche dietro e s’accorge che è spostato. l’avrà spostato la sua morosa la sera prima per stendersi orgogliosa il suo splendido gloss rosa tenue, mentre stavano andando al cinema.
continua diritto, il cellulare ben nascosto nella tasca del piumino. suona. il cellulare ben nascosto nella tasca del piumino annuncia l’arrivo di un messaggio. sussulta e s’agita nervosamente, cercando di ricordare quale fosse la tasca. la sinistra? no, non è la sinistra, lì ci sono le chiavi casa, che lancia stizzito nel sedile vuoto del passeggero. sì, è a destra, quella tutta bella compressa sotto le grinfie della cintura di sicurezza.
allenta la cintura e intanto la macchina, guidata con la mano sinistra, s’allarga sulla corsia di sorpasso e si becca il clacson impaurito ed isterico di quello che gli sfreccia accanto. tira giù il terzo morto. intanto il cellulare sta sempre là, nella irraggiungibile tasca destra, soffocato e quasi paonazzo per la mancanza d’ossigeno.
lo prende, lo acchiappa deciso con la mano destra e se lo mette davanti al volante. si chiede come facciano gli altri a fare due cose messe insieme, cioè guidare andando dritti e in modo fatto bene e aprire un messaggio sul cellulare. e gli altri, generalmente, sono donne. 
intanto goffo e mezzo tremolante apre il messaggio.
“li senti i miei baci che ti danno il buongiorno, amore?”
- i baci? li sento? che sento? dovrei fermare l’orologio per fermare il tempo che mi serve per a) accostare b) leggere e capire il senso “altro” del messaggio c) riflettere su una risposta all’altezza degli ammiccamenti della morosa d) scrivere il messaggio e) rileggerlo per scovare i maledetti refusi f) inviarlo.
la ama, moltissimo, ma non ci riesce proprio a fare due cose insieme e rimanda di un’oretta la sua dolce, dolcissima risposta col cuore, al suo arrivo sano e salvo in ufficio.
arriva trafelato, i capelli spettinati con un leggero buco aperto sul capo da una vertigine perenne e comincia la sua giornata, già stressato.
(tutte cose assolutamente da non imitare, che sia chiaro, per amore del cielo, percaritàdiddio!)
insomma ancora a chiederci delle donne, degli uomini, delle similitudini, delle differenze, delle simmetrie, delle asimmetrie, degli anagrammi e degli ossimori?
suvvia, gli uomini a mala pena si ricordano il nome del vicino di casa, anzi che no, figuriamoci se si ricordano se vengono da marte, venere o saturno...
ed in ogni caso quello, saturno, ce l’hanno tutti i santi giorni contro.


bi



"per un vero cambiamento abbiamo bisogno di energia femminile nella gestione del mondo. abbiamo bisogno di un numero critico di donne in posizioni di potere, e abbiamo bisogno di nutrire l'energia femminile presente negli uomini".
isabelle allende


[creazione dell'artista Os Gemeos]

mercoledì 23 gennaio 2013

lo aspettò per anni sul ponte

lo aspettò per anni sul ponte.
la serata era tiepida, settembre le rinfrescava le guance dorate dell’agosto trascorso al mare. tutti parlavano rilassati, incrociando risate e parole intorno al tavolo imbandito, con le bevande servite fredde e gli spuntini da consumare prima della torta per il compleanno di linda.
il vento era leggero e le voci dei presenti si confondevano con una musica blues di sottofondo. eppure rosabel si sentiva prigioniera dentro una sensazione di disagio.
se c’era qualcosa di sbagliato, si diceva, era senz’altro il posto. se qualcuno avesse potuto vedere quanto fosse stata smembrata in quel momento, avrebbe visto un pezzo di corpo là e tutto il resto, cuore compreso, altrove.
sperò che le passasse quel malessere.
la serata proseguiva piacevole, mentre rosabel abbozzava degli impacciati convenevoli piuttosto disadattati, conditi da sorrisi impersonali dei quali ella stessa si faceva meraviglia, ma dei quali i presenti sembravano non accorgersi affatto. erano talmente presi dai loro vestiti scuri e tirati a lucido, dai rossetti appiccicosi e i tacchi dodici delle ragazze, dalle camicie con il colletto turgido dei ragazzi, che tempo per soffermarsi oltre l’immagine altrui non ne avevano. né desiderio. l’unica fantasia che vedeva compiersi in quella festa era un tripudio di immagini ben costruite e vuote dentro.
quello strano disagio le aumentò dentro.
aveva lasciato il suo paese in festa, per ripiombare nel grigio cittadino in anticipo, soltanto per far felice linda.
- faccio sempre di tutto per non dire di no agli altri… e dico no a me.
pensò sospirando e spostandosi più indietro con la sedia. se qualcuno avesse potuto vedere quanto fosse stata malinconica in quel momento, avrebbe visto un corpo buio e senza luce. eppure nessuno sembrò accorgersi di nulla e la serata proseguì liscia.
intanto lì nulla sembrava lasciato al caso. neanche le emozioni congelate nelle foto scattate tra i vari gruppi seduti in posa intorno al tavolo. neppure le loro battute lasciate in superficie. né l’anaffettività con la quale posavano i loro regali per linda sopra al tavolo, restando in attesa che lei li aprisse svelta. volevano il suo grazie, la sua compiacenza. nulla di più.
questo era ciò che rosabel vedeva, rattristandosene.
crebbe l’imbarazzo di trovarsi lì e di voler tornare indietro nel tempo di poche ore, quelle sufficienti per telefonare e dire no! quel no che l’avrebbe trattenuta più a lungo fuori città.
guardava il telefono silente e accennava discorsi che poi seguiva distrattamente con le ragazze che le erano accanto. rosabel, che avrebbe voluto parlare della sua passeggiata in mezzo al verde del pomeriggio, delle foto scattate al suo paese da un punto diverso che glielo aveva fatto sembrare come mai visto fino ad allora, delle scarpe da ginnastica che ancora portava ai piedi e che le si erano riempite di minuscole spighe impertinenti, del sole degli ultimi tre giorni che le aveva invaso la stanza di prima mattina, si ritrovò a parlare di vestiti e cose senza sentimenti, senza entusiasmo, senza gioia.
- la gioia, questa mi manca.
e soffiò dentro un lungo sospiro. 
ecco che il suo telefono suonò.
trasalì.
non attendeva nessuno, ne era certa, ma forse in un angolo nascosto di sé desiderava ricevere un messaggio. lo aprì. una luce piena di colori decisi ed entusiasmanti la colse di sorpresa, tanto da farla tornare in vita, da illuminarle il viso e spalancarle le labbra per l’emozione.
erano fuochi d’artificio.
era lui che l’avrebbe voluta lì, accanto a sé, per guardarli insieme.
si sentì subito a casa, nell’altrove che sconsolata aveva salutato in anticipo, nel luogo che sentiva più suo delle altre cose sue, nell’affetto di una memoria dilatata e senza il tempo che passa per non tornare più. era tornato, tutto ciò che sentiva mancarle era tornato a scaldarle il cuore e il corpo tutto.   
sentì finire un’attesa di cui nemmeno sapeva l’esistenza. era come se fosse stata ad aspettare, affacciata ogni notte su un ponte poco illuminato e con lo sguardo perso verso l’immensità dell'acqua, che arrivasse lui. 
le parve di stare ad aspettarlo da anni su quel ponte e quell’attesa, piena d’affetto e riconoscenza verso la donna differente che si sentiva di essere, la fece innamorare.
lo aspettò per anni su quel ponte.
e lui arrivò.
 
bi

 
 



[immagine tratta dal film "la ragazza sul ponte" di patrice leconte
presa solo in prestito, poiché il racconto parla di un'altra storia]




lunedì 21 gennaio 2013

mi sono sempre fidata della gentilezza di prima mattina

cosa c’è di peggio di un tizio maleducato?
un tizio maleducato ed egocentrico, mi dico.
al bar, sono le sette e trentacinque del mattino.
mi guardo intorno mentre aspetto il mio latte molto schiumoso con caffè e abbondante cacao, ma in verità faccio finta.
sono più aria che sostanza a quell’ora, vedo e attraverso, parlo ma non dico, sento ma non do ascolto. 
il tizio è piuttosto alto e beve da solo il suo caffè ristretto senza la schiaritura del latte.
si gira più volte su se stesso, che se avesse indossato una gonna le avrebbe fatto fare la ruota, occupa più spazio del dovuto, dando distrattamente la schiena accentratrice a chi gli è accanto, racconta a voce alta tra un sorso e un altro di aver trovato la brina sul suo suv e che, che palle, ha pure tardato quei cinque minuti che ora non gli consentono di leggere il corriere dello sport.
indossa un giaccone imbottito scuro, occhiali scuri e un paio di hogan. sì.
sono le sette e trentacinque del mattino e fuori è ancora quasi buio.
è quello che ha parcheggiato in doppia fila, ci giurerei.
sono le sette e trentacinque del mattino ed è ancora quasi buio e lui porta occhiali da sole scuri.
mica perché non si può: è che il tutto è decisamente maggiore della somma delle sue parti, questo sì.
e sul corriere dello sport avrebbe letto le pagine del calcio, perché gli altri non li ritiene sport. sì.
posa la tazzina vuota, facendo risuonare il piatto e il cucchiaino che sta lì sdraiato sopra, ringrazia molto maschio la ragazza carina e gentile che gli ha servito un ottimo caffè scuro e forte, paga con una banconota da cinquanta euro quel caffè che non ne costa manco uno e ribadisce che il corriere dello sport lo tornerà a leggere all’aperitivo-time (dice proprio time).
sempre a voce alta. poi esce senza salutare.
non sbatte la porta solo perché la porta si chiude da sé, lenta e silenziosa lei, altrimenti sono certa che, sì, l’avrebbe sbattuta.
non ha parcheggiato in doppia fila il suo suv, mi correggo.
ha parcheggiato in doppia fila, nonostante il posto in prima fosse libero, il suo fottuto suv, quello strafottente.
cosa c’è di peggio di un tizio maleducato?
un tizio maleducato ed egocentrico, che si comporta male dentro e fuori dal bar.
mi sveglio.
continuo a sognare un mondo abitato da persone gentili e sorridenti che parlino a voce divinamente bassa, che occupino senza strafare uno spazio democraticamente condiviso con gli altri, che vestano per piacersi e non per piacere, che non comprino scarpe di merda, che abbiano una personalità rumorosa dopo mezzogiorno e fino alle dieci di sera, conservandone una soave e delicata dalle nove di sera a mezzogiorno del giorno dopo, che si dimentichino di pagare un caffè ma mai di dire ciao e buongiorno a tutti, proprio tutti, che li conoscano o meno, che parcheggino dentro le strisce bianche ricordandosi che non esistono solo loro, che leggano del calcio ma pure del fosforo, che si ricordino che la loro unicità è indice dell’unicità altrui.
mi sveglio e vedo un mondo che non è così.
mi stranisco di prima mattina, mi trema leggermente la mano destra e mi faccio sgocciolare un po’ di latte marrone-beige sulla sciarpa grigio chiaro.
non è aria, mi dico, mentre sbraito e mi asciugo rapida la sciarpa, che resta macchiata.
colpa mia. la vita ha punito la mia intolleranza verso il tizio facendomi macchiare la sciarpa. sì.
pago, saluto rattristata ed esco.
la porta si chiude da sé con gentilezza, mentre fuori fa freddo.
mi dispiaccio e subito dopo ripenso al tizio.
e al fatto che la pozzanghera marrone tinta unita di fronte al bar sia più grande di quanto mi fossi accorta entrando.
e che magari lui ci possa aver affogato le sue hogan di merda.
e cose cattive così.
torno al mio torpore.
d’altronde sono una che sbraita facile e che fa la tollerante a tempo perso.
mi sono sempre fidata della gentilezza di prima mattina.
così come della sua assenza.

bi



[creazione di miss van, da "pop surrealists"]

domenica 20 gennaio 2013

Canto errante delle stelle di Di.






- non disegnarmi confini, non cercarli.
voglio essere come l'acqua, anche quando non parlo e la luce è sottile.
 


- non voglio aggiungere confini, ho bisogno di una mappa, per non perdermi.
 

 - allora scegli una mappa dei cieli, una mappa delle stelle.
 

- sono lontane miliardi di anni, le stelle. quello che vedi è andato già. sono parvenze.

- sono le non prospettive, sono i non punti di vista, sono la tensione verso l'alto. sono metafore e proiezioni.
 

- vorrei tracciare una linea fra le tue stelle, una linea di racconti che decora contorni all'anima, solo per poterla vedere.

- non è necessario vedere. tornare.
 

- ho il passo incerto, svelto, poco equilibrio sulla terra.
 

- ma hai il flusso

- si è un flusso.
dove ci troveremo?


- io andrò nel giardino segreto. è bagnato come le primavere inglesi. tu vai lì, dove c'è l'albero sulla collina dalla terra rossa, e si vede la casa di campagna. oppure sull'altalena di nonno, quella sull'albero di fico.
 

- ah ricordo bene. e le notti profumate di fieno, con nonno che cammina davanti. ha la camicia leggera, bianca, e i pantaloni marroni. sembra un vecchio albero nodoso. ha la pella dura che sembra corteccia. a volte appare l'ombra deforme, ma invincibile.

- è tutto lì, anche l'altrove.

mercoledì 16 gennaio 2013

rifiorirai d'amore

ho visto i suoi occhi grandi e scuri sciogliersi in una cascata di lacrime dolorose e piene di paura.
era la fine dell’estate e un temporale le portò il presagio di una pioggia torrenziale.
e fu pioggia.
e furono lacrime grigie.
le sue e non solo.
il cuore le batteva forte e combattente e le diceva che insieme ce l’avrebbero fatta a percorrere una lunga e penosa salita.
- ché le salite finiscono, non sono mica infinite.
le disse pieno d’amore il cuore suo.
ho visto il suo corpo comprimersi e lottare.
finché arrivò anche il freddo, uno di quelli che entrano dentro e ci restano un bel po’.
e fu neve.
e furono lacrime bianche.
le sue e non solo.
l’ho vista gioire, raggiante come una stella vicina poco meno del sole, che festeggiava i suoi quarant’anni.
un vestito nero e luminoso le avvolgeva le forme e un foulard sofisticato le carezzava il capo.
mangiava felice, ascoltava ridacchiando le canzoni stonate dedicate tutte a lei, danzava come un merlo sinuoso al mattino in cerca di un amore da dichiarare.
e venne la primavera.
e i tramonti rossi della tarda sera.
i suoi e non solo.
l’ho vista raccogliere a terra i pezzi caduti e rimetterli insieme con la fermezza di una leonessa e la dolcezza di una gattina, ricucirli con dedizione e con l’aiuto dei suoi sogni di bambina e di chi l’ama da sempre ed in silenzio.
e sbocciò l’estate.
con le corse mattutine in riva al mare.
le sue e non solo.
- non hai mai scritto di me.
mi disse un giorno, a ragione.
è che la sofferenza non so tradurla, ha parole tutte sue che io non sempre so maneggiare.
le scrivo oggi, perché è tutto il giorno che penso a lei.
la vedo festeggiare, ché oggi è il suo compleanno.
la vedo piena di persone che l’amano ad alta voce e che la accolgono dentro abbracci pieni di fiocchi da sciogliere e regali da scartare.
la vedo vestita di grinta interiore e di un tocco di delicatezza che il suo corpo fragile oggi le conferisce.
voglio dirle che l’amore è una direzione.
che se la sbagli lo sciupi e il vento del mare se lo porta via.
l’amore va verso dentro, giù, in fondo, fino alla parte più nascosta di sé.
fino alla pancia.
l’amore cammina da fuori a dentro.
l’amore prenditelo.
e ingoiatelo.
rifiorirai d’amore, ti dico.
d’amore per te.
per quella te che porti in grembo.

buon compleanno, m.

bi



[creazione di jeremiah ketner tratta da "pop surrealist"]

martedì 15 gennaio 2013

A message in the bottle




Questo è un messaggio in bottiglia, che ha vagato per mille mari, ha superato molteplici tempeste dell'anima e non solo, ma in qualche modo ha sempre navigato per tornare, non per andare. Ha cercato, come tutte le anime gettate in questo strambo mondo, la lunga strada verso casa. Quella lunga strada di cui i poeti, i cantori i bluesman, hanno cantato, per secoli. Crediamo di andare per allontanarci, invece andiamo per tornare. Volver, sempre volver.

È approdato da dove era partito, nella casa-anima di Radicamenti.

Quella scintilla che la fece nascere , crescere nel liquido amniotico di Bi e Di, è ancora viva in me, nonostante le apparenze.

Questo messaggio in bottiglia vuole parlare a Radicamenti come parlasse ad una figlia.



Cara meravigliosa, cangiante, figlia luminosa, sei nata dal mio cuore e dal cuore di una mia sorella di viaggio, l'amica che lascia dietro di sé orma di lupo, come me. Sei nata in un giorno grigio ma pieno di risate. Sei nata piena di sogni scintillanti.

Non ti ho abbandonato, è che non so stare troppo nelle parole, mi ci trovo stretta alle volte, scrivo solo quando trovo lì, in quei segnetti neri, la misura di quel po' di me che capisco, che sgranocchio dalla vita a poco a poco. Per questo ti visito spesso, ti viaggio dentro, mi perdo, ma poco so starci. Sei una figlia, e come un figlio ti ho donato al mondo,“perchè è del mondo che sono figli i figli”, ti ho lasciato andare senza mai volgere lo sguardo, e accompagnandoti silenziosa. Ma sopratutto t'ho lasciato nelle mani di una grande tessitrice di trame multicolorate e sognanti, di storie dai toni più diversi, che ha mani leggere d'aria eppure feroci come artigli, che ha mani che sanno ricamare incanti. Ti ho lasciato in queste preziose mani, che ti hanno fatto crescere amorevolmente. Ne sono felice radicamenti. Sono felice di tutto quel che abbiamo generato e di come poi si è trasformato.

Voglio dirti di me che non so se ora sono più radicata a terra, ma so che sto imparando un po' a volare, fra goffi tentativi di volo e infiniti spicchi verso il cielo.

Cara radicamenti, voglio dirti quel che vorrei che ogni uomo trovasse dentro una bottiglia che proviene dal mare: “basta anche un niente per esser felici, basta vivere come le cose che dici, e dividerti in tutti gli amori che hai per non perderti, perderti, perderti mai...Ogni amore della vita mia, ogni amore della vita mia, è cielo e voragine, è terra che mangio per vivere ancora”.

Tutto è cielo e voragine per me, figlia mia, lo sei anche tu. Sei un cielo stellato e sei voragine assoluta, ma sopra ogni cosa, sei amore.



Buon compleanno Radicamenti.





Sempre tua

Di.

lunedì 14 gennaio 2013

chiedimi se sono felice. anzi, no. ci penso io.

chiedimi se sono felice.
anzi, no.
ci penso io.
sì, sono felice.
a prescindere dal resto.
indipendentemente dagli altri.
nonostante tutto.
malgrado le apparenze.
soprattutto nel rispetto della vita che mi sono disegnata addosso.
sono felice perché domani radicamenti compie un anno. si sente fresca come una rosa rosa-sfumato ed è felice che, parlando di lei, si usi il femminile. è uno spirito femmina, senz’altro. un po’ come diana, un po’ come afrodite, un po’ come artemide. perché mica è solo uno spazio o, peggio, un non-luogo. è luogo eccome e pure corpo e anche anima. è perfino un divano ampio e comodo con un tavolo etnico di fronte, due tazze piene di tè zuccherato, tante parole dette bene e un’aria fresca, contaminata da un’amorevole amicizia. come posso non essere felice del compleanno di radicamenti? dovrò anche farle un regalo con la mia di. magari basterebbe un po’ di silenzio, affinché si ascolti un po’ nel profondo e si senta appagata anche lei di essere se stessa: radicamenti.
sono felice perché ho superato brillantemente dieci agonizzanti giorni di bronchite, che sarebbe potuta essere peggio: broncopolmonite. e invece no. ho visto cose che voi mostri neanche potete immaginare. una notte mi sono svegliata mezza moribonda e ho trovato l’albero di natale acceso. che prima era spento. sì, insomma, qualcuno mi ha visto nel pieno della mia sofferenza e mi ha acceso delle lucine accanto, restandosene in silenzio e in un angolo buio… poi manco ho avuto il problema del che-mi-metto-a-capodanno, che è una questione annosa. dunque alla fine ho scelto il pigiama grigio scuro, zeppo di stelline e lunette e palline. tutte microscopiche. ah, anche le lenzuola dei peanuts, per sentirmi nel bel mezzo di una festa tra discoli e non solo a letto.
sono felice perché sono iniziate le frappe. che altro c’è da aggiungere ad una notizia fantasticherrima come questa? niente, parla da sé. frappe tutti i giorni e a volontà, frappe che che-te-lo-dico-a-fare quanto sono buone, frappe che ti regalano una manciata di sorrisi e brufoli adolescenziali, frappe che ti passa tutto compresa la sindrome dell’inizio settimana, frappe che il fegato si rassegnerà finché arriverà martedì grasso. lui se ne feliciterà e io manco un po’. evviva le frappe e chi le cucina!
sono felice perché penso alla neve e alle montagne e mi si apre il cuore. voglio dire, è importante avere una cosa nel cassetto che lo apri, la guardi e ridi come una pazza. sono felice anche se non le vedo e ce l’ho lontane, perché tanto ce l’ho nel cuore. quindi il resto non conta, no? me le sogno, le guardo, le penso e dico che è una fortuna avere delle montagne che stanno lì che m’aspettano.
sono felice perché già so che, se avrò tempo, disobbedirò all’intento di regalare un po’ di silenzio a radicamenti. perché parlo troppo e lo so. e se domani avrò tempo, le scriverò anche: "auguri", "ciao sono radicamenti e oggi è il mio compleanno!", "ringrazio bi e di per avermi dato alla luce il quindici gennaio del duemiladodici che era una domenica piovosa e grigerrima" e cose smielate così. perché disobbedire a se stessi è una cosa che fa bene, per sentirsi vivi e fieri di non essere automatici.
perché l’oroscopo dice che l’anno per i gemelli sarà bello e ho appena mangiato un bacio perugina con uno di quei foglietti dentro che tutte le volte dico: che palle le citazioni scontate dei baci perugina! e puntualmente me le leggo e pure prima di succhiarmi il cioccolato che avvolge la nocciola del bacio. sul foglietto di oggi c’è scritto: “la fortuna è già dalla tua parte”. che sommato all’oroscopo che dice che l’anno per i gemelli sarà bello fa che sono felice.
perché dopo vent’anni abbiamo di nuovo attaccato sull’albero di natale un babbo natale che ho disegnato a scuola, invece di prendere appunti. una di quelle volte in cui non avevo voglia di fare niente, che niente non è mai ma è voglia-di-fare-una-cosa-che-mi-piace e che non è prendere appunti. e quindi ho disegnato questo babbetto sorridente e con le gote gonfie. poi l’ho attaccato sopra un cartoncino e se ne sta beato tra le palle a fare quello che ha più esperienza, perché appunto ha vent’anni.  
perché c’è sempre un perché per essere felice. e se non c’è, ci penso bene e lo trovo. e se non lo trovo io, mi trova lui, che ci vede meglio di me che ogni tanto faccio la gnorri.
perché sì, invece che perché no.
 
bi
 
 


[creazione "never ending stories" di anry, tratta da pop surrealist]

domenica 13 gennaio 2013

l'occhio vede l'orizzonte anche se l'orizzonte non esiste





fu un bacio rubato su di un rossetto rosso.
la panchina era accogliente e respirava di un autunno lieve e un po’ rosa.
li abbracciò, li fece suoi.
non attese che s’unissero da sé, ci pensò lei.
li strinse e disse loro di crederci, di credere in quel bacio.
un bacio umido e timido, un bacio che sapeva d’immensità.
un bacio rosso.
sono ancora lì che si baciano.
di un bacio rubato su di un rossetto rosso.

un petalo stanco cadde e s’adagiò a specchiarsi nel fiume.
la sua pianta lo aveva incoraggiato ad andare, che era bell’e pronto.
va’, che è la tua estate.
gli disse.
si fidò.
si lanciò ed iniziò a volare, libero e sottile.
e rosso.
s’andò a specchiare nell’ansa del fiume sotto i suoi piedi, sotto i piedi della pianta sua.
fu subito amore.
il petalo cadde e s’adagiò a specchiarsi nel fiume.
e s’innamorò di sé.

un libro s’aprì su una dichiarazione d’amore.
il vento invernale soffiava petulante e ansioso.
smaniava di spostarsi e di raccontare storie e muovere la polvere verso ovest.
trovò delle pagine sottili e legate tra loro, intrecciate in una stretta universale.
erano pagine rosse.
le guardò ammirato, le salutò, le sfiorò appena e l’incanto del momento lo fece spirare più forte.
l’emozione lo rese incalzante e le pagine si girarono a guardarlo stupite.
e s’aprirono.
quel libro s’aprì su una dichiarazione d’amore.
fu, quello, un freddo inverno meno gelido.

esiste una parte di bellezza rossa.
non è rossa in sé, ma rossa per chi l'ammira.
sa emozionare, sa suonare le corde del cuore.
t’incanta nei pensieri tuoi.
come quando fissi le onde e il mare e il cielo che lo sovrasta e ti fermi ad indugiare un po’ con gl’occhi.
fermi lo sguardo nella linea in cui il cielo incontra il mare e il mare incontra il cielo.
lì, dove paiono unirsi.
è l'orizzonte, pensi.
quella linea che c'è, eppure non esiste.
ti ci perdi, lo indichi, lo pensi, lo tracci.
tracci una linea, una linea che non c’è, se non dentro la profondità degl’occhi tuoi. 
gli occhi s'incantano sull'orizzonte e provi a spiegar loro che in fondo quel luogo non c'è.
provi a rompere l’incantesimo di quel bacio.
dici che no, l'orizzonte è un'illusione.
e intanto gli occhi ci si tuffano sognanti.
ti dicono che è vero, che l'orizzonte è vero.
sperando che tu non li contraddica.
(intanto mare e cielo s'amano).

bi

[immagine tratta da internet, un dono della mia robi]

giovedì 10 gennaio 2013

lettera alla signora roth

non ci sono risposte giuste per domande sbagliate

cara la mia signora roth,
una stagione ci divide e mi chiedo se lei si stia prendendo cura di sé e se abbia smesso per un po' di correre.
non ci sono risposte giuste per domande sbagliate, sa?
l’oggi in cui le scrivo è uno di quei giorni che segnano un passaggio, una transizione.
uno di quelli che non è né l’uno, né l’altro, né uno, né due.
è un uno e mezzo e del mezzo potrei parlarle per ore e ore.
tuttavia mi è rimasta poca carta per scrivere, mia cara, e persino l’inchiostro è quasi finito e dovrò attendere lo scarico del lunedì per averne dell’altro.
le domande sbagliate generano disorientamento e fanno male al petto e alle ossa.
ho fatto fatica a dormire per tre lunghe, lunghissime notti, buie e tormentate, attorcigliata come una vipera attorno ai miei dolori interiori.
al petto, mi stringevano principalmente al petto, mia cara.
sa cosa vuol dire?
qualcosa di non detto, di non gridato.
tre notti a soffrire per il solo fatto di respirare, comprende il dolore?
non ci sono risposte né giuste, né errate per domande sbagliate.
una di queste è: quando?
non si chiede quando.
neppure agli altri.
il tempo è una dimensione che ci disperde, che non ci assolve e ci incastona senza via d’uscita.
non porto l’orologio da molto tempo, tranne saltuariamente quello che mi regalò il mio amato.
lo porto con me solamente per averlo più prossimo.
più presente, dico, meno futuro.
ha presente?
questo freddo ed il penoso grigio che lo accompagna mi hanno messa a dura prova, eppure eccomi qui.
ne sono uscita.
e sono qui con la domanda corretta, mia adorata.
sa qual è?
dove.
la domanda è: dove?
se mi chiedo dove, non mi mentirò mai.
non sbaglierò mai luogo, non mi potrò confondere, perché ci sono aggrappata con tutte le mie radici, capisce?
il tempo mi sfugge di mano, a lei no?
il tempo sembra esistere e sembra che non lo si possa trattenere, non crede?
lo spazio no, lo spazio mi contiene.
m’avvolge e mi tiene lì, mi lascia aria per muovermi e per volare.
è un su, un giù, un lì, un laggiù, un qui, un ogni dove, un vicino, un lontano, un sopra, un sotto.
non occorre neanche più dirsi per sempre.
mai.
è sufficiente che ci si dica: per dove?
e ci s’incammina, insieme, mentre il luogo c’attende.
senza svanire mai in un attimo che è già passato e che non tornerà più.

sempre sua, bi




[creazione di elle du pomme]

giovedì 3 gennaio 2013

che si fanno a fare i bilanci, che sono noiosi e ormai roba passata, quando invece si possono pensare bei propositi, che sono roba fresca e non scaduta?

che la vita abbia pietà di una poveretta che giace morta ammazzata su un letto da cinque giorni, dico cinque e sottolineo, senza nemmeno sapere se il sole sia anche caldo, oltre che alto, e se nelle montagne la neve ci sia o si stia sciogliendo.
che poi sono una abbastanza brava, che non ha mai investito nessuno, rispetta sempre le persone più adulte di sé, non dice salve, non uccide, non ruba e manco ha mai rubato una molletta invisibile in un supermercato.
eppure l’influenza alberga nel mio corpo ed io sembro posseduta.
dei dolori disumani hanno mangiato lentamente il mio corpo, anche se oggi sembra che si stiano stancando, perché sono alta solo un metro e sessanta e hanno capito che non c’è trippa per gatti qui.
una febbre incazzatissima e in ottima forma mi arde dentro senza arrendersi, senza desistere, senza mai scendere a meno di trentotto, da farmi riflettere seriamente se davvero non sia dipeso da ‘sto benedetto bilancio di fine anno che non ho fatto.
quindi al pensiero dei propositi di inizio anno, mi vengono in mente tutta una serie di splendide parolacce, da menzionare una dopo l’altra, con un ritmo rap e molto metropolitano, battendo le mani in modo asincrono con i piedi, che fanno destra e sinistra e il corpo che oscilla sui lati.
allora dico va bene, non ho fatto il bilancio, perché mi fa schifo e perché a posteriori non serve a un cavolo fare le valutazioni sulle cose dette, fatte, baciate, mentre mi piace molto di più pensare al proposito, che te lo dici prima, te lo dici perbene, te lo dici bello e infiocchettato e lo realizzi nel tempo.

desidero comprare più quadernoni a tinta unita che non siano sempre rossi o blu, ma che siano più vari e colorati: verdi, azzurri, fucsia, gialli, rosa, viola, un po’ tutti i colori così. quindi se vado al solito posto che ce l’ha solo rossi e blu e li trovo di nuovo rossi e blu, me ne vado da un’altra parte e ciao.

desidero arrabbiarmi meno di dieci volte al giorno, che sono le volte in cui mediamente m’incazzo. per quello che mi taglia la strada, per quella che le dico ciao! e lei mi sorride di cera senza rispondermi, per le ingiustizie del mondo che vorrei cancellare con un gesto ardito e definitivo, acchiappando bella stretta la mia spada con la mano destra e correndo in sella al mio cavallo al galoppo verso la giustizia e il trionfo della bellezza!

desidero allenare la mia pazienza, farle aprire il terzo occhio e farla diventare una visionaria che alla prima occhiata dica: sì, in questo caso vale la pena avere pazienza. oppure: be’, qui ce ne fottiamo.

desidero un paio di ali, perché dovrò compiere due grandissimi balzi e solo con le braccia e le gambe potrei non farcela. le ali, mi servono due belle ali leggere e nuove per fare questi due voli lontani…

desidero mangiare più sano e più verde, più verde e più sano, che già a metà frase, scrivendo, sento la difficoltà della realizzazione di questo proposito. a proposito, la carbonara con la pasta verde sempre verde è, no?

desidero che le persone che amo abbiano tutte le cose a posto, belle pulite e ordinate, senza gente che urla e senza lacrime, che s’incastri loro tutto bene e soprattutto senza forzature e dolori. il rosa, auguro a tutti loro di diventare un po’ rosa dentro, per riuscire a riconoscere il rosa che c’è fuori.

desidero tanti libri nuovi da leggere, oltre quelli vecchi che ancora non ho letto, e soprattutto il tempo per leggerli. senza fretta, senza il sonno delle nove di sera, senza tv. solo io e i libri.

desidero incontrare gli alieni e dire loro che mi piacciono molto di più degli umanoidi, ma loro secondo me mi vedono e già lo sanno. (capito, alieni?)

desidero stare il più possibile in mezzo alla natura ed il meno possibile in mezzo alla città e andare più a piedi che in macchina. ho voglia di cose semplici, profumate, che suonino dolci, che sappiano incantare come la prima volta, che siano tutti inizi meravigliosi e restino tali, che siano affettuose e amabili e che abbiano tutte un ripieno dal sapore dell’amore. 

desidero una wendy che mi legga le favole la sera ed un peter pan che m’insegni a volare.  

bi

 
 
 
"tutta la varietà, tutta la delizia, tutta la bellezza della vita è composta d'ombra e di luce."
lev tolstoj, anna karenina