lunedì 31 dicembre 2012

i peggio regali

basta il pensiero, sì, purché sia un pensiero bello e pensato bene.
non uno qualunque, impersonale rispetto a chi lo fa o a chi lo riceve, opaco e insipido, senza colore né anima, senza nome e cognome, senza amore proprio.
avete ricevuto almeno uno dei peggio regali?
tipo una presina in feltro con la faccia di babbo natale che ride.
è rossa e bianca, dunque apparentemente ben abbinabile, ma di una bruttura quasi unica.
neanche utile, perché per essere natalizia è di feltro e le dita te le scotti, eccome.
tipo un panettone, una bottiglia e un pacco di caffè.
tipico regalo che si scambiano gli adulti attempati che hanno superato i sessanta.
il panettone è quello scontato all’entrata del supermercato a destra, con i canditi giallo paglierino e rosa sbiadito, che sanno di caramelle mou e poco di canditi.
la bottiglia è frizzante e sta sotto i due euro, c’è scritto brut e tutti credono che sia per dire secco, invece è brut-tissima.
il pacco di caffè è una roba d’altri tempi, che nel dopo guerra i nostri nonni regalavano ai vicini di casa in cambio di un po’ di pane appena sfornato dal forno di casa loro.
una specie di baratto che aveva senso allora, non certo oggi.
tipo anche un messaggio uguale parola per parola e inviato a catena a tutti gli amici, senza un minimo di riferimento a noi che lo riceviamo, senza il nostro nome, senza sentimento, senza pensiero, senza l’essenziale.
il vero orrore.
poi i peggio regali sono pure quelli che uno fa a se stesso.
tipo attaccarti ad un uomo che non ti ama.
che ti violenta ogni giorno con il suo silenzio, che ti ignora senza sguardo e che ti vuole solo convincere ad andar via.
affinché sia tu ad andartene, credendoti coraggiosa e forte.
non lui a cacciarti, solo perché è un vigliacco.
invece ti ha già cacciato, mentre tu ti ostini a restare.
senza dignità, senza rispetto, senza amore per te stessa.
tipo un  paio di ciabatte con il tacco e il pon-pon di piume al centro.
bianche o, peggio, color cipria.
da quando in qua le ciabatte con i tacchi sanno di buon gusto e di beltà e di intimità da casa-dolce-casa?
da mai e mai lo sapranno.
tipo quelle costosissime creme della profumeria che sono di marca e non valgono un cavolo, che sono piene di zozzerie e alcune sono pure cancerogene, ma non lo sai perché non sai che dovresti quantomeno leggerti l’inci, piene di petroli e di siliconi invisibili e pericolosi.
tipo quelle maglie di lana che ti dicono al negozio “questa di lana è bellissima e caldissima” e vai a leggerti l’etichetta e c’è scritto che di lana ce n’è tipo il venti percento, se ti dice culo, e il resto sono acrilici e fibre sintetiche di questo genere.
e la maglia è di marca e costa più di cento euro.
tipo la febbre quando non lavori e vuoi partire e non vedi l’ora ché i tuoi amici di sempre t’aspettano che hanno fatto la spesa per il cenone di capodanno tutti insieme con un menù gustoserrimo e una tovaglia di carta spessa rosso fuoco e i calici intonati con il centrotavola fatto a mano e la musica alta mentre si mangia e pure dopo e il brindisi tutti insieme in piazza a strillare e dire vaffanculo all’anno vecchio e a chi lancia i petardi dalla loggia che ti baci felice e ti stringi felice e sei felice e vai a letto felice.
i peggio regali esistono e si riproducono rapidi come conigli, ma conigli non sono.
sono regali brutti, regali di merda, che sarebbe bello per il  mondo che non venissero fatti né a sé, né agli altri.
il mio augurio per l’anno nuovo è di non fare e non ricevere regali così, che nessuno ne ha bisogno.
regaliamoci pensieri che siano ben pensati e pure una vertigine che ci porti danzando nell’immensità.   

aug, bi



[immagine tratta da internet]

lunedì 24 dicembre 2012

io regalo cuori





ho incartato tutto con fogli bianchi opachi e lucidi e tanti cuori rossi.
i regali se ne stanno zitti zitti sotto l’albero, vestiti con pezzetti del cuore mio, illuminati da lucine colorate e sparsi sul pavimento freddo.
sono pronti ad incamminarsi per conto proprio, perché sono regali emancipati: ognuno sa dove deve andare e da chi e quando e come.
sono tutti pensati per ciascuno e molto desiderati, perché io per prima voglio che partano presto e raggiungano la persona a cui sono destinati.
il regalo di m. è già andato: eravamo a cena io e lei, una candela a scaldarci i visi un po’ stanchi. il suo l’ho pensato come un regalo che la accompagni e la protegga, come un velo di luce azzurrina e grigetta, leggera e liscia. un regalo che la avvolga e le abbracci le gambe.
il regalo di g. anche: è sotto il suo albero, con una lettera d’amore. lo aprirà ed io sarò lì a prescindere, sotto una forma chiara e ariosa, che è pure sostanza rossa e calda. ci accompagnerà, sempre.
vicino al suo, ce n’è uno per e., accogliente e color carota, nulla che possa competere con la sua bellezza delicata e ancora un po’ acerba, semmai la esalterà. l’altro, squadrato e costretto dentro altri cuori, è di m. e sono certa che le piacerà da matti. 
il suo regalo r. l’ha aperto ieri: i suoi occhi cercavano di capire e le sue mani fremevano, che a metà della canzone l’ha spalancato e mi è saltata addosso. è un regalo da condividere una sera di marzo, quello. una sera delle nostre, un altro pezzetto di viaggio.
due piccoli pensieri per j. e g., i miei dolcetti con lo zucchero a velo, sono sotto il loro albero, pieno di piume e di altri regali generosi e zeppi d’amore. d’altronde, loro sono una famiglia meravigliosa.
c’è ancora una fetta di regalo della mia piccola grande a.: lei pensa di aver aperto tutto quanto, invece questa sera avrà un bel da fare e borbotterà qualcosa delle sue e tutti rideremo di fronte alla nostra splendida tavola imbandita.
quello di m. l’ha scelto lei, contenta e felice. gliel’ho incartato stretto stretto e questa sera lo scarterà lo stesso, che ama tanto staccare lo scotch senza rompere la carta. e leggerà il biglietto, che per lei è la parte principale. anche p. ne scarterà uno e dirà, come sempre, che non ce n’era bisogno. e gli lacrimeranno gli occhi verdi quando leggerà il biglietto, prima di strappare la carta coi cuori.
ce n’è uno anche per a., non perché io ne voglia un altro indietro, ma solo perché a lei desidero dare una cosa. che la porti con sé, che le dia un’indicazione, che la guidi quando si perde un attimo e che le ricordi che ha acquisito una nuova amica, che le vuole un gran bene.
anche d. ne avrà uno, morbido e terreno, che le ricordi che lontano, eppure vicino vicino, c’è la sua amica che le prende una mano e gliene dà una sua da stringere.
quello di b. è piccolo e riluce di bellezza come lei, è un po’ piccolo e un po’ no e può averlo sempre con lei.
ce ne sono due uguali e di colore diverso per g. e l., così potranno indossarli nel freddo delle nostre montagne magiche.
altri due per a. e f., tondi, utili, raffinati e luccicanti, sì, proprio come loro.
c'è pure qualcos'altro e ci sono altre cose che vorrei donare, cose che basta il pensiero concepito con parole dette con il cuore, che si incarteranno da sole e arriveranno fino agli altri.
cose che ricordino che i regali sono un bellezza da donare e da ricevere, che le parole vanno scelte belle per tutti, pure per se stessi, che non serve la ricorrenza per farli ma anche sì, che sotto l’albero di natale le radici ci sono ma non si vedono, che un pensiero a chi è meno felice va fatto doppio e non va detto, che la stella cometa esiste, che babbo natale ci guarderà dalla finestra e guarderà anche chi lo snobba, che l’immondizia a natale è doppia, il traffico pure, che i soldi non contano e non valgono quello che credono, che se quello che ho scritto pare un luogo comune in realtà non lo è.
è un luogo, quello sì, e se ne sta tutto bello al caldo, sotto l’albero e in mezzo ai cuori.
buon natale dentro, che fuori poco importa.

bi

giovedì 20 dicembre 2012

un punto di vista è più grande di un punto

poco prima di alzarmi, conto le ore dormite e ripercorro quei luoghi lontani e offuscati, in cui un pezzo essenziale di me è stato di notte. sa tutto di crema al limone ed è vestito di zucchero a velo. il caldo ancora mi stringe a sé e vorrebbe continuare, se solo io restassi, se solo io non l’abbandonassi.
poco prima di scegliere una canzone, ripenso a quella volta in cui vagavo spenta in centro. tutto faceva chiasso, mentre io mi sentivo morire dentro. avevo perso la mia crema al limone. mi ritrovai ad ascoltare musica in un negozio enorme e pieno di luci bianche, con due grosse cuffie nere che non mi coprivano solo le orecchie, ma anche una parte di mente e uno spicchio di cuore. ascoltavo quella voce angelica cantarmi nelle tube, cantare solo per me. intorno era pieno di corpi, eppure io ero sola.
poco prima di mangiare, guardo mio padre e mi ricordo i miei pensieri di allora, solo miei. mangiavo solo le cose che mangiava anche lui, dicevo le cose che diceva lui, mi arrabbiavo come si arrabbiava lui, suonavo la sua chitarra stonando solo perché l’animava lui. poi un giorno ho smesso. ho capito chi fossi e ho tirato fuori con coraggio la disobbedienza e la contestazione. eppure non ho mai abbracciato nessuno come ho abbracciato lui.   
poco prima di svenire, mi alleggerisco. sento sparire il confine tra me e la mia materia e sento di compiere un passo in avanti. non indietro, in avanti. gli occhi si sfibrano e le immagini noiose e regolari sbiadiscono in un liquido puntinato e grigiastro, dai contorni un po’ viola e un po’ no. le orecchie anche. si sfumano in echi sempre più lontani e quello che fino ad allora era di qua in quel momento se ne va al di là. mi siedo o mi sdraio, così non sbatto. tanto io lo so com’è, poi torno. vado un attimo al di là, poi ritorno. ritorno sempre.
poco prima di fine anno, penso sempre che l’anno sia appena iniziato. il mio inizia a settembre, non a gennaio. a gennaio non ho le forze, a gennaio sto al chiuso e sotto le coperte. quello che tutti chiudono in questi giorni, che sarà poi non so più cosa, io lo chiudo ad agosto, prima di andare in vacanza. poi a settembre sento la forza dell’inizio, di quando guardo un foglio bianco e la testa è già piena di parole. è l’attimo prima in cui non me ne viene in mano neanche una per iniziare. poi nasce un fiume.
poco prima di ricomporre i pezzi, mi chiedo se la cosa vada riparata o lasciata a se stessa. i pezzi sono nuova vita, no? un vaso rotto non torna mai più vaso, ci sarà sempre una fetta di spazio tra una scheggia e l’altra, in cui la materia è tornata ad essere aria. i pezzi sanno di vita nuova e per me non occorre ricomporli. basta dare loro un nuovo nome e si sentiranno appena nati, non appena morti.
poco prima di spegnere la luce, penso alla paura del buio. alle volte la sera, quando proprio non ne potevo più, scappavo al piano di sopra per andare in bagno. tutti restavano nel salone, mentre io in solitudine uscivo, accendevo la luce e correvo svelta su per le scale, facendone due per volta. uscita dal bagno, un giorno trovai la luce spenta. richiusi la porta, mentre il cuore si stava per staccare dal resto di me. non mi sono mai fidata del buio, perché non mi ci sono mai sentita sola.
poco prima di coricarmi, mi stendo una crema profumata sulle mani. non è la crema che sa di limone, questa che dico sa di mandorle e non si mangia, semmai si annusa. lascio cadere la testa sul cuscino, una mano sotto, l’altra che mi sfiora il naso. la mia vita è fatta di odori e di profumi e di memorie che profumano di ieri e di aria che è prima un fuori e poi un dentro. il mio è un naso che sa odorare e lo fa con amore e dedizione. ama quello che fa, ama respirare il mondo fuori e portarselo giù, in fondo.
poco prima di addormentarmi, prego. lo facevo con mia madre, dentro al suo letto. ci raccoglievamo sotto le coperte, noi due da sole, e io ripetevo quelle nenie dopo di lei. frase per frase, fino ad impararle, ché non sapevo ancora leggere. sembravano poesie, sembravano un dono dalla sua alla mia bocca. una musica solo nostra, in cui il resto del mondo era solo pensato e non era lì dentro. restava fuori. le mie piccole mani tra le sue, il suo profumo, sentito in altre vite, si attorcigliava come una corda lenta e dolce tra noi due. le mie idee di oggi si costruirono lì, in quei momenti segreti. i punti di vista da cui oggi costruisco ciò che mi circonda partirono da lì, da quegli attimi sbriciolati nelle mie sere con lei. un punto di vista non può essere soltanto un punto. un punto di vista è più grande di un punto. è un punto che racchiude un infinito.

bi
 


[immagine di ari-zuka, tratta da "pop surrealist"]

"è così che muoiono le infanzie, quando i ritorni non sono più possibili perché i ponti tagliati inclinano verso l’instancabile acqua le travi sconnesse nello spazio estraneo. non c’è allora altro rimedio che quello del serpente: abbandonare la pelle nella quale non entriamo più, lasciarla a terra, tra i cespugli, e passare all’età successiva. la vita è breve, ma in essa entra più di quel che siamo in grado di vivere".

josé saramago, “di questo mondo e degli altri”

 
 
 

venerdì 14 dicembre 2012

come si fa una magia?

- come si fa una magia?

- l’ho cercata tante volte, ma non l’ho mai vista.

- io una volta ho visto un mio amico muovere le orecchie.

- come faceva?

- mi guardava fisso negli occhi e le sue pupille sembravano entrare nelle mie. ad un certo punto le sue orecchie hanno cominciato a spingere verso la testa, indietro, forte! si muovevano da sole. sembrava che ballassero, hai presente? si muovevano, mentre lui mi fissava. ho pensato fosse una magia.

- mi sa di sì allora…

- un’altra volta una mia amica ha tirato fuori la lingua e l’ha fatta arrivare fin sopra al naso. così, ma la mia non ci arriva, la vedi?

- nemmeno la mia…

- lei ce la faceva arrivare, su, su in alto fino al naso… fino sopra alla punta, capito? una cosa incredibile, ma io l’ho vista! è tutto vero, da crederci forte. io ho provato tante, tantissime volte a farci arrivare la mia. la mia no, la mia si ferma appena sopra al labbro.

- quindi dev’essere un’altra magia...

- sì e un’altra volta un’altra mia amica ha toccato per terra con il naso, per terra sul pavimento in palestra.

- e come ci è riuscita?

- eravamo seduti per terra, le gambe divaricate. abbiamo tutti tirato le braccia in avanti e siamo scesi con tutto il corpo giù, fin dove potevamo arrivare. lei è arrivata a baciare il pavimento!

- magica!

- sì, magicissima. io ci ho provato e riprovato, mi allenavo come una pazza! niente. mi sono sciolta sempre di più, ma per terra non ci sono mai arrivata.

- magnifica!

- un’altra volta ancora dovevamo saltare contro il muro, verso l’alto. ma in alto, proprio altissimo, dico. io mi sono sforzata tantissimo e non sono mai riuscita a toccare il nastro rosso sui due metri e trenta. mai! mi arrabbiavo, dicevo che no, non era possibile non arrivarci. è una questione di agilità ed elevazione, mi diceva l'allenatore. secondo lui io ne avevo poca, capito? lui no, lui era magico. partiva con una lieve rincorsa, puntava i piedi, dandosi un colpo con le braccia e via! lanciava quelle ali verso il cielo, il corpo lo seguiva e lo incoraggiava, lo sosteneva e lui volava, volava fino premere con tutta la mano destra aperta e schiacciata sul muro a toccare i due metri e settanta…

- settanta? 

- settanta.

- una magia…

- comunque queste sono tutte magie che si vedono, poi ci sono quelle invisibili. te ne sei mai accorto?

- non lo so, ci dovrei pensare…

- io un po’ ci ho pensato e ci sono anche le magie nascoste. quelle che non si fanno con il corpo che salta o che bacia per terra. sono diverse, invisibili.

- e come le vedi?

- te ne accorgi.

- e di cosa mi accorgo?

- dei brividi, per esempio. dei brividi che senti quando una musica ti sfiora e ti attraversa e ti spalanca dentro, quando una mano ti sfiora e ti disegna dei cerchi sulla pelle e la pelle arrossisce, quando la temperatura del corpo zampilla e un’emozione sussulta, quando il suono del cuore pulsa di sentimento e traballa, quando un abbraccio ti stringe e il tempo non esiste più, quando ami ed è per sempre e a prescindere, quando sogni e non tocchi con i piedi dove cammini, quando sei lì che ti vedi che dormi, quando piangi e ti bevi un po’ di te, quando stai su una sedia che ha quattro gambe e invece stai su due, quando succedono cose che cose non sono eppure non sai come chiamarle se non cose.

- quando ti guardi il dito e vedi un al di là.

- sì, proprio così.

 

bi
 


[creazione di os gemeos]
 

mercoledì 12 dicembre 2012

la ragazza che legge

suo nonno ne aveva una nello studio.
si faceva una rampa di scalini stretti e alti, molto faticosi da salire senza corrimano, che infatti c’era: era in legno chiaro, liscio al tatto e ruvido alla vista.
appena finita la scala, si arrivava in un minuscolo pianerottolo, con uno specchio in ottone gentile e ampio proprio di fronte.
vi si specchiava facilmente, nonostante fosse ancora molto piccola.
accanto allo specchio, sulla destra, c’erano due quadri.
in uno era raffigurata in tutta la sua dolcezza una bambina dal viso roseo e un po’ malinconico, con lunghi capelli dorati ed una fascia chiara a tenerli ordinati, tra pensieri eleganti ma poco leggeri. portava una candela accesa in mano.
lei la guardava con ammirazione, eppure, tra le due, sceglieva l’altra.
non quella con la candela, ma quella con il libro.
l’altra se ne stava infatti là seduta in quella poltrona, immersa in una pace sommessa e silenziosa, ingoiata in un mondo parallelo fatto di idee e di fantasia.
la vedeva così bella, così elegante.
deve piacersi molto, pensava tra sé, e deve stare proprio bene lì seduta, in una stanza tutta sua.
arrivava in quel pianerottolo affannata per le scale fatte di corsa e trovava il suo viso riflesso nello specchio di ottone.
non si vedeva certo così raffinata come la ragazza nel quadro, ecco perché si immedesimava proprio in lei.
aveva quei capelli raccolti in un nastro garbato, una postura eretta ma comoda, che gli adulti non avrebbero mai ripreso.
- alza le spalle e rizza le schiena!
le diceva invece suo nonno.
quel grande cuscino alle spalle la accoglieva e coccolava, si vedeva, e lei ne voleva uno uguale a quello, non uno piccolo come il suo.
uno così, uguale.
quella che si fermava ad ammirare senza parole era una riproduzione, è chiaro, non un quadro di valore, ma per lei era l'unica copia sulla terra ed era di suo nonno.
lui era un tipo burbero e nient'affatto simpatico, con quel ché di autoritario e spocchioso che poteva far credere che il quadro fosse un originale.
un giorno la sgridò moltissimo.
era andata a fare un pic-nic con un’amica in cima alla salita, dove finiva la strada asfaltata e cominciava il verde.
- non lo so chi saremo, io vado con elisabetta e il suo cane.
e si erano divertite moltissimo, lei, elisabetta e il suo cane bianco e nero.
era tornata con i calzoncini sporchi e bucati e i piedi un po’ neri, ma rideva ed era contenta, perché aveva corso con il cane e giocato con elisabetta.
- dove siete state fino a quest’ora tarda? siete piccole, avete solo sei anni, lo capisci? cosa dico io a tuo padre se ti dovesse succedere qualcosa, eh?
ma lei non capiva.
cosa sarebbe potuto succedere, con il cane che le controllava a vista, i panini all’olio con il salame e la frittata fatti da sua nonna, elisabetta che era più alta di lei e sembrava pure più grande e il paese che era piccolo, non era una città piena di traffico.
lei si rattristava, senza comprendere.
e tornava lì dal quadro e pensava che le vacanze fossero un momento bellissimo, senza libri e compiti da fare, ma anche che le mancasse molto l’abbraccio caldo di sua mamma e lo sguardo dolce e verde di suo padre.
la ragazza con il libro era bella, molto bella.
così rosa, sottile, educata, quieta.
era certa che lei un giorno sarebbe diventata bella come lei.
e con un incantevole libro tra le dita.

bi



["the reader" di jean honoré fragonard]


martedì 11 dicembre 2012

il natale è dei piccoli




il natale è dei piccoli.
noi adulti siamo solo capaci a creare traffico nei supermercati, a spallarci l'un l'altro nei rumorosissimi centri commerciali, a lamentarci del fatto che i regali siano un obbligo noioso, a spremerci la testa per farne uscire idee regalo che costino poco ma che facciano molto, a dire che quest’anno no, i regali per principio non li facciamo e robe pallosissime così.
i piccoli no.
loro ci insegnano che natale è stupore e incanto.
lo stupore e l’incanto di scrivere una letterina lunga un chilometro con su scritto cose dolcissime, tipo:

“caro babbino, quest’anno sono stata buonissima, quindi vorrei: barbie ironica e intelligente, la casa di barbie ironica e intelligente, le costruzioni della lego grandezza naturale per costruirci lo studio che papà desidera tanto avere a casa nostra, il cicciobello pelato che fa la pipì finta, il cicciobello nero e riccio che insegni all’altro come si fa la pipì nel vasino, il vasino di cicciobello e basta. ti prego, babbino, rispetta quest’ordine qua che ti ho scritto, così se magari ti finiscono i soldi prima di comprare i regali miei - ché c’è pure quella di mia sorella, anzi sì quella leggila prima della mia che è più importante per favore - allora rinuncio ai cicciobelli e al vasino. ti aspettiamo con ansia! ciao e grazie di tutti i regali che riuscirai a regalarci”.

lo stupore e l’incanto di dire:

“no, io non ho paura di babbo natale. io ho paura della befana, perché ha il naso curvo e il neo grosso sulla punta del naso”.
“e chi te lo ha detto che ha un neo grande al naso?”
“ma come chi me l’ha detto, mamma! l’ho vista io! c'è anche un pelo sopra.”


lo stupore e l’incanto di contare i giorni così: meno quindici, meno quattordici, meno tredici, meno dodici, meno undici, meno dieci, meno nove, meno otto, meno sette, meno sei, meno cinque, meno quattro, meno tre, meno due e… ecco il ventiquattro!
lo stupore e l’incanto di chiedere:

“chi verrà a cena la sera che si mangia il panettone e il torrone che stanno sotto l’albero? e poi il giorno vero di natale è vero che nevica sempre? e allora andiamo in montagna così giochiamo con le palle di neve e ci possiamo mettere la tuta pesante con il copriorecchie?”

lo stupore e l’incanto di far finta di addobbare l’albero di natale, che tanto poi le mamme ci ripassano e risistemano tutte la palline e i nastri.
perché per loro c’è un ordine per fare l’albero, ma per i piccoli no: è un caos divertente l’albero, non è un mobile da mostrare a chi viene a casa.
ma questo i grandi non lo capiscono, cioè l’hanno dimenticato.
lo stupore e l’incanto di cercare di restare svegli il ventiquattro sera, dopo il cenone e le robe varie con i grandi, per provare ad incontrare lui: babbo!
se ne stanno nel letto e si dicono:

“non dormo, non dormo, non dormo, non dormo, non dormo, non dormo, non dormo, non dormo…”

e se lo dicono tante volte, perché vogliono vedere com’è fatto, se è uguale a quello che loro disegnano o se è più bello e più secco, se le renne puzzano e come mai non fanno mai la cacca quando babbo entra dentro casa con loro per scaricare i regali.
poi puntualmente s’addormentano prima che lui arrivi.
lo stupore e l’incanto di pensare che comunque, almeno un giorno all’anno, qualcuno s’impegnerà ad essere veramente più buono, come raccontano sul serio nella favola di dickens.
pure loro s’impegnano ad esserlo e ci riescono e sono felici di riuscirci.
lo stupore e l’incanto di dire una preghiera, come vogliono, a chi vogliono, con le parole che vogliono, quando vogliono e quanto vogliono.
lo stupore e l’incanto d’imparare una poesia a memoria da dire la sera a cena, nascondendola sotto al piatto del papà, pure se imparare le poesie a memoria fa schifo, perché a natale è un’altra cosa.
a natale è diverso, dicono loro, i piccoli.
volenti, nolenti, insolenti, natale sta per arrivare e qualcosa di diverso ci sarà di sicuro.
chiediamo ai piccoli: loro ce lo insegneranno.

bi

[la pallina è del mio albero: è una voce fuori dal coro, una palla di natale più mezza che palla.]

lunedì 3 dicembre 2012

nel dubbio io mi vesto ed esco





il destino esiste, eccome.
prendi una donna tutta pronta per uscire: truccata, labbra lustrate, in piedi sicura su due tacchi dodici, sciarpa in pura lana al collo color pastello, cappotto che ormai è dicembre e fa freddo, anelli e cose varie, borsa e chiavi sul tavolo della cucina.
si poggia pochi minuti in equilibrio incerto sul bordo del tavolo e si stende un difficilissimo smalto bordeaux scuro luminoso.
si chiude la porta alle spalle ed esce, sale in macchina e fugge via.
lo smalto fresco, eppure immacolato.
né scheggiato, né rovinato, né scollato e cose così.
resta perfetto.
poi dici che il destino non esiste.
sì, il destino esiste.
un sabato mattina al mercato, gente che corre di qua e di là, piena di buste e di robe ingombranti, banchi che ululano sconti e occasioni che mai nella vita, confusione sopra e sotto i piedi, una mamma che in fretta e furia cerca di fare la spesa e porta con sé la figlia di cinque anni.
se la perde.
la bambina resta immobile sotto al sole cocente nel punto esatto in cui la mamma l’ha lasciata e non si muove per più di mezz’ora.
resta in silenzio.
si mette in ascolto isolando le voci della folla per restare in sintonia soltanto con quella di sua mamma, si guarda intorno attraversando le cose per trovare solo lei, stringe tra le mani a strozzarlo un pezzo di pizza rossa, senza morderlo più.
lei torna.
sua mamma torna e si tuffa su di lei con gli occhi bagnati di lacrime, descrivendo quale grande paura di averla persa per sempre l’abbia colpita in pieno petto, da lasciarla senz’aria.
lei la guarda ancora un po’ così, come un’animella smarrita, e le risponde che no, non doveva preoccuparsi: lei era solo rimasta lì, certa che il destino le avrebbe ricondotte in quel punto preciso, accanto al carrello pieno di spesa.
le ridà la pizza, dicendole che non le va più.
si, sì: il destino esiste.
un giorno ero in macchina.
ho uno stereo vecchissimo, un pezzo da museo degli anni novanta, che se fosse una persona sarebbe un rincoglionito di centodieci anni portati un po’ benino e un po’ no, che si sa che l’apparenza inganna e l’abito non fa il coso.
per alzare o abbassare il volume dovevo sfilarlo, sbatterlo con un colpo secco sul volante, mai due, e riaccenderlo: funzionava, per magia.
ora neanche più quello: ha un volume fisso su ventidue.
posso ascoltarci soltanto la radio e resto sempre su una, perché ormai il display è quasi tutto buio, che se me la perdessi sarei fottuta: mi toccherebbe ascoltare radio maria, che è l’unica che prende anche sotto un traforo.
mettono una canzone bellissima, di quelle che alzerei il volume e mi metterei a cantarla strillando e facendo destra e sinistra con le spalle ben rilassate sullo schienale del sedile, liberando lo sguardo verso il cielo.
così anche un altro giorno, sempre quella, sempre la stessa, sempre più o meno nel primo pomeriggio del venerdì o del sabato, che la mente viaggia più veloce della luce.
e pure un’altra volta, un’altra ancora e un’altra anche…
è il destino, mi dico.
è questo spiffero silenzioso che senti quando ti passa un brivido sulla schiena così intenso da farti contrarre le spalle e ritrarre la spina dorsale.
è la magia dei pezzetti a caso che coincidono e si sincronizzano in quel punto e non in un altro.
che tu ci creda o no, io il destino l’ho visto.
e comunque, nel dubbio, io mi vesto ed esco.

bi

(ah, la canzone è questa...)




[immagine by asuka111 "dear princess", su digital art]

venerdì 30 novembre 2012

credenze in credenza

la terza cosa che desidero fortemente con tutta me è la credenza.
una di quelle di campagna, alta e snella, con un vetro irregolare, grezza e mai perfetta, di un colore accogliente e gentile che un giorno saprò qual è e che ora non m’importa.
io tanto già la vedo.
ci devo mettere tante cose, pure le mie credenze.
i credo la riempiranno e la vivranno tutti i giorni, abitandola senza un ordine inflessibile in mezzo alla pasta, ai biscotti, alla nutella, allo zucchero, ai barattoli, alla teiera rossa a quadri, alla lavanda e nel rispetto del loro ordine naturale e di branco.
il branco dei credo non avrà capi, questo è certo: ognuno sarà il capo di se stesso e tutti insieme si sentiranno capi di tutti e di nessuno.
i credo più indifesi saranno difesi e quelli più sfacciati saranno messi nello stesso cassetto dei credo umili e più generosi e quelli timorosi saranno protetti dai più coraggiosi.
nella mia credenza vorrei che le debolezze di uno fossero tutelate dalle forze di un altro e non fossero prese di mira neanche dall’altezzoso servizio di tazzine di mia nonna, che si sente il più saggio perché più anziano.
io credo in me starà dentro lo sportello in basso a sinistra, perché rappresenta la prima certezza di ciascuno e dà solidità al sé. però, per non trasformarsi in un ego egoista e restare un me spiritualmente elevato, dovrà tutti i giorni alzare il capo e osservare tutti gli altri che vivono nei piani sopra e chiedere loro come stanno, se hanno bisogno di qualcosa, se vogliono il tè verde o quello orientale e cose carine così.
io credo nel potere della mente mia starà dentro lo sportello in basso a destra e sa che tutti i giorni dovrà impegnarsi a scegliere le parole migliori per vivere la vita migliore ed instaurare i rapporti migliori e mangiare i cibi migliori e tutte le cose migliori di tutte. per questo avrà vicino la cioccolata fondente.
io credo nella carbonara e nelle cose che fanno venire i brufoli e aumentano il colesterolo vivrà nel ripiano immediatamente superiore ai credo di prima: li nutrirà, all'occorrenza, di cose che non fa niente se fanno male a qualcosa, perché fanno benissimo a tante altre, tipo l’umore e il cuore, quello fatto con la punta rivolta verso il basso e due collinette in fiore sopra.
io credo nell’amore smetterà di mettersi in vetrina, per non rischiare di specchiarsi nel riflesso di se stesso: starà al buio dentro le ante cieche, perché li dovrà accendersi e fluidificarsi in luce. si concederà a tutti, senza aspettarsi biscotti gentilini in cambio, e sarà felice soltanto per quello.
io credo nella giustizia si esporrà in vetrina: la giustizia vale per tutti, pure per quelli che vivono fuori dalla credenza e vorrebbero andarci ad abitare o la ammirano e basta. la giustizia è giustizia e punto.
io credo nella leggerezza starà in alto, sopra a tutto, perché insegnerà a tutti a volare su e più su. avrà dei palloncini magici che aiuteranno i più pesanti a salire, che non sarà un salire per forza, perché con la leggerezza si impara anche a scendere e ad andare in profondità.
poi altri credo staranno un po’ giù, un po’ su, un po’ al centro, un po’ in vetrina, un po’ negli sportelli ciechi, un po’ nei cassetti.
tipo: io credo nei pattini a rotelle non in linea, io credo nel pane lievitato naturalmente, io credo nello shampoo senza parabeni e cose schifose così, io credo nei libri di non oltre duecentocinquanta pagine, io credo nei tram, io credo nei non-giudizi, io credo negli scarponi da trekking, io credo negli unicorni, io credo nella lana cento percento senza poliestere e acrilici insalubri, io credo nella cioccolata calda senza panna, io credo nelle canzoni degli smiths e in quelle di loredana berté, io credo nei paesi più piccoli, io credo nell’arcobaleno che ha più di sette colori, eccetera.  
le credenze in credenza saranno felici e io pure, tantissimo.
presto avrò la mia splendida credenza, che adesso sembra invisibile, ma in realtà no.

bi
  
 



“non faccio alcuna differenza tra un libro e una persona, un tramonto, un quadro. tutto ciò che amo, lo amo di un unico amore.”

marina cvetaeva, da “il paese dell’anima”
 
 
[immagine della mia teiera vera in carne e coccio, che si è prestata volentieri al blog di oggi, cioè l'ultimo di novembre. e vi saluta e vi ringrazia insieme a me.]

martedì 27 novembre 2012

a piedi scalzi sull'alfabeto

a come amiche mie.
il mio piccolo mondo in cui non scorre il tempo, né ci sono confini e distanze. è abitato da caldi pensieri attenti e colorati, ricamati di condivisione e dedizione. vi regnano risate e sicurezza, non ci sono streghe se non bianche e piene di pozioni magiche profumate.
b come bellezza.
una poetica trasfigurazione con due profondi occhi trasparenti, che penetrano le cose con la purezza incontaminata di un’anima vogliosa di stupore. si inala, si lecca, si sfiora, ci si perde dentro, si origlia, si pensa, s’immagina, si tace. è un sé che attraversa.
c come costanza.
un ritmo lento ed eterno, senza fine, senza sosta, senza stanchezza, senza paura, senza esitazione, senza ma, senza se, senza senza, con tanti con. una santa, santa costanza, dal viso rosa chiaro e capelli raccolti castani e mossi.
d come dono.
una sostanza che t’appartiene e che crea appartenenza quando la concedi. un sentimento, più che una cosa, un vettore con una direzione, una forza con un fulcro, una forma con un fluido che ci accende. infiocchettato, profumato e dolce. ci dà luce.
e come energia.
un attributo, un aggettivo qualificativo del tutto e dell’uno, dell’uno e del tutto. sta in un dito indice, in un cuore spezzato, in un rossetto lucido e appiccicoso, in un paio di pantofole di lana cotta, in un camino che arde, in un corpo che piange, in una testa che sale, nello zucchero di canna, nell’acqua del rubinetto, nel buongiorno detto e sorriso, nel bacio della buona notte, nel buio che ci copre.
f come fantasia.
vestita di piume bianche, leggera e bizzarra, fatta di carne e aria, senza tacchi, infuocata di passione. non cammina ma si sposta, non parla ma sussurra, non ti cerca ma si cela. sa come si ama e sa anche che sarà per sempre.   
g come gentilezza.
è una dea, si chiama gentilezza. si alza di buon mattino e sbadiglia, ma non è mai stanca. dorme solo se tutti dormono, è sveglia e vigile se solo uno è insonne. mangia, beve e fa l’amore e non vuol muorire mai. è sulla bocca di tutti, o almeno è nata per questo scopo. dicendola, la aiutiamo a non morire.
h come un sospiro.
un alito che non ha parole e non può essere scritto, ma solo immaginato. immaginiamo un tratto di silenzio, una pausa d’attesa, un pezzetto d’aria che spira morbidezza a labbra appena dischiuse. quella è l’acca. 
i come incanto.
incanta, lasciati stregare, ciondolati, sorprendi, sii tu in tutto il tuo te, afferra la bacchetta magica e compi la più incantevole rivoluzione che puoi: il giro di te intorno al tuo sole interiore.
l come luna.
luna piena di neve e di cambiamento. luna e l’altra, l’ombra che ci segue e che vediamo solo se ci voltiamo. il dito e la luna: lui la cerca, lei s’allontana restando. lunatica e ciclica, cammina ellittica in tutta la sua fulgida rotondità. non è lei che mente, siamo noi a non saperla tradurre. 
m come migrazione.
partenza, passaggio, volo verso il caldo, trasformazione. una comunità che si richiama e parte, s’aiuta, collabora, si spinge, s’orienta e si leva in moltitudine. un’individualità che finisce e trapassa, un uno che si spalma sull’universo. 
n come nutrimento.
cibo salubre, cibo per l’anima, cibo per la mente, cibo per la fame, cibo da palpare, cibo da vomitare, cibo da sorseggiare, cibo da mare, cibo d’amare, cibo per allattare, cibo che inizia per enne ed è perenne.
o come occhio.
il terzo, centrale, viola, acceso, più alto. dorme e tutto ad un tratto si desta e canta, suona per chi non ascolta, ma solo per chi sente. lo senti? 
p come pace.
p come pace. p come pace. p come pace. p come pace. p come pace. p come pace. p come pace.
q come quaderno.
a righe e con gli anelli, rosa fucsia appassionato, da scrivere e riempire, da leggere e svuotare, da sfogliare e portare al naso, disegnare, strappare, farci le orecchie, liberare e farlo volare.
r come rabbia.
una scia che grida rivoluzione!, che s’agita, che s’alza in piedi dirompente ed erutta, che straripa e inonda, sommerge, travolge, colpisce, zittisce, annienta, uccide. chi la prova e non la sa perdonare.
s come sia.
sì, sia. sia che siamo. sia che si ha ciò che a sé non si trattiene. sia sempre sì solo quando non è no, sia no quando la tentazione è dire sì. sia ciò che si è. così sia.
t come t’amo.
di un amore da amare che m’ama mentre io l’amo. amo te e me e il cielo che ci sovrasta e la terra che c’accompagna e l’aria che ci respira e l’alito che ci bacia. t’amo un po’ così, che diversamente non saprei fare.
u come universo.
un universo uno e multiplo. intero e frazionabile. bianco e nero, pure grigio. femmina e maschio, ma non solo. uno e due. più e meno, pure per. yin e yang. universale e particolare. universo soltanto perché va verso un uno, senza confinarlo mai.   
v come vetta.
immensa eppure stretta, sovrana. mi parla con una vertigine, le rispondo col mio respiro affannato e il cuore che spinge sulla gola. è un’immensa immensità.  
z come zitta.
zitta, non parlare, resta in silenzio: le parole ci separano.

bi






[creazione di duy huynh artist]

lunedì 26 novembre 2012

se fossi pizza, sarei capricciosa. e tu?

se fossi pizza, sarei capricciosa.
e tu?
rossa, con tanta mozzarella e un sacco di carciofini sott’olio.
con un velo di polemica, ma tanti sorrisi davvero un sacco al posto dell’uovo sodo, che proprio no, sulla pizza mia non ce lo voglio.
(pausa).
un giorno ho inveito contro una signora.
mica per lei, sia chiaro, per un suo gesto.
aveva buttato la busta dell’immondizia fuori dal secchione dei rifiuti.
sotto casa sua, mia, nostra, di altri.
con il secchione vuoto e aperto.
non mi ha capito, ha pensato che fossi una rompipalle maleducata, che alza la voce contro gli adulti e s’arrabbia perché vuole sempre avere ragione.
non essere compresa mi mette a disagio, ma poi pazienza.
(sospiro).
sono capricciosa, comunque, questo è certo, com’è certo che il nome mio mi si appiccichi addosso come una seconda pelle.
tu hai le alici?
buonissime, le alici.
io ho una sola fetta di prosciutto di montagna, salato, olive snocciolate tutte su un lato (il sinistro), salate, e il salame, pure piccante.
non è una questione di voler avere ragione, la mia, non m’interessa proprio, è una questione di funghi.
sulla pizza devono essere champignon, se no la pizza non va giù e mi si mette di traverso.
la mia è una trasversale forma di giustizialismo senza -ismo finale in negativo.
una volta ho detto stizzita a due tizi, assolutamente sconosciuti, che non erano desiderati.
eravamo in sette, sedute intorno a un tavolo all’aperto a ridacchiare e mangiare gelato con tanta panna.
parlavamo di noi, di robe femmine, cose intime e pure no e comunque non aspettavamo nessun altro.
questi si sono avvicinati e hanno preso con decisione due sedie, si sono seduti in mezzo a noi e, senza invito, ci hanno invaso di sottile e velata prepotenza.
le nostre voci si sono affievolite ed un imbarazzante silenzio è caduto con disagio, condito da un pizzico di paura.
- avete per caso chiesto con educazione di potervi sedere? non vedete che non vi parliamo? siete di troppo.
il pepe nero non ci va sulla pizza, chiaro no?
(scuoto la testa).
e poi si vede che non sono una margherita e c’è chi lo capisce alla prima occhiata.
sì, sulla margherita puoi metterci quello che vuoi.
invece la capricciosa e bell’e fatta, è già piena.
simpatica o no, non è questo che conti.
e anche la mozzarella di bufala sta bene solo sulla margherita.
sulla capricciosa ammazza gli altri sapori.
quali sapori hai tu?
mi piacciono tanto le pizze che non sono capricciose, molto più della capricciosa.
(sorrido).
è che l’ingiustizia mi accelera il sangue sulle tempie e in un attimo divento incomprensibile a tutti, a me stessa anche.
per me pure i diritti della carta straccia andrebbero rispettati, soprattutto se la carta straccia non la fanno parlare e si sente debole.
ci sono tanti piccoli mondi invisibili ogni giorno e questo le pizze buone non se lo dovrebbero dimenticare.
pure quelle che hanno i funghi porcini e il tartufo, che boh, io non le capisco tanto.
dicono che la capricciosa senza uovo sodo si chiami quattro stagioni.
io non sono d’accordo, oggi, e la chiamo capricciosa senza uovo, che mi capiscono tutti.
poi domani vediamo.

bi



[immagine di sergio mora art]

sabato 24 novembre 2012

Empty pages




Avere paura della pagina bianca- ascoltare Empty pages dei Traffic per convincersene- bassa con la tendenza alla vertigine dell'altezza- profondamente e totalmente emotiva- razionale fino a sbatterci il muso contro- saggia fino all'assoluto della pesantezza- leggera fino a sembrare stupida- profonda come gli abissi della memoria del tempo- l'insostenibile leggerezza del non-essere- sono qui ma vorrei essere altrove, quasi sempre- sono altrove anche se sembra che sono qui- sembrare lunga dentro calze a righe bianche e nere- piccola calda e viola intenso- il colore rosso rubino del vino buono- combattere il vuoto riempiendolo di silenzio- tante parole dette di getto- tanti silenzi pensati intensamente- paziente come l'erba che aspetta a rinascere sotto la neve dell'inverno più lungo- qualcuno diceva, sei una città del nord-  dico che viaggio ogni notte fra San Pietroburgo e Santiago del Cile- la notte sempre la notte- la pioggia quando scende piano e lenta, come sospesa- terra in fiamme- Miles Davis-il sole solo d'estate dopo le 19- la luce gialla- la fotografia dove vede la bellezza attraverso- la poesia, solo, la poesia- la pittura se sono corpi che trasfigurano in sogni- i ricordi,  se sono di altre vite- le tue dita lunghe come fusi di madre perla- la tua musica solo se è estensione della tua anima- il tuo canto che fa commuovere l'anima- il tuo sguardo su di me che solo tu hai avuto e nessun altro- se ho amato non ho mai smesso- a chi ho detto "ti amo" che sappia che è per sempre- la verità se è vera si trasforma- i gatti girati di spalle che ti vedono lo stesso- il rifugio nel respiro caldo dei cavalli- la pietas- Krzysztof Kieślowski- non i perché- sensualità carnale- il seno morbido e bianco- il sesso rosso e pieno di carne- sensualità spirituale- trascendere l'intrascendibile- i giardini d'autunno- il mare perché non so percepirne il confine- non volere confini- il mio odiato bisogno dell'avere bisogno- un vestito bianco trasparente l'estate- il vento forte che non porta freddo- i capelli lunghi che si spettinano- le risate sulle cose stupide- le lacrime sulle cose stupide- quando piango e subito dopo rido e gli occhi sono bagnati d'aria- il senso del momento che poi svanisce- la balle di fieno a maggio- la Luna- i temporali- la danza delle streghe- mia madre coi miei occhi in una foto antica- Bernardo Bertolucci- i ladri di bellezza- i pittori preraffaelliti- l'amore multiforme- l'amore senza una forma- la lunga ferita della giovinezza- Cymbaline- Green is the colour- io un giorno che ballo con i lupi- If - Tarkovskiji- sogni della notte che cambiano i giorni-….


to be continued…

Di, che ogni tanto torna per cercare di andare.

venerdì 23 novembre 2012

le cose che amo sono verdi

 
 



sono cose e non cose e hanno dentro il verde.
gli alberi, le loro radici labirintiche, il loro profumo hanno il verde.
l’incessante energia di mia madre, che non è mai stanca e dorme le sue ore contate, è verde.
l’apertura della mia finestra verso l’infinito è verde.
la musica del primo mattino che scalda il silenzio ha un po’ di verde.
il letto alle dieci di sera è un tuffo nel verde.
i miei sogni dentro una sostanza che mi tiene lì sospesa sono verdi.
il mio corpo pieno di inconsistenza è un fluido verde.
mia sorella che dorme accanto a me profuma di verde.
una serata in piazza a bere birra ha un po’ di verde.
la bellezza delle amiche che amo è di colore verde.
il loro tono della voce e i loro cuori hanno un sapore verde.
la gentilezza e l’umanità sono sempre vestite di verde.
le note suonate dal violino volano alte e verdi.
l’ultima pagina del libro che amo nell’ultima riga è piena di parole verdi.
la mia gatta che viene in sogno e m’abbraccia è verde.
la nostra storia d’amore ci bagna di verde.
il suo messaggio con i fuochi d’artificio era pieno di verde.
i segreti sono verdi.
il vento in barca al tramonto sussurra con una voce verde.
il sole e la luna s’incontrano nel verde.
i pantaloni più belli di tutti sono verdi.
il cancello di casa mia è da sempre verde.
la maglia di lana a buchi di mia nonna era verde.
i fiori hanno dentro il verde.
una foto scattata di nascosto ha i contorni verdi.
le narici che respirano vita respirano verde.
i pensieri che portano lontano hanno un suono verde.
l’anima mia seppure ombrata di marrone scuro e ruvida è accesa di verde.
i pomeriggi estivi alle due hanno il silenzio verde.
il respiro del mio cavallo mi parla in verde.
le nuvole a forma di montagna sopra le montagne hanno i riflessi verdi.
il non detto ma capito è verde.
la solitudine della pace è verde.
i bambini, i bambini sono tutti verdi.
la nostalgia dei ritorni è umida e verde.
la comprensione dell’amore è dalla testa ai piedi verde.
la pazienza ha le scarpe verdi.
ridere è la più bella cosa verde.
saltare e correre sono un po' verdi.
scrivere è verde.
e gli occhi, gli occhi inumiditi e senza tempo di mio padre sono verdi, sono due meravigliose olive verdi.

bi 

“la vita, insomma, è molto solida o molto instabile? sono ossessionata da questa contraddizione. dura da sempre, durerà sempre, affonda giù fino alle radici del mondo, quest’attimo in cui vivo. ed è anche transitorio, fuggevole, diafano. passerò come una nuvola sulle onde.”

virginia woolf, da “diario di una scrittrice”
 
 
[immagine di arseny semyonov photographer]

lunedì 19 novembre 2012

la lattaia e altre cose così

la lattaia ha sempre avuto un nome che non le è mai servito.
lattaia è lei solo lei e nessun'altra al mondo, che di maria ce ne sono tante e di lattaia una sola.
lattaia significava tante cose: piccola, mora e riccia, con due gote rosa acceso e un po' ruvide, sorridente con tanti denti, con un grembiule celeste dai bordi bianchi e una grossa tasca al centro della pancia, occhiali con profonde lenti chiare, un dialetto stretto tra le labbra che mi faceva ridacchiare, una minuscola bottega lunga circa dieci passi e larga otto, la busta di latte bianca, di latte quello buono che non me lo ricordo quasi più, con le stelline azzurre.
stelline magre, intendo, tipo il simbolo della neve.
solo lei mi consegnava tra le mani quella via lattea per un soldo che le davo.
lei profumava di rosetta alla mortadella e la sua bottega pure.

una persona che si emoziona facile ha spesso una vita difficile.
esiste pure la pelle che si emoziona, io ne conosco una.
la pelle che si emoziona non è più quella discreta di un tempo.
di quando se ne stava in disparte e osservava tutto e non parlava con nessuno.
diventa rossa, s'infiamma, produce brufoli fuori stagione, prude, a volte si crede di essere una tela del puntinismo, altre dell'impressionismo, separa ma lascia trapelare, fa da confine eppure no, si sente assediata e reagisce.
straripare, potrebbe straripare.
straripare d'amore e non reagire più, sentendosi accerchiata.
 
da qualche tempo indovino le canzoni alla radio entro i primi dieci secondi.
questa cosa mi ha messo pensiero.
perché appena parte la canzone dico subito:
- ah, bella questa!
e la azzecco.
non mi sento intelligente, mi sento di più una robottina.
una specie di generatore automatico di titoli di canzoni dette a mente e senza voce.
ma guarirò, ne sono certa.

visto?
pure san martino s'è stufato ed è partito con l'estate sua.
era roba sua e, dopo avercene fatto assaggiare qualche sorso, ha detto che il nettare è finito e che novembre scalpita, perché vuole fare l'autunno inoltrato che conduce la natura verso il freddo e l'oscurità invernale.
fuori c'è confusione.
le fragole pensano che sia primavera e sono nate nel vaso di a., le margherite pure si sono spalancate nei vasi di l., gli storni ancora non partono, perché credono che in fondo qui non si stia poi così male e altre cose strane così.
questo tepore illude.
questo tepore ha illuso pure loro.

incrocerò di più le parole e le farò roteare come girandole colorate.
diventeranno farfalle, senza passare per il bruco.
il tedio mi svilisce e impallidisce, a me che sono già diafana di mio.
sono giorni difficili, di parole difficili.
non so stare composta quando serve.
e ora serve, sì.

bi 
 
 
 

"la scrittura per me è un tentativo disperato di preservare la memoria.
i ricordi, nel tempo, strappano dentro di noi l'abito della nostra personalità, e rischiamo di rimanere laceri, scoperti.
così scrivere mi consente di rimanere integra e di non perdere pezzi lungo il cammino."

isabel allende
 
 
[paper sculpture by the british artist sue blackwell, da design-dautore.com]

 

martedì 13 novembre 2012

vi presento novembre

 
 


io e novembre non ci siamo mai scambiati reciproca empatia. a lui piacciono le donnine tutte d’un pezzo, ammantate da gonne sinuose al ginocchio e tacchi dai cinque centimetri in su, che parlano perbene e senza parolacce, che trasudano femminilità, che stanno zitte e se non lo fanno è per dire cose maschili e per rispondergli che sì, è come dice lui: lui ha ragione, sempre. non si tagliano troppo i capelli e la riga se la spostano ogni due minuti, ad un ritmo lento e regolare come il moto di un pendolo che ipnotizza.
novembre è uno che si metterebbe un impermeabile da sherlock holmes, se solo potesse vestirsi, che parlerebbe con una voce decisa e calma, se solo potesse parlare, che tuonerebbe come un fulmine pieno di elettricità, se solo potesse arrabbiarsi, che sarebbe un’ombra, se solo si facesse spazio.
novembre è maschio.

è uno introspettivo, di colore scuro, dai passi muti, silenzioso, introverso, cupo, distante ma profondo. quel poco che dice è diretto a proclamare le verità più nascoste di ciascuno.
novembre è lento, ché se fosse un pianeta sarebbe plutone, lontano, freddo, solido, anzi durissimo. accende nelle sue tenebre delle minuscole luci gialle, mai dei lampadari, leggermente intermittenti, che messe tutte insieme disegnano delle righe perfette, delle colonne perfette, dei rettangoli perfetti. disegnano una geometria euclidea di lucine gialle, che durano qualche giorno, il tempo di ricordare i morti. è dei morti e dei vivi che non li lasciano andare.
novembre muta ogni essere vivente. i cervi maschi e adulti perdono le corna, abbandonando contro una quercia la forza e la lotta. basta lottare: arrendetevi e tacete. ordina loro e loro obbediscono, mietendo silenzio sui monti.
la pioggia scende copiosa, incessante, buia e anche non, che tutto lava e tutto purifica, che ti fradicia dentro e ammolla le durezze.
l’albero di noci non germoglia più, è stanco e si sente indebolito: ingiallisce tutte le sue foglie, una ad una, le dipinge con amore e precisione e le consegna al vento, piangendo in solitudine quell’amorevole abbandono, lasciando che il vento le stacchi e se le porti via, lontano verso l’inverno.
è il tempo del buio alle cinque, del tramonto alle quattro, del sole che a mezzogiorno è basso e descrive un arco sempre più corto e sempre più sfumato.
vi presento novembre, uno che non si fa amare da tutti. uno che ci vogliono anni fatti di pezzetti di trasformazioni costanti ed infinitesimali per riuscire a guardarlo per quello che è e cominciare a credere che il buio bisogna fissarlo, dritto, dritto negli occhi, con umiltà e coraggio, per poi sbocciare improvvisamente. uno che lo fuggi per anni e per anni pensi che sia quello sbagliato, da evitare, da emarginare, da coprire, da seppellire, da cancellare dalla memoria dei tempi. e poi ti salta in gola e diventa parola. uno che non fa sconti, che non t’insegue, che invece ti semina.
e lo ritrovi.
novembre è il tuo dentro, il mio dentro, il dentro di ognuno.
novembre è il ripieno.
fondente, amaro, nero, lucido, denso, melmoso.
novembre è la cioccolata fondente dell’anima. 


bi


[ph. jean françois lepage, the other side of the dream]