giovedì 26 aprile 2012

il decalogo del downshifting in tempo di crisi che per capire il significato di downshifting ho fatto copia e incolla su google e basta





oggi all'una e quindici post meridiem ho provato un profondo dolore e un grande senso di impotenza.
un cucciolo di merlo grigio come l'argento, con lunghe e sottili dita, pelo opaco e arruffato, sguardo lucente ma smarrito, sorriso spento, fare sperduto è rimasto intrappolato nel pianerottolo del mio secondo piano.
capite il dramma per un esserino sprovveduto come lui?
sarà caduto dal suo nido?
si sarà lanciato nel suo primo volo, trovandosi davanti una fessura di una finestra condominiale aperta?
tanti interrogativi mi hanno attraversata, mentre cercavo invano di parlargli e lui era lì tutto attento, come a dire:

- cosa dici? non mi toccare, per favore, non sono ancora troppo pronto al mondo.

e infatti non si è fatto prendere.
mi sono pure concentrata tantissimo, cercando di raggiungerlo con il pensiero e senza mani, dicendogli che c'era una possibilità per lui: la finestra aperta a ventaglio a pochi metri da noi!
ma niente, non mi sono fatta capire.
certo che siamo proprio degli esseri strani, noi: usiamo un linguaggio articolatissimo e pieno di sfumature e parole complicate e filosofiche e metaforiche e poetiche e belle proprio, eppure un piccolo merlo gentile ed indifeso come lui non mi ha capito.
ma quindi scusate: a che cavolo ci servono tutte queste parole, se non possiamo aiutare il prossimo?
il risultato è stato il mio completo fallimento: non ho saputo aiutarlo.
ma sono certa che la natura abbia fatto da sé, come sempre fa, perché mezz'ora dopo lui non c'era più.
perché fondamentalmente, rispetto alla natura, siamo degli incapaci devastatori ospiti invadenti e pure maleducati e ineducati ed egoisti ed ignoranti (amen).
è che in questi giorni ho la bilancia interiore sfasata e starata, cioè impostata su valori sballati (ma non completamente sbagliati, questo è certo).
vincono l'intolleranza, la polemica, le apocalissi, lo scontro, l'impulsività, la lotta.
insomma sì, sono proprio una personcina caruccia caruccia, ecco.
ma almeno lo riconosco e soprattutto mi rivolgo esattamente alla natura per chiedere aiuto.
per esempio, poche sere fa verso le nove e mezzo di sera sono uscita nel terrazzo e mi sono goduta uno spettacolo meraviglioso: il cielo era un sacco blu e sereno ed era acceso di miliardi di luci pazzesche e sembrava parlare e dire:

- che borbottate, laggiù? non vedete che siete quasi nulla rispetto all'infinito? potreste essere un altro universo, un altro infinito, ciascuno il proprio per se stesso, e invece sprecate le energie in modi sbagliati e troppo umani per sentirvi universi, anzi multiversi. capito?

eccome se ho capito, il messaggio è arrivato forte e chiaro, altroché.
e non è finita qui.
mi sono presa un gravoso impegno, uno dei quelli edificanti e che vale la pena davvero prendersi.
siccome sono una pippa al sugo e non riesco a diventare vegetariana (e quando ho il mal di testa ancora ricorro al moment, ma solo a quello percarità!), anche per via del gruppo sanguigno zero che recrimina carne almeno due volte a settimana e anche per il mio peccato di gola che di notte invoca la pancetta affumicata, allora userò soltanto creme e shampoo e docciaschiuma e tutti questi cosi qui naturali al cento percento, senza schiumogeni e agenti patogeni e parabeni (i paramali, in effetti) e schifezze varie.
che poi alcuni li prepara per me e non solo la mia amata Di, questa qui di radica.menti, che fa delle pozioni magiche magnifiche e belle e buone come lei!
diciamo che intanto è un inizio, poi migliorerò, tipo che magari mi farò ipnotizzare, più in là, e diventerò pure vegetariana.
poi ho fatto un'altra cosa ancora: mi sono chiesta cosa sia il downshifting.
avete mai sentito parlare del downshifting?
all'inizio sembra una cosa tipo drammatica, ma poi, una volta che ci si è documentati, si scopre miracolosamente che non è altro che una serie di comportamenti responsabili e belli e buoni.
e io sono sempre stata una rompiballe, lo ammetto, ma responsabile pure.
mi prendo anche responsabilità che non sono mie, ma per questo tema ci vorrebbe un altro capitolo e adesso non ho tempo, né voglia.
dunque esiste un decalogo del downshifting, di cui desidero lasciare traccia perché sì e pure perché è utile quantomeno averne consapevolezza per poi scegliere:

http://www.avoicomunicare.it/blogpost/ambiente/il-decalogo-del-downshifting-tempo-di-crisi

del decalogo, c'è una parola che ha subito rubato la mia attenzione: donare.
infatti è vero che l'unico valore reale che possiamo pensare di possedere è proprio ciò che doniamo.
che da mio diventa tuo e nostro. bello, no?
mio è dannoso, mio lo devi saper gestire, devi essere uno in gamba e pure che conosce bene freud e jung e assolutamente non solo!
e allora facciamo un po' tutti 'sto downshifting e non dico mica proprio tutto insieme in una botta!
possiamo farlo per gradi, un po' per volta, un po' sì e un po' no, un po' ni, come ci pare e piace.
non facciamo più finta di vivere in un paese normale e assumiamoci le nostre piccole-grandi responsabilità di multiversi quali siamo.
io sono multiverso, tu sei multiverso, egli-ella è multiverso, quindi ci tocca a tutti metterci impegno nella vita, se vogliamo guardarci allo specchio e dirci: cavolo, mi piaccio come multiverso! non mi sputerei in faccia, ecco!
vi lascio con qualche parola di uno grandissimo, di un genio e di uno spirito presente, roba che fa bene.
e nel frattempo prego affinché il piccolo merlo abbia ritrovato la sua strada al sole e senza pioggia e pericoli e abbia capito che non tutto il mondo viene per nuocere.
e poi anche un'altra cosa: grazie a tutti ma proprio tutti, che è un po' che non lo faccio: ringraziarvi.

un po' vostra, un po' no
bi

"chi guarda fuori sogna
chi guarda dentro si sveglia"

carl gustav jung

martedì 24 aprile 2012

il gelato col cappellaio matto




repetita iuvant.
e ieri è stato proprio così.
in fila per fare merenda e prenderci il nostro bel gelato e dare il benvenuto (o quasi) al sole e al cielo azzurro delle cinque e mezzo del pomeriggio.
mi pare una cosetta semplice e lineare, o sbaglio?
se non fosse che il gelato lo stavo prendendo con lei.
come lei chi?
ma lei-proprio-lei, quella dell'insalata da addobbare del pranzo per farle conoscere, capito?
la signorina-addobba-insalatone si arreda pure il suo gelato e i gusti, come i fatti dimostrano più di mille parole, sono una scelta di vita, che la vita te la condizionano, tipo come quando sei a un bivio e devi girare: ecco, verso dove?
- senti, lo yogurt come lo fate?
ho cominciato a tremare.
io le avevo soltanto detto:
- dai, prendiamoci un gelato quando finisco di lavorare!
cioè, il messaggio parrebbe chiaro ai più: ho finito di lavorare, mi sono sparata le mie nove ore cominciando alle otto (santissimatrinità), ho una nebulosa in testa che non ti dico, l'idea che una supernova mi può anche essere scoppiata in testa mica solo in cielo e manco lo so, il peso delle relazioni sociali del giorno poco relazioni e pure poco sociali. capito?
volevo solo un gelato, tipo così.
in semplicità, sorridendo, dicendoci due baggianate sotto al sole, con quel venticello delle cinque e mezzo del ventitré aprile, poco caos, nessun impegno se non avere di fronte la mia superamica.
già, lei.
questo non lo avevo calcolato o giù di lì.
e al suo "lo yogurt come lo fate" un brivido gelido mi ha percorso la schiena e mi ha fatto voltare vorticosamente verso la povera malcapitata sgranando gli occhi.
- che frutta avete da mettere sopra lo yogurt? perché io lo voglio con la frutta fresca sopra, senza sciroppo colorato, oppure con uno sciroppo che non sia alla fragola. oddio, io sono allergica alle fragole! non è che ce l'hai solo alla fragola? e oltre alle fragole che altra frutta posso mettere sopra allo yogurt magro? a me non piace il melone, occhei? l'anno scorso me lo facevate buonissimo, mi ricordo bene. e mi ricordo anche che sempre l'anno scorso...
ho spento le orecchie. e basta.
non ce la potevo fare, stavo soffrendo per lei, l'altra, quella che lo yogurt stava per prepararlo, o quantomeno avrebbe dovuto prepararlo... già.
- senti - dico io, interrompendo quell'eresia e intenerendomi verso la ragazza dai grandi occhi celesti e gentile dentro e fuori - comincio io: mi fai un cono piccolo con nutella, crema e panna, per favore?
cioè, mica ci vuole una disquisizione filosofica, no?
che per dirlo io... un cono e basta e poi ti scegli due o tre gusti, no?
no. non per lei, ecco.
dunque, mentre la ragazza dolce dagli occhi celesti e i capelli lisci tirati e composti è presa nella preperazione del mio cono-senza-troppe-pretese, lei si illumina.
- anche io voglio un cono!
vedi alle volte l'emulazione e l'apprendimento per imitazione quanto fanno del bene al prossimo?
laddove il prossimo è l'altra, quella gentile con gli occhi celesti e il sorriso sincero e accogliente.
decide per un cono e pure velocemente.
occhei, ma con un gusto sconosciuto mai sentito prima proprio che conosce solo lei e il genio che l'ha ideato e l'ha impastato e messo lì.
e come ti sbagli.
uno è pistacchio, e va bene, dell'altro non so riportarvi assolutamente il nome, tutt'al più posso provare a descrivervene il sapore: una roba che sa tipo di noccioline americane buonissima, sì, e con un retrogusto che ti spara carie nei molari e premolari già da lontano.
comunque fantastico, non c'è che dire.
occhei: il pranzo va in un modo, la merenda in un altro, poi vi racconterò anche dell'aperitivo e della cena.
va presa a piccole dosi, come il cappellaio matto.
ma una cosa è certa: non le permetterò mai di uscire dalla mia vita.

bi

lunedì 23 aprile 2012

ella fu.



ella fu.
un giorno ti svegli e finisce la tua penna. una blu che t'accompagna da anni.
e all'improvviso sei pervasa da una sensazione sconcertante e di impotenza.
devi cambiare penna, è chiaro?
lei ha esalato il suo ultimo getto blu e io lo sapevo che stesse per arrivare quel momento, perché il suo esile corpo è trasparente ed effettivamente lo vedevo da un po' che la sua fine stesse per giungere.
e quindi arriva. e lei smette di scrivere. dopo che ti ha accompagnato per chilometri e chilometri e chilometri e ancora chilometri di parole e segni e scarabocchi e spazi condivisi e tempi pure.
tipo, quanti chilometri?
addio, mia penna blu.
mi piacerebbe seppellirti dove stanno anche i resti mortali di john keats e percy bysshe shelley, nel cimitero acattolico di roma: lì ci sono pure un sacco di gatti e vi aleggia lo spirito eterno della bellezza e della poesia e dell'amore, tutte cose che dentro questo posto tu non hai mai potuto respirare.
ti regalerei un passaggio verso l'infinito, capito?
è roba per i vivi, non proprio per le cose morte come te, capito?
cioè, senza offesa, tu sei solo corpo, mi sa.
o hai un'anima, anche tu?
no perché qua hanno un'anima pure esseri in apparenza inanimati o animati da sentimenti bui e negativi.
quindi, mi chiedo: perché tu non dovresti averne una, che magari te la meriti anche di più?
tuttavia temo che lì, in quel cimitero dei grandi, tu non ci possa tanto stare.
per te hanno previsto qualcosa di più giusto per l'ambiente e io non ci posso proprio mettere una buona parola, perché è così e così sia.
non sarai sola, questo è certo, e soprattutto ti viene concessa un'enorme e fantasticissima opportunità!
un'altra vita, capito? capito che fortuna? per te e per me e per tutti?
potremmo incontrarci ancora: io così e tu bicchiere, oppure io gatto e tu ciotola, oppure io acqua e tu bottiglia, oppure io in un modo e tu in un altro. ecco.
la cosa certa è che ci riconosceremo, anche tra mille penne e ciotole e acque.
tu saprai che io sono io e io saprò che tu sei tu, di nuovo, once again, e lo capiremo guardandoci negli occhi!
te ne vai il giorno ventitré ed io resto un po' così, piena di molti interrogativi, hai visto?
eppure al contempo mi lasci il sapore di alcune certezze.
e una te la voglio proprio dire: la terra va rispettata, capito?
è per questo che non posso seppellirti vicino a keats e dedicarti una lapide solenne con una poesia fica.
cerca di comprendermi, almeno tu, ch'io faccio una fatica che proprio non ti dico.
ma tu puoi, io lo so.
e sai che ti scriverei? sulla lapide, dico?
una frase bellissima di uno più famoso di me, perché te la meriti, e fa così:

"quando ti spogli di ciò che sei,
diventi ciò che potresti essere
"
lao tzu

bi

venerdì 20 aprile 2012

Margherita e i Signori Cappelletti

nascosta sotto il tavolo della cucina, allungavo il braccio destro e le rubavo i cappelletti appena fatti.
lei era romagnola, quindi erano dei Signori Cappelletti, pure con la lettera maiuscola (che scritta da me vale doppia).
tutti bellitondi, quasi perfetti, ognuno diverso dall'altro e comunque tutti fratellini e con un ripieno che più ripieno non c'era proprio.
i Signori Cappelletti erano secondo me il supermegatop della pasta fatta in casa da mangiare cruda.
e poi mia madre non li sapeva fare, a lei potevo rubare soltanto le fettuccine e gli gnocchi di patate, che però mi si attaccavano ai denti e mi faceva un po' schifo tutto quell'appiccicume.
i Signori Cappelletti erano i miei preferiti e li faceva lei: Margherita (anche lei con la lettera maiuscola, se no non è carino).
andavo da Margherita tutti i giorni dopo la scuola: i miei lavoravano e tornavano alle cinque e io non potevo stare a casa da sola a sei anni, né mi andava, né avevo una sorella o un fratello più grande con cui stare, quindi mi portavano al piano terra di via dante alighieri venticinque e mi lasciavano nella casetta di Margherita.
da lei c'era sempre un odore forte di pranzo, di pasta, di torte, di carne, di verdure e la cucina era grande e spaziosa, con il lavandino bianco e due tendine sotto per nascondere le cose segrete di Margherita.
comunque era una casetta uguale, ugualissima alla nostra: stesse stanze, stessa luce, quasi la stessa disposizione dei mobili, che io non mi perdevo mai e sapevo benissimo dove cercare le cose.
solo che non c'era il balcone e vedevo il prato di fronte e l'asilo più bassi.
ogni volta che Margherita mi apriva la porta, la trovavo ad asciugarsi le mani sulla sua parannanza perenne, come se ce le avesse sempre a mollo - povere mani - e sembravano così morbide e stanche ed erano fatte di dita un po' ricurve (forse perché mi faceva troppi Signori Cappelletti, cara Margherita...).
era sottile sottile, una personcina fragile e un po' piegata sulla sua schiena leggermente curva, sembrava come spezzarsi ad ogni movimento, aveva la pelle rosa scuro e piena di pieghe, due grandi occhi celesti chiari chiari bellissimi, i capelli un po' biondi e un po' no corti e mossi.
era forte, Margherita, nonostante apparisse così delicata e lenta nei movimenti, non aveva mai la febbre, sorrideva sempre e neanche mi sgridava mai (eppure di birbate ne facevo anche lì).
ogni volta che rubavo i Signori Cappelletti da sotto il tavolo, lei sembrava far finta di niente e anzi metteva più Signori Cappelletti verso il bordo più esterno del tavolo ed io riuscivo a rubarli meglio.
facevo i compiti seduta sul tavolo della cucina e lei mi girava sempre attorno, perché quello era il suo regno e lì aveva sempre un sacco di cose da fare. e allora ce ne stavamo insieme, ognuna con le robette proprie, e ci facevamo un sacco di compagnia, parlando e anche stando in silenzio.
mi piaceva tanto Margherita.
quando faceva i dolci, almeno una volta a settimana, mi regalava sempre la scatola e le bustine del lievito, perché c'era Maria Rosa e impazzivo per Mariarosaognicosasaifartù!
passo ancora davanti a quella porta, ma Margherita non c'è più.
cioè, agli altri sembra che non ci sia, mentre io la vedo con la sua perenne parannanza e le sue mani umide e i suoi occhi celestissimi e i suoi segreti nella cucina e l'odore del pranzo.
ma le rughe quelle per fortuna no, non ce l'ha più.

bi


[Mariarosaognicosasaifartù]

giovedì 19 aprile 2012

il violino

di spalle, la pelle della schiena nuda rivolta verso nord, nessuna sensazione di freddo o disagio, intorno un'atmosfera delicata e ovattata e sfumata.
nell'aria un sapore di tramonto, suoni deboli di un vociare lontano ma presente, persone in giro un po' sbiadite e poco definite e chiare.
volto il viso verso la spalla sinistra e fisso lievemente il pavimento polveroso, con delicatezza, senza far rumore, senza disturbare lui, le labbra appena un po' dischiuse, le sopracciglia ad esprimere un'attesa.
sento le sue dita delicate lungo la schiena, come a prendermi le misure e ad organizzare lo spazio di una tela diafana e liscia.
non lo vedo, è dietro di me, ma so chi è, che c'è e che sta scrutando la mia pelle chiara con quegli occhi neri e grandi e mi fa sentire ancora più bianca e accende ancor di più i suoi occhi scuri e potenti.
lo conosco, sono rilassata, mi sento al posto giusto e nell'attimo esatto, quel tocco nelle spalle e poi giù per la colonna e per i fianchi non mi mette a disagio, ma mi fa percorrere da un vento leggero e silenzioso.
ci parliamo sottilmente, quasi a monosillabi, come se le parole fossero inadatte a quel momento così solenne, come lo sentivo io.
nessun desiderio, se non quello di essere dipinta.
non sento alcuna pressione sulla schiena, mentre lui comincia a disegnare.
ancora un alito di vento mi avvolge dolcemente e mi bacia la schiena. ed ecco che comincia a tratteggiare due fessure nere e simmetriche, lì, appena sopra i miei fianchi un po' tondi e morbidi.
mi sta affrescando la pelle, dipingendole sopra un violino.
mi muovo con delicatezza, non voglio che sbagli, ma lui tanto non lascia neanche una macchia né un alone fuori fuoco.
mi muovo in modo quasi impercettibile e raccolgo i miei talloni sotto le natiche, stringo i piedi che si toccano nelle punte e piano lascio il pavimento e mi siedo sulle mie gambe.
il tempo di girarmi verso di lui e non vederlo più.
resto sola. io e la mia schiena che riluce di una bellezza ancestrale, talmente bella da togliermi l'aria nei polmoni.
mi risveglio.  
nessuna sensazione di freddo o disagio.
ancora intatta un'atmosfera delicata e ovattata e sfumata.
ho ancora sonno ma il mio pensiero è vivido e acceso su questo sogno surreale appena fatto, ma così tanto realmente vissuto.
tutto mi sembra comprensibile, non ho alcun desiderio di ricercarne un altro senso e un altro significato, se non quello di sentirmi una meravigliosa e atemporale opera d'arte. creata da man ray.
  
bi

  

[opera di man ray]


"quando uno spirito è portato a sognare, non bisogna tenerlo lontano dal sogno, razionarglielo.
fintanto che distoglierete il vostro spirito dai sogni, non li conoscerà,
sarete lo zimbello di mille apparenze perché non ne avrete capito la natura.
se un po' di sogno è pericoloso, ciò che ne guarisce non è sognare meno ma sognare di più, sognare tutto il sogno."


marcel proust, tratto da "all’ombra delle fanciulle in fiore"

mercoledì 18 aprile 2012

marmellata, che passione!

mi chiedo da sempre come si faccia la marmellata in casa.
per me è una di quelle magie alchemiche sconosciute, perché in effetti non è solo un cucinare la marmellata e via, ma è un vero e proprio processo di trasformazione interiore, che trasfigura la frutta e la sublima in quel nettare divino color viola scuro (viola perché non mi piacciono le marmellate chiare tipo smielate).  
nutro una profonda ammirazione per chi prende e se ne va in giro per la campagna, va a scegliersi e cogliersi le more più belle e tonde e grosse (cioè, questo lo potrei fare anch'io), con in braccio uno di quei cestini in vimini di forma circolare con il manico intrecciato e una tovaglietta a quadri rossi e bianchi come base, indossa un vestitino floreale e leggero, comode scarpe in tela chiare e un cappellino in paglia per ripararsi un po' dal sole (perché in effetti il momento per cogliere le more è l'estate), coglie nel tragitto dei timidi fiori dal prato e se li porta diritti alle narici per ingoiarne quell'odore di terra e di dolce, chiudendo gli occhi e riaprendoli, godendosi nel contempo uno di quei rari panorami pieni di natura e alberi e animali e colline e tutto questo, insomma.
poi se ne torna a casa con il cestino pieno (se la stagione è stata prospera), le lava e si prepara spiritualmente al lungo e magico rito di trasmutazione...
è qui che non so proprio che scrivervi. oddio, potrei improvvisare e buttarvi qui e là qualche strafalcione e dirvi che prende il pentolino e bla bla bla, ma proprio non so mentire e metto a nudo la mia totale ignoranza e comunque ribadisco il fascino che tutto questo non sapere come si fa la marmellata desti in me.
io, che barbara sono di nome e di fatto direi, la faccio molto più semplice e spartana, sì, e faccio ricorso alle immagini che mi girano per la testa come meteoriti impazzite.
sì, mi viene in mente proprio un bel quadretto familiare, di quelli però un po' alternativi e poco stereotipizzati, che non trovi nelle pubblicità del mulino bianco, dove fanno colazione tutti sorridenti carucci e pettinati tutte le sante mattine alle sette e c'è pure sempre il sole, o quelle della nutella, che è meglio che non ci pensi ché sono passate le quattro ed è ora della merenda (che io faccio ancora, voi no?).
dunque, c'è lei: madre. bella bionda alta sorridente con addosso una t-shirt equestre.
guarda amorevolmente con un senso di protezione ed appartenenza le sue due figlie in preda alla gioia più sfrenata del mondo per il fatto che si stia preparando la marmellata fatta in casa, rispettando le migliori tradizioni contadine con le casette in canadà e il pratino verde tagliato perfetto.
tutte riunite attorno al tavolo della ridente cucina bianca, con pavimento bianco in legno, frutta sparsa e arnesi del mestiere in bella vista sul tavolo di legno chiaro con gambe antichizzate.
ed ecco l'occorrente per come io intendo il compiersi del rito magico della creazione della marmellata scura!
è sufficiente scoperchiare il cranio all'uomo di casa e raccogliere in un'apposita ciotola di ikea trasparente e tonda il nettare rosso bordeaux o viola scuro o comunque quello equivalente alla marmellata di more di bosco o frutti di bosco o ciliegie.
le fragole no, ecco. quelle non mi piacciono molto.   
marmellata, che passione...

bi




[barbie assassine by mariel clayton]

martedì 17 aprile 2012

"la vita non è in ordine alfabetico come credete voi"

trentacinque palline di cioccolata mi faranno male?
no, perché invece io penso che trentacinque palline di cioccolata siano talmente salubri e risanatorie da non far ingrassare e neanche vomitare, che non facciano nemmeno proliferare i brufoli, ma sorridere, anzi ridere proprio e cantare e scordare quello che volevi dire.
ecco, ho dimenticato quello che volevo dire. che da una parte è una fortuna, poiché questa notte quel folletto alato di mercurio è tornato in ariete e noi esattamente nel tempo dell'ariete ci troviamo.
tranquilli, non sono improvvisamente diventata un'astrologa, né un'esperta di influssi astrologici, ma leggo e sono attratta magicamente dalle cose extra-terrene ed extra-terrestri ed extra-ordinarie.
lui, mercurio, fa parlare tanto, stimola l'arguzia e il senso dell'umorismo, favorisce la comunicazione, insomma enfatizza tutto ciò che potrebbe andare a vostro discapito... a voi che leggete, intendo.
la verità è che volevo essere una gatta morta. una di quelle che, nient'affatto perplesse, ammiccano e parlano poco, ti compiacciono, ti sorridono debolmente e a denti stretti, appaiono fragili e un po' svenevoli tipo pronte proprio a svenire, che non sanno minimamente cosa voglia dire essere un gatto, né un gatto si gira a guardarle, mangiano poco (davanti a te) e poi tornano a casa e si fanno un panino con la mortadella bevendo una birra e tirando fuori l'aria guardandosi allo specchio e compiacendosi del trucco che si è sciolto, che ti danno sempre ragione in ragione di una dialettica che non hanno voglia di sostenere, monolettiche, tipo.
e non è mica una questione di genere, percarità. infatti ci sono anche i gatti morti. di quelli che, nient'affatto perplessi, ammiccano con occhi spenti e parlano poco, ti compiacciono, ti sorridono debolmente e a denti stretti perché ce l'hanno cariati, appaiono fragili e sensibili e tonti, che non sanno minimamente cosa voglia dire essere un gatto, né un gatto si gira e si girerà mai a guardarli, mangiano sano (davanti a te) e poi tornano a casa e si fanno due panini con broccoli e salsiccia bevendo birra fredda ed eruttando in modo sguaiato mentre fanno smorfie assurde guardandosi allo specchio del bagno e compiacendosi con un ghigno malefico, che ti danno sempre ragione in ragione di una dialettica che non sanno sostenere, monolettici, tipo.
(par condicio, qui vige la par condicio. se non altro c'ho provato, più o meno).
è diciassette, signori. è quel giorno che gli americani chiamerebbero sedici-bis: today is april the double-sixteenth on two thousand and twelve (detto con voce metallica tipo quella della radio al tempo della seconda guerra mondiale).
diciassette invece è bello e buono, altroché, esattamente come i gatti neri e il sale che cade.
sì, perché gli antichi temevano i gatti neri soltanto per il fatto che presagissero l'arrivo dei pirati. il primo a scendere maestoso e regale e unsaccobbello dal galeone dei pirati era proprio il gatto nero. quindi non è che il gatto nero porti sfiga come noi poveri idioti pensiamo. occhei?
e quando capitava che cadesse il sale sul tavolo, ai nostri avi rodeva parecchio il culo, poiché proprio il sale era il cosiddetto salario e costava fatica e sudore e tredic'ore di lavoro senza scarpe di sicurezza e abiti da lavoro e tappi alle orecchie in fabbrica. occhei?
sulla natura della sfiga del diciassette non so niente e manco me ne frega di indagare, mi basta di sapere che gli americani credano alla sfiga del diciassette per prenotarmi subito un bel volo per l'aeroporto gei ef chei, scendere con zainetto ambiguo in spalla e urlare: "diciassette a tutti voi! tiè!". occhei?
comunque, ho scoperto una cosa fantasticissima e meraviglioserrima: i fiori splendono di luce propria.
l'ho visto con i miei occhi, quindi è vero e non posso essermi confusa, perché avevo bevuto caffellatte e mangiato un cornetto alla crema, senza né droghe né alcolici.




qui nell'orto che guarda la mia montagna sacra in mezzo al verde si accendono e sembrano delle magnifiche lucciole viola che ti prendono gli occhi e te li attaccano su di loro come fossero piante carnivore e ti senti ingoiata e stordita lì in preda ad una delle ipnosi più potenti e pure regressive!
uno spettacolo, giuro. potete venire e constatarlo con gli occhi vostri e pure gratis, purché restiate in silenzio e camminiate in punta di piedi. occhei?
eppoi vi dico anche un'altra scoperta sensaz(z)ionale che ho fatto: se fotografi le nuvole che corrono libere e felici sopra all'orto le vedi correre ancora quando le riguardi in foto e sorridi anche tu e pensi che la vita sia una cosa straordinaria proprio perché extra-ordinaria se esci da questo schifo di ordinarietà che ti vendono a du' lire e ti rende lobotomizzato. occhei?




le immagini parlano meglio e di più delle parole e se pensi ad immagini anziché solo a parole senti anche la musica e ti inebri di odori che ti fanno chiudere lentamente gli occhi e sognare. occhei?
occhei, la vita vista solo razionalmente e guardata solo con la parte sinistra del cervello e senza illusioni è vista e vissuta a metà e appare anche come una storia di nonsenso raccontata da un matematico idiota che non vede che tra un uno e un due ci sono infiniti altri numeri e un infinito di possibilità colorate e impercettibili o percepibili con un altro senso oltre i cinque. e cinque non è un numero perfetto e manco sacro.
e, citando l'immensa bellezza di antonio tabucchi, vi urlo che "la vita non è in ordine alfabetico come credete voi". e nel voi ci sto pur'io.

bi

p.s. il pezzo è lungo. è mercurio, vi avevo avvisato.

lunedì 16 aprile 2012

io non me le faccio bastare le citazioni




io non me le faccio bastare le citazioni. e neanche più le letture in contumacia.
io voglio leggere la poesia di goethe, guardandolo negli occhi e perdendomi nella loro bellezza e profondità, e voglio dirgli che come le ha amate lui, le donne, pochi altri le hanno amate, forse. e che le sue parole infondono uno stato di grazia dal quale non bisognerebbe mai uscire. mai.
allora ieri pomeriggio mi sono persa.
sì, perché sono stata tipo ingoiata e risucchiata in un altro dove e in un altro quando pure, tanto da non sapere né dove fossi né in che tempo, ecco.
ma era tutto meravigliosamente magico e fantastico e un po' sognante o sognato o tutt'e due e io comunque ero la io quella vera in carne e spirito.
ad un certo punto ero in giro per montmartre. sì, come avevo fatto da sola un giovedì pomeriggio di settembre del duemilatre e altre volte in quella settimana e poi basta.
ero vestita comoda, con un'inseparabile pashmina al collo, occhiali da sole e una grande tracolla piena di tutto, perché devi stare a tuo agio per respirare la bellezza dell'arte che tutto rende eterno e senza tempo. ché poi ti ritrovi inghiottita, tipo me, e devi saperti destreggiare e mischiarti tra la folla. e devi stare pronta.
ed ecco che passa picasso. lui. capito perché ti devi vestire comoda e con la borsa piena di roba?
mi sono alzata di scatto dagli scalini dov'ero seduta e mi sono lanciata verso di lui.
- non sei poi così alto, pablo. voglio dire, dall'alto del tuo genio, ti immaginavo alto e con lunghe dita ad abbracciare magici pennelli colorati. ti chiami come mio nonno, pablo. e come mio cugino e un altro cugino anche, che sta ad amsterdam. amo tanto i tuoi cubi e i tuoi colori e i tuoi arlecchini. un po' meno le tue donne... ma no, ti spiego. mentre un giorno stavo affogando dentro la magnifica bellezza dei tuoi quadri, una raccontava quanto fossi maschilista e sprezzante della divinità della donna e quanto raffigurassi donne sessuate e sessuali e carnali e turgide. tu, capito? la donna non è solo carne. ma tu secondo me lo sai, è lei che non ha capito alcuni aspetti di te. e io nemmeno, mica dico di sì, però non mi faccio domande. per dire, io entro nei tuoi colori e nelle tue immagini e mi ci perdo, mica devo per forza trovarci un senso, no? che poi il mio senso non potrebbe mai essere il tuo o quello di un altro o quello della donna che ha detto che sei maschilista. quindi resto nel non-sense che senso ha lo stesso e molto più e penso che tutto di te sia bello. anche il tuo cappello. e il tuo genio più di tutto è bello. sì.
mi ha guardato un po' così, come si guarda qualcuno che dice cose strane e che comunque non ascolti troppo. infatti forse ho parlato troppo e uno mentre mi ascolta si può assentare, come a riprendere fiato.
semplicemente mi sono voltata e me ne sono andata, così. non c'è bisogno di congedarsi quando non sai come mai ti trovi lì e se ci torni e se ti ricapiti di rivederlo, picasso. 
me ne sono andata un po' in giro, tanto ero da sola e sapevo di poter fare come mi pareva, ma non a montmartre, da un'altra parte.
sono stata a bloomsbury. si lo so, è londra, e io stavo proprio lì.
come a giugno del duemilatre, intorno al giorno del mio compleanno.
ci sono andata a cercare virginia e la sua stanza tutta per sé e il faro e pure mrs dalloway e il suo dolore.
a bloomsbury c'era il sole, un'arietta leggera, tanto io la pashmina ce l'avevo lo stesso, senza non ci so stare proprio, perché ho la gola delicata.
l'ho chiamata, virginia, non potevo permettermi di stare là e non incontrarla.
ero sul viale, alle spalle quel palazzo vittoriano color ruggine con le finestre ad arco bianche, sulle labbra un sapore antico.
- eccoti, virginia. dio santo, quanto ti amo... lo sai? non ci posso credere ma ci credo e tu credimi, ti prego: io ti amo. so tutto di te, anzi quasi -hai ragione- e la tua delicatezza e fragilità mi commuovono nel profondo e mi fanno piangere. io non mi sento capita dal mondo. in fondo, al  mondo c'è sempre chi ti capisce più o meno o magari ci prova e un pezzetto ci riesce pure e chi proprio ti passa attraverso con lo sguardo e non ti vede. ti guarda, ma non ti vede. io ti vedo, vedo le tue parole e fluttuo nelle tue pagine. non smettere mai, di scrivere dico. e di vivere anche. continua, ché io desidero ancora leggerti. e non mi sento più nel bisogno di essere capita. capito?
si è voltata in tutta la sua bellezza e grandezza e se n'è andata, ma ci siamo comprese eccome, io e lei. mica servono troppe parole a volte e io il suo silenzio l'ho ascoltato e l'ho sentito.
me ne sono andata, perché dovevo trovare emily, una delle bronte.
lei doveva sapere quanto cime tempestose avesse sconvolto la mia fanciullezza, che io lo avessi letto alle elementari e non ci avessi trovato i tecnicismi che ci ho trovato quando ne avevo diciassette, che fossi rimasta sconvolta dal racconto di quell'amore e da quel vento forte e rumoroso e dagli spiriti che tornano e dalle loro ombre e mani gelide sopra i vetri appannati rivolti verso il buio della brughiera.
e lei non ha mai messo piede fuori casa e ha usato soltanto la sua immaginazione pazzesca per descrivere la pazzia di catherine e il misticismo romantico e antieroico di heathcliff.
dimmi, emily, mi sbaglio? è così? mi piacerebbe saperlo... ma mi basti lo stesso così.
poi mi sono fermata e sono tornata. non è che potessi perdermi ancora, quindi ho dovuto smettere. così, di punto in bianco dici "occhei, basta: rientro" e ritorni, come sono ritornata io.
ma ci rivado, mica è finita qui. troppo c'è, eccome!
non mi basta questo tempo, perché in fondo è un po' vero che i tempi andati siano migliori di quello presente e un po' è così e un po' no. e magari potrei capirlo meglio se negli altri tempi ci andassi. se no barerei e basta. come barano in tanti, dico.
devo e voglio incontrare ancora un sacco di persone e stupirmi ed emozionarmi e restarci insieme e guardarle dritte negli occhi e in fondo!
io non me le faccio bastare le citazioni. e neanche più solo le opere e basta.
io li devo guardare negli occhi. e perdermi per trovarmi. e molto altro e oltre.

bi

[immagine tratta da "arts factory", basilicata]

venerdì 13 aprile 2012

venerdì tredici

è inutile piangere dell'acqua sversata e che continuerà a sversarsi per i prossimi giorni.
piove di ciclone lucy, dicono.
poi sempre nomi femminili, forse perché natura finisce con la a, pianta pure, geologia e geofisica anche e allora cicloni e uragani, seppure maschili nell'apparente genere grammaticale, diventano donnine potentissime.
il mondo (maschio, o neutro, anch'esso) ci teme, donne?
teme la nostra forza e irruenza e ci ritualizza attraverso agenti atmosferici capaci di cotante inondazioni?
diciamo che la risposta non mi importa proprio.
comunque, ho fatto una cosa riprovevole. a mia discolpa, la non intenzionalità.
c'era una pioggia torrenziale, l'orario a me nemico, il fatto che fosse ora di pranzo e non mettessi cibo in ventre dalle ore sette in punto del mattino, un lungo viale disabitato (almeno in superficie), buche a manca e a destra e un povero malcapitato sul ciglio della strada dopo una curva a sinistra.
io (lo giuro) ho rallentato, ma un po' d'acqua gliel'ho lanciata, tipo sui toni del marrone mélange e non proprio chiara o al massimo giallo paglierino, consistenza piuttosto fangosa, ma pur sempre niente di letale, ecco.
mi sento in colpa e chiedo scusa pubblicamente al tizio in abiti da lavoro, ponendo le mie ginocchia sui ceci e mettendomi per un'ora dietro la lavagna.
che poi è capitato anche a me domenica pomeriggio, quindi pare come una specie di testimone che ci si passa, una staffetta che si perpetua ogni cinque giorni, per dire.
per cui tra cinque presumibili giorni un altro malcapitato, che il destino condurrà esattamente in quel dove, verrà travolto da una breve doccia paglierina o quasi, fatta dal malcapitato del tredici aprile.
ecco: è venerdì tredici, quindi gli poteva andare peggio e a me pure. mica l'ho accoltellato e manco gli ho squartato l'intestino, rubandogli le viscere...
il venerdì ha i suoi pro e i suoi contro, che vanno valutati attentamente, se no i rischi aumentano e non ne esci.
ho letto su un sito rispettabilissimo che a hollywood è sneaker mania.
cioè, impazziscono tutti per le scarpe da ginnastica.
che sono notizie importanti, non c'è dubbio, da collocare più in basso a destra, dopo che hanno scritto l'elenco delle parolacce dette da borghezio in prima serata alle nove e mezzo su lasette.
poi parlano un sacco ancora dell'imu, che non è esattamente uno strano grosso uccello che vive in australia e che è alquanto simile allo struzzo ma con il collo e le zampe più corti.
quello sarebbe innocuo, l'imu manco per un cavolo. è una malattia dannosissima per la maggior parte del genere umano e le multinazionali farmaceutiche non hanno alcun interesse nel commercializzare medicinali per combatterla e debellarla.
diciamo che siamo fortunati, perché esiste la naturopatia. quindi, possiamo coltivarci il nostro orto personale, controllando scrupolosamente il ciclo lunare per la semina e la raccolta, e sperare nel baratto: io do i miei frutti a te e tu dai un altro prodotto a me.
così possiamo sfamarci, riducendo i costi ed investendo il denaro risparmiato nella battaglia contro l'imu.
meno male che questa sera nelle sale esce un film bellissimo, che vi consiglio di non perdere: diaz.
dicono che sia tratto da una storia vera e che nessuno volesse produrlo e che non parli troppo bene del sistema e che mostra degli aspetti bui o comunque occultati, non occulti.
ché un po' di verità non fa mai male, o forse sì, o forse non è proprio verità intera come tutti i misteri. è una questione di fede e io certo non posso definirmi un'individua (perché barbara finisce con la a) devota allo stato.
tuttavia, non faccio propagande in questo spazio, diciamo che piove e se non avete possibilità di farvi una passeggiata in centro in canoa allora sapete che potreste andare al cinema.
poi ho letto che una che si chiama come me, che ha il cognome con la mia stessa iniziale e finisce in -erlusconi, ha i capelli rossi e non più biondi. e anche queste sono cose importanti da sapere, di venerdì tredici.
invece alla sezione tav tutto tace. sì, meglio parlare dei capelli rossi.
comunque, se volete le verità che non trovate nei giornali o in tivvù, cercatele nel mondo dei peanuts.
oh sì, loro ne sanno di cose e ne dicono di belle e vere, soprattutto.
io ho trovato la mia simile, quella che mi ritrae o comunque dalla quale mi sento ben rappresentata.
quindi vi lascio con una delle sue considerazioni, perché le sue sono vere, mentre le mie sono vaneggiamenti di una che tra un quarto d'ora si avventura sotto la pioggia torrenziale.
che sia un fantastico week-end, dunque. e senza sarcasmo, ovvio.

"dopo un vero c’è sempre un falso, poi un altro falso…
perché non te lo aspetteresti."
piperita patty, ovvero pp

bi

giovedì 12 aprile 2012

questo è per te




era adagiato sulla sua poltrona in pelle marrone, piuttosto squadrata come lui, il cuscino dietro la schiena, le braccia allungate sui larghi braccioli, lo sguardo emozionato ed il sorriso aperto.
- questo è per te.
se lo aspettava, lui è molto amante delle tradizioni e non dice quanto adori ricevere regali soltanto affinché non si spendano soldi per lui.
non si alzò, rimase seduto e sempre sorridente, con quel velo di imbarazzo come a dire:
- è bello che tu abbia pensato a me, lo aspettavo tanto questo momento e me lo voglio gustare come fosse una piccola magia.
eppure disse solo che non ce n'era bisogno, come sempre.
girò su stesso il piccolo pacchetto, facendolo roteare in modo leggero, come se volesse sentirne il suono. nessun suono ne uscì.
lui ha un udito delicato e pieno di musica, quella che suonava con il suo meraviglioso violino nel salone di casa. voleva prima ascoltarlo, quel regalo tutto suo.
lo scartò come fosse qualcosa di fragile e insicuro, qualcosa pronto a sgretolarsi sotto le sue forti dita alla prima mossa rigida, continuando a sorridere e farfugliando qualcosa che sottolineasse ancora quanto non ce ne fosse bisogno.
mentre il bisogno c'era, eccome.
il bisogno di sentirsi parte di qualcuno, della sua esistenza, dei suoi affetti più intimi, del suo passato, del suo tempo presente e del suo futuro quanto più possibile, del suo spazio e dei suoi luoghi, come con nessun altro può accadere.
il bisogno di toccare coi sensi quel pensiero fatto per lui, con la brama di toccarne l'estensione fisica.
ne aprì il contenuto e sorrise di più: era un portachiavi.
bello o no, non era questo il punto, per lui. era bello, bellissimo a prescindere.
ho scelto un portachiavi per lui, per tanti perché.
perché ne aveva uno con solo un moschettone in metallo, piuttosto bruttino, ecco. perché ha sempre tante chiavi da portare con sé. e perché a me ha regalato molte chiavi, in vita mia. chiavi con le quali ho potuto aprire porte di gioia, dolore, serenità, afflizione, evoluzione, sofferenza, certezza, crescita, amore, innamoramento, consapevolezza, buio, ma luce di più.
- è bellissimo, ma è troppo... non avresti dovuto, lo sai che...
- l'importante è che ti piaccia, perché a me piace tantissimo. ora magari puoi buttare quel moschettone...
si alzò e mi guardò a entrarmi dentro con quei suoi bellissimi occhi verde smeraldo scuro un po' inumiditi, sibilando parole interrotte da una forte emozione, i nostri sensi uniti in un abbraccio di luce e di un amore che sa di unicità.
- spero solo di essere stato un buon padre per voi.
- moltissimo, più di quanto tu creda.
ci abbracciammo. forte. forte.

bi




[antonio vivaldi, estate da "le quattro stagioni"]

venerdì 6 aprile 2012

luigetta

mia mamma aveva una nonna piccola piccola, leggera e leggiadra, un po' dispettosa e di nome luigetta.
il solo nome luigia, senza il diminutivo -etta, non avrebbe saputo rappresentare quell'aria da furbetta che aveva.
capelli raccolti in un fragile ma scuro chignon, figura esile, passo spedito, amore smodato per gli animali, in particolare per insetti e farfalle, dotata di una forte spiritualità e spesso isolata in devota preghiera, generosa, sorridente e astuta, buona, frizzante e friccicosa, piuttosto rapida e scattante nei movimenti un po' spigolosi, a tratti autoritaria e consapevole della donna che fosse, di estrazione semplice e di cultura contadina, legata alla terra tanto da averne l'odore sempre addosso, una matriarca.
un'abruzzese.
me la raccontano così coloro che la conobbero, mamma luce compresa.
proprio lei ne era fortemente intimorita, ne subiva l'autorevolezza, ne sfuggiva lo sguardo quasi potente, si nascondeva dietro le spalle di sua madre per proteggersi da quella donnina così energica.
è che qualsiasi guaio e marachella venissero combinati in casa o nei paraggi, luigetta ne accusava quella poveretta, perché era la più piccola e la più svelta e la più probabile, mentre il responsabile era un altro, che ne usciva sempre indenne.
luigetta la furia dormiva in una stanza tutta per sé, rivolta a sud, con una lunga finestra che guardava la costa verde della montagna, il pavimento grigio un po' puntinato, un letto con un'alta spalliera in legno scuro, un armadio lucido e specchiato, un comò marrone con tre cassetti a manici pendenti squadrati ed il pianale in marmo, ricoperto da centrini fatti a mano, un lume fioco e un rosario appeso.
le pareti erano tutto un santo, santino, altarino, fiorellino, animaletti idolatrati, insettini e farfalline venerate.
mai uccidere anche solo una formica in sua presenza, chiunque ne avrebbe subito le pene peggiori.
oggi quella stanza è ancora lì, è solo meno ampia, ha sempre quell'alta finestra rivolta a sud che guarda la costa verde.
ci sono delle alte pareti bianche, un pavimento color miele, un letto con un'alta spalliera bianca, un comò a tre cassetti rosso scuro con su candele e fiori profumati e uno specchio in legno a forma di sole, fotografie di cavalli e gatti, un quadro chiaro con leggerissime farfalle in rilievo, un piccolo armadio bianco opaco e specchiato.
è la mia stanza.
e ogni tanto mi capita di respirare un odore di terra e udire un suono lontano di preghiere e vedere delle bellissime farfalle volare libere e parlare senza parole con una donnina che è così tanto presente anche in me.

bi


giovedì 5 aprile 2012

m'abituerò





m'abituerò alla mia claustrofobia acuta verso questa società malata e pervesa e aggressiva e spietata
m'abituerò al grigio di pasqua mentre speravo nel sole da vacanza lampo e risanatoria e fresca
m'abituerò allo sporco e al marcio della politica che ci governa e c'ammazza a tutti e tutti i giorni
m'abituerò all'indecisione di comprare o no l'abito lungo di cui mi sono innamorata che è bellissimo e me lo sogno pure la notte e pure al tramonto
m'abituerò al progesterone che mi rende indecisa e sbuffona e intollerante e lunatica e appiccicosa
m'abituerò ai fumi neri che escono dalle marmitte di certe auto guidate da stronzi e orbi
m'abituerò al sei aprile del terremoto nel mio abruzzo alle tre e trentadue e al deserto che ha lasciato e che pochi vedono perché guardano con gli occhi sbagliati
m'abituerò alla puzza della città e all'assenza dei profumi della montagna
m'abituerò ai sogni lucidi e a quel corpo pesante come un macigno che non riesco a muovere
m'abituerò ai suicidi delle persone disperate per questa vita difficile che non vorrebbe uccidere
m'abituerò a chi li giudica solo deboli e ne disprezza il gesto senza chiudere gli occhi e provarne la disperazione
m'abituerò a chi crede che non suicidarsi significhi essere dei gran fighi forti che hanno capito tutto che non lo farebbero mai e invece sono già morti e continuano a morire tutti i giorni solo che non se ne accorgono e sono gli unici a non accorgersene
m'abituerò al mio vicino che grida verso sua moglie e mi fa schifo e gli vomiterei addosso roba corrosiva
m'abituerò a non dormire accanto a mia sorella con il corpo ché tanto con mente e anima sì
m'abituerò ai miei sbalzi d'umore e al mio gemello che è il mio retro e si ribella e ogni tanto semina casini e non si piega al gemello tranquillo che cerca di farlo ragionare
m'abituerò alla maestrina che sono perché magari in una vita precedente ero maestrina sul serio e quindi non fa niente
m'abituerò ai difetti di chi amo perché sono un valore aggiunto alla loro bellezza cangiante a mosaico
m'abituerò a non poter possedere certe bellezze che vorresti ingoiare per quanto belle sono
m'abituerò alle zanzare grosse come aquile che stanno per tornare e io tanto mi sto preparando e una già l'ho appiccicata sul vetro della mia camera e ce l'ho lasciata per dirmi ogni volta che sono stata brava
m'abituerò a pensare meglio e più bianco e più verde e più azzurro e più rosa e più arcobaleno compreso il grigio che tanto c'è ed è inutile negarlo
m'abituerò ai miei quasi trentotto anni m'abituerò ai trentotto m'abituerò ai trentotto m'abituerò ai trentotto ché me lo devo dire più volte per abituarmi proprio
m'abituerò ai brufoletti manco fossi ancora adolescente eppure i brufoletti ancora spuntano e sempre quando non devono e che palle
m'abituerò al dolore lancinante e senza scampo che ti fa strizzare gli occhi e ti leva il fiato e ti fa imprecare a gran voce della ceretta
m'abituerò ai sassi dentro agli stivali che come fanno ad entrare dei sassi dentro gli stivali alti lo sanno solo loro e gli stivali
m'abituerò a sognare porte che non si chiudono che forse dovrebbero spalancarsi e prima o poi le aprirò con forza e coraggio queste cavolo di porte
m'abituerò alla palestra a passarci davanti due volte al giorno ed ammirarla da lontano perché non c'andrò mai perché no perché no perché nnno
m'abituerò all'insensibilità della maggioranza e alla sua prepotenza e al fatto che si sente maggioranza più di quello che è
m'abituerò a contare fino a cento ché fino a dieci ormai non basta e dico cosacce pure se conto fino a cinquantacinque
m'abituerò all'età dei miei genitori che avanza mentre mi sembra che siano ancora dei quarantenni rompibballe ma splendidi come pochi
m'abituerò a non abituarmi a tutte queste cose o magari solo a certe e ad altre no o nì o so o sì e ciao

bi

[street art is really art into your heart]

martedì 3 aprile 2012

bi-rbate e robe (s)conclusionate

i lunedì sembrano tutti uguali, i martedì pure e invece no.
oggi è il martedì undicesimo giorno di luna crescente, un momento importante chiamato ekadasi.
i nostri fluidi corporei tendono a raggiungere il loro massimo e si dice che sia consigliato in questi giorni osservare una dieta semplice e leggera, priva di un sacco di roba e ricca di tisane & co., che io proprio non ce la farò mai e parto già tipo sconfitta.
tanto che ieri sera ho mangiato talmente parecchio, e tanto misto e variegato, che mi sono rigirata come una lottatrice di sumo questa notte e ho sognato strano forte e mi sono svegliata un po' provata e con gli occhi che mi bruciavano e ancora mi bruciano, pur avendo dormito.
non pare, tuttavia mi ritengo molto soddisfatta, perché questa mattina alle sette meno un quarto ho lavato i capelli con il mio nuovo shampoo senza parabeni (che dovrebbero invece chiamarsi paramali e come mai no?) e schifezze varie e i miei capelli splendenti applaudono e ringraziano con inchino.
e l'ambiente anche, perché si tratta di uno shampoo biodegradabile al novantasette percento, mica bruscolini!
poi profuma di mandorle dolci e fiori di loto, quindi ho fatto pure aromaterapia in doccia e ho sentito proprio che le mandorle fossero dolcissime, mica solo dolci (si sono sbagliati, i soliti approssimativi).
peccato che, appena uscita da casa, mi abbia raggiunto una puzza bestiale di non so che, che mi ha disturbato alquanto.
sì, l'aria oggi puzza tremendamente e questi sono problemi serissimi per una come me che di odori ci campa o ci crepa.
puzze così rendono me difficile da gestire a me stessa, acuiscono la mia latente intolleranza e moltiplicano le possibilità di conflitto e tensione.
poi mi si irrigidiscono le spalle e il trapezio (che secondo me è tipo un triangolo, ma lasciamo perdere).
c'è molto altro, tipo il progesterone che incalza, il mio noioso compagno di acquario che sta qui imbalsamato davanti ai miei occhi e parla poco e mi sa che è anche meglio che comunque stia in silenzio, le previsioni meteo che mi minacciano con piogge come spade di damocle e invece è stata primavera conclamata tutto questo tempo che ancora pasqua non era e vacanza nemmeno, il traffico acustico qui di fronte di tir e macchine e tir e macchine e tir... ok... che è veramente troppo, uno che ha buttato un pacchetto di sigarette vuoto dal finestrino della macchina mentre stavo venendo a lavoro e dio non l'ha folgorato ma io sì ma non si è visto il fulmine, il freddo ai miei piedi nudi perché sono ostinatamente in ballerine senza calze e ballo e tutte le cose che vi ho detto i giorni scorsi in cui ero romantica ma adesso non più, gli occhiali da vista che mi pesano sul naso e mi inumidiscono il setto nasale che sono cavoli perché non ho esattamente un nasino alla francese, ecco.
eppure sono felice, mi sveglio felice, mi guardo allo specchio e lo vedo un sacco che sono felice! (sorriso).
è il dopo che mi frega.
comunque sono fiduciosa, anche perché sto continuando nella mia opera titanica di pulire e ripulire i miei armadi e scaffali in giro per casa, cosa che fa bene quando vuoi riprendere in mano la tua vita (sempre lo dicono, la gente).
in effetti dovrei aprire i libri e studiare, per riprenderla in mano sul serio, ma non li trovo.
cioè, giro loro intorno e li guardo con sospetto, perché loro non mi riconoscono e mi rinviano un'energia negativa.
capite, no? manchiamo di empatia, diciamocelo, e io lo dico quando manca l'empatia. e manca.
e comunque resto fiduciosa, perché pulendo in giro sto riscovando anche foto vecchie, molto vecchie, di carta, satinate e lucide, anticaglie di famiglia, di parentame vario e io ci parlo.
fa benissimo parlare con le foto, vi prego: provateci!
può essere che più siamo e meno mi sento pazza (ma tanto lo faccio lo stesso).
parlo con la mia me (cioè la , per voi) che mi assomiglia sorprendentemente... fa le mie stesse mosse, indica con l'indice dritto verso l'interlocutore che al tempo stava scattando la foto, sorride uguale, parla uguale, ha la stessa voce, fa le stesse birbate.
solo una cosa ha di diverso: l'innocenza e la spensieratezza.
e io voglio proprio che me la insegni di nuovo.

bi




[ceren aksungur, "bird seller": cose che mi sono accorta di voler fare]

lunedì 2 aprile 2012

la rubrica dei cinici

"salve ho problemi di ciclo, molto irregolare per via delle ovaie policistiche e di noduli alla tiroide penso…
comunque vorrei avere un figlio…
è un problema averne con questi problemi?
Come calcolo il giorno dell’ovulazione?
Comunque la domanda importante è: Posso avere bambini?
Mi sono sposata a Settembre e abbiamo provato e riprovato ma nulla…
inizio a preoccuparmi…
alcune mie cugine hanno gli stessi problemi e non hanno avuto difficoltà a procreare…
attendo sue notizie… grazie."

cara non-so-come-ti-chiami,
io comincerei con una sana riflessione su maiuscole e minuscole, che non sono un'opinione.
io, che sono un po' stronza e a volte un po' anarchica, ho deciso per le minuscole-per-sempre, tuttavia seguendo una linea consapevole, ecco. è che penso che le maiuscole indichino aggressività e, poiché sono aggressiva anch'io, mi curo scrivendo minuscolo.
altrimenti c'è sempre la grammatica, quella che ha sempre ragione e di opinioni contrarie ne contempla poche.
ecco, in te mi sembra di scorgere sia dell'indecisione, sia della distrazione, entrambe nemiche della personalità e dell'energia che ci vuole condottieri della nostra esistenza.
fatta la tua scelta?
mi raccomando, scegli il tutto-maiuscolo solo se ti hanno diagnosticato bassa autostima e ipermetropia (insieme, dico).
successivamente, comincerei a riflettere sulla punteggiatura.
troppi puntini di sospensione mi pare di vedere, così a occhio intendo, troppi.
non vanno sparsi come fossero sale, presi con pollice, indice e medio e lanciati a mo' di condimento libero e spregiudicato. più parsimonia, diamine, che siamo in tempo di austerity e crisi profonda, tanto economica quanto identitaria.
usando il punto, alleni la determinazione al posto dell'indeterminatezza e ti consiglio un esercizio fisico facile-facile: inspira a fine frase e poi espelli dalla pancia in modo assolutamente liberatorio tutte le tossine che hai in corpo e pigia il punto! capito? inspira... espira pigiando il punto!
bene, l'intera frase ne trarrà giovamento e la scrittura assumerà un senso più profondo.
poi la virgola non può e non deve separare l'aggettivo dal suo sostantivo: li ha uniti dio e solo lui può disunirli, come soggetto e predicato.
eppoi la parola problema: l'hai ripetuta ben quattro volte, numero che implica che non sarà un non-problema finché non ti deciderai a trattare la questione chiamandola questione o come altro vuoi, purché non problema.
arriviamo dunque al salve, che è quella via-di-mezzo un po' triste da un lato e un po' irritante dall'altro.
scegli una linea, quella confidenziale del tu e del ciao, o quella formale del lei e del buongiorno: entrambi energici, cordiali, sorridenti anche in contumacia. purché tu scelga, di nuovo.
anche la chiusura è debole, mostra incertezza e soprattutto manca della tua firma.
mai chiudere senza dire chi sei, altrimenti perde di identità tutto ciò che dici e quindi che pensi.
orsù, dunque, il mio consiglio: riscrivi da capo la tua lettera, in seguito a tutte le riflessioni fatte insieme, e rileggila.
sono certa che, di conseguenza, ti tornerà la regolarità del ciclo, non ti sentirai in competizione con le tue cugine, ti farai meno domande a vuoto e soprattutto capirai che è sciocco scrivere su internet per una consultazione così delicata, che necessita dell'attenzione di un esperto da guardare in faccia e che ti guardi negli occhi.
il mondo ha bisogno di umanità e contatto, io pure e tu anche.
(scusami, ma è lunedì un po' per tutti, soprattutto qui dove noi facciamo e faremo bagordi di cinismo ogni lunedì per i prossimi quarantanove almeno).

bi

ps: lettera vera e seria trovata veramente e seriamente con tanto di risposta della specialista molto vera e molto seria. anche io ho risposto simulando di essere veramente e seriamente vera e seria.




[street-art by obey (o)]