io non me le faccio bastare le citazioni. e neanche più le letture in contumacia.
io voglio leggere la poesia di goethe, guardandolo negli occhi e perdendomi nella loro bellezza e profondità, e voglio dirgli che come le ha amate lui, le donne, pochi altri le hanno amate, forse. e che le sue parole infondono uno stato di grazia dal quale non bisognerebbe mai uscire. mai.
allora ieri pomeriggio mi sono persa.
sì, perché sono stata tipo ingoiata e risucchiata in un altro dove e in un altro quando pure, tanto da non sapere né dove fossi né in che tempo, ecco.
ma era tutto meravigliosamente magico e fantastico e un po' sognante o sognato o tutt'e due e io comunque ero la io quella vera in carne e spirito.
ad un certo punto ero in giro per montmartre. sì, come avevo fatto da sola un giovedì pomeriggio di settembre del duemilatre e altre volte in quella settimana e poi basta.
ero vestita comoda, con un'inseparabile pashmina al collo, occhiali da sole e una grande tracolla piena di tutto, perché devi stare a tuo agio per respirare la bellezza dell'arte che tutto rende eterno e senza tempo. ché poi ti ritrovi inghiottita, tipo me, e devi saperti destreggiare e mischiarti tra la folla. e devi stare pronta.
ed ecco che passa picasso. lui. capito perché ti devi vestire comoda e con la borsa piena di roba?
mi sono alzata di scatto dagli scalini dov'ero seduta e mi sono lanciata verso di lui.
- non sei poi così alto, pablo. voglio dire, dall'alto del tuo genio, ti immaginavo alto e con lunghe dita ad abbracciare magici pennelli colorati. ti chiami come mio nonno, pablo. e come mio cugino e un altro cugino anche, che sta ad amsterdam. amo tanto i tuoi cubi e i tuoi colori e i tuoi arlecchini. un po' meno le tue donne... ma no, ti spiego. mentre un giorno stavo affogando dentro la magnifica bellezza dei tuoi quadri, una raccontava quanto fossi maschilista e sprezzante della divinità della donna e quanto raffigurassi donne sessuate e sessuali e carnali e turgide. tu, capito? la donna non è solo carne. ma tu secondo me lo sai, è lei che non ha capito alcuni aspetti di te. e io nemmeno, mica dico di sì, però non mi faccio domande. per dire, io entro nei tuoi colori e nelle tue immagini e mi ci perdo, mica devo per forza trovarci un senso, no? che poi il mio senso non potrebbe mai essere il tuo o quello di un altro o quello della donna che ha detto che sei maschilista. quindi resto nel non-sense che senso ha lo stesso e molto più e penso che tutto di te sia bello. anche il tuo cappello. e il tuo genio più di tutto è bello. sì.
mi ha guardato un po' così, come si guarda qualcuno che dice cose strane e che comunque non ascolti troppo. infatti forse ho parlato troppo e uno mentre mi ascolta si può assentare, come a riprendere fiato.
semplicemente mi sono voltata e me ne sono andata, così. non c'è bisogno di congedarsi quando non sai come mai ti trovi lì e se ci torni e se ti ricapiti di rivederlo, picasso.
me ne sono andata un po' in giro, tanto ero da sola e sapevo di poter fare come mi pareva, ma non a montmartre, da un'altra parte.
sono stata a bloomsbury. si lo so, è londra, e io stavo proprio lì.
come a giugno del duemilatre, intorno al giorno del mio compleanno.
ci sono andata a cercare virginia e la sua stanza tutta per sé e il faro e pure mrs dalloway e il suo dolore.
a bloomsbury c'era il sole, un'arietta leggera, tanto io la pashmina ce l'avevo lo stesso, senza non ci so stare proprio, perché ho la gola delicata.
l'ho chiamata, virginia, non potevo permettermi di stare là e non incontrarla.
ero sul viale, alle spalle quel palazzo vittoriano color ruggine con le finestre ad arco bianche, sulle labbra un sapore antico.
- eccoti, virginia. dio santo, quanto ti amo... lo sai? non ci posso credere ma ci credo e tu credimi, ti prego: io ti amo. so tutto di te, anzi quasi -hai ragione- e la tua delicatezza e fragilità mi commuovono nel profondo e mi fanno piangere. io non mi sento capita dal mondo. in fondo, al mondo c'è sempre chi ti capisce più o meno o magari ci prova e un pezzetto ci riesce pure e chi proprio ti passa attraverso con lo sguardo e non ti vede. ti guarda, ma non ti vede. io ti vedo, vedo le tue parole e fluttuo nelle tue pagine. non smettere mai, di scrivere dico. e di vivere anche. continua, ché io desidero ancora leggerti. e non mi sento più nel bisogno di essere capita. capito?
si è voltata in tutta la sua bellezza e grandezza e se n'è andata, ma ci siamo comprese eccome, io e lei. mica servono troppe parole a volte e io il suo silenzio l'ho ascoltato e l'ho sentito.
me ne sono andata, perché dovevo trovare emily, una delle bronte.
lei doveva sapere quanto cime tempestose avesse sconvolto la mia fanciullezza, che io lo avessi letto alle elementari e non ci avessi trovato i tecnicismi che ci ho trovato quando ne avevo diciassette, che fossi rimasta sconvolta dal racconto di quell'amore e da quel vento forte e rumoroso e dagli spiriti che tornano e dalle loro ombre e mani gelide sopra i vetri appannati rivolti verso il buio della brughiera.
e lei non ha mai messo piede fuori casa e ha usato soltanto la sua immaginazione pazzesca per descrivere la pazzia di catherine e il misticismo romantico e antieroico di heathcliff.
dimmi, emily, mi sbaglio? è così? mi piacerebbe saperlo... ma mi basti lo stesso così.
poi mi sono fermata e sono tornata. non è che potessi perdermi ancora, quindi ho dovuto smettere. così, di punto in bianco dici "occhei, basta: rientro" e ritorni, come sono ritornata io.
ma ci rivado, mica è finita qui. troppo c'è, eccome!
non mi basta questo tempo, perché in fondo è un po' vero che i tempi andati siano migliori di quello presente e un po' è così e un po' no. e magari potrei capirlo meglio se negli altri tempi ci andassi. se no barerei e basta. come barano in tanti, dico.
devo e voglio incontrare ancora un sacco di persone e stupirmi ed emozionarmi e restarci insieme e guardarle dritte negli occhi e in fondo!
io non me le faccio bastare le citazioni. e neanche più solo le opere e basta.
io li devo guardare negli occhi. e perdermi per trovarmi. e molto altro e oltre.
bi
[immagine tratta da "arts factory", basilicata]
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