mercoledì 18 luglio 2012

chi ha tempo non aspetti il vento

c’è aria di cambiamento.
va respirata e senza sospiri, perché significherebbe respirare poco e male.
questa notte la luna sarà assente, per i più, ma non per chi vorrà vederla scura, perché non vuole solo goderne la luce.
sarà nera, per poi rinascere nuova e fiammante domani, diciannove luglio.
ho comprato un tappetino molto fucsia e molto tappetino, bell’e pronto per iniziare quello che si chiama movimento.
il rischio sarà quello di sedermici sopra e aspettare che voli.
e lui comunque volerà, per accontentarmi.
altrimenti posso pure appenderlo nella mia camera sulla parete ai piedi del letto, a mo’ di arazzo.
così nudo e senza figure, stimolerebbe la mia immaginazione e ne vedrei paesaggi, passaggi, panneggi, appannaggi.
oppure potrei mettermici comodamente seduta a gambe incrociate a leggere i miei nuovi sette libri, che non vedono l’ora di essere aperti e sfogliati ed interrotti e sottolineati (con la matita hb, percarità!) e odorati a occhi chiusi.
è chiaro dunque che sul mio nuovo tappetino ci farò molti esercizi.
c’è aria di cambiamento.
temo solo di svegliarmi una mattina, specchiarmi ancora assonnata per cercare di scrutare oltre me e restare invece ipnotizzata di fronte alla nascita del primo capello bianco!
(che può pure essere).
e pure lì avrei una rosa di scelte possibili:
a) afferro in preda ad un attacco di ira funesta le pinzette migliori che ho, lo aspetto dietro un angolo e appena spunta lo attacco frontalmente, spiazzandolo perché non pensa che io sia così coraggiosa, e lo stringo a morte tra le pinze, togliendogli il respiro e facendolo diventare viola e… lo stacco. senza pietas.
bi) rido a squarciagola in modo piuttosto isterico, sempre per spiazzarlo perché non pensa che io possa mantenere ilarità ed ironia, lo guardo sadica e gli dico perentoria:
- scegli tra il blu e il verde fluo: da oggi sarà la tua nuova veste, molto eighties.
ci) lo fulmino con uno sguardo terrificante a tal punto che mi si infuocano pupille e iride tutti insieme, mi sputo sul dito indice, ci afferro degli steakers a teschio e lo soffoco con quelli, che lui non è più bianco ma nero a teschio e senza più vita ed espressione. morto. teschio.
c’è aria di cambiamento.
e forse la mia sempreverde adolescenza inoltrata capisce che basta, i brufoli fanno parte di un’altra era, come l'elegante e seducente belle époque.
non è più belle e io ho una certa époche, tanto che i brufoli non hanno più il senso di una volta e devono andare a morire ammazzati ora e per sempre e senza possibilità alcuna di reincarnazione.
il sole e l’estate li annichileranno e li arderanno sì da farli pentire di essere venuti al mondo e... puff !: spariranno e torneranno, soli e mesti, nell’iperuranico mondo delle idee, mentre io, radiosa e soddisfatta, ne conserverò soltanto un lontano e sbiadito ricordo.
c’è aria di cambiamento.
me lo dice anche il mio amato igor sibaldi che devo ribellarmi e varcare il confine...
poche cose in valigia, per lo più nuove, piegate, la mia crema antirughe con fattore q10 fatta dalla mia Di proprio con le sue manine d’oro, occhiali grandi per coprire il copribile, la mia inseparabile pashmina rosa con i fiorellini bianchi e le perline, piedi scalzi e i depeche mode che mi urlano negli orecchi canzoni dell'adolescenza estiva in abruzzo.
il confine sta lì e me lo sto guardando da un po’, ora subendone il fascino, ora provando quell’emozione di gioia mista a terrore, che sussulta nel petto e ti grida: sei viva! 
il varco è pronto, devo solo finire di sbrigare qualche noiosissima e terrenissima pratica burocratica, comprare un pantalone di cotone stretto a fiori di quelli che l'orlo non serve, andarmene al mare, pagare l’assicurazione della macchina, salire in vetta sul velino e tornare al lago della duchessa e poi arrivare lì davanti ed eccolo lì: settembre. 
c’è aria di cambiamento.
e tutte le sere sta spirando un vento di ponente che alza polvere e parole: è l'alito potente del sole che passa davanti casa mia e fa agitare le tende del balcone fin quasi a staccarle.
e loro lì sembrano pronte e si gonfiano panciute e forti perché vogliono partire pure loro e andare verso nord.
e chi ha tempo non aspetti il vento.

bi




"settembre, andiamo. è tempo di migrare.
ora in terra d'abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all'adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d'acqua natia
rimanga ne' cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
rinnovato hanno verga d'avellano.

e vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
o voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

ora lungh'esso il litoral cammina
la greggia. senza mutamento è l'aria.
il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
isciacquio, calpestio, dolci romori.

ah, perché non son io co’ miei pastori?"


i pastori, gabriele d'annunzio

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