giovedì 12 luglio 2012

forse dovrei fare come vittorio alfieri: si legava alla sedia, davanti allo scrittoio, per resistere allo sgomento quand’era ispirato.




forse dovrei fare come vittorio alfieri: si legava alla sedia, davanti allo scrittoio, per resistere allo sgomento quand’era ispirato.
è che a mezzogiorno e un quarto mi sono accorta che l’orologio nel mio polso era fermo.
perché alle sette e mezzo il corpo era assente.
la mente faceva i conti matematici delle pochissime ore dormite.
lo spirito vagava nella rielaborazione di una verità che mi era stata rivelata la sera prima e che recita più o meno così: dormire sotto la mia libreria piena di libri, della storia della mia famiglia, dei cimeli dei miei viaggi, dei libri di scuola custoditi gelosamente come sapere universale e universalmente valido per sempre, enciclopedie di animali di musica di medicina e di tutto, il violino di mio padre, una lampada ad olio alimentata a lampadina, lettere di quand’ero adolescente, cartoline dagli anni ottanta in poi ricevute dai miei amici, la macchinina verde tonda e pesante che mi hanno regalato ad agosto dell’ottanta, pesa su di me.
mi schiaccia come la gravità farebbe con una formica sovrastata da una ciotola di cibo per gatti pieno, capito come?
sono anni che vivo sotto il peso della mia storia e di un sapere che vuole che io sappia e che in fondo so.
comunque, rassegnata all’assenza di cui è fatta la mia presenza in questo mondo, a mezzogiorno e un quarto ho messo l’orologio nell’ora esatta per questo meridiano e ho capito una cosa: sì, io sono, ma non ci sono.
vivo un periodo di sospensione, che sembra fatto di una sequenza illogica di tanti piccoli attimi e che costituisce un tempo che passa inosservato, cioè lo ignoro non osservandolo. perché sì.
perché serve pure questo, stare sospesi, per poi tornare giù e ritrovare terra e radici.
è che purtroppo non sono un albero, perché lui sì che sa sempre come si fa.
a rinnovarsi, ad accogliere la pioggia con un sorriso stiracchiando ben bene tutti i rami e rametti, a farsi proteggere dalla neve che conserva in silenzio e con certezza, a bere ingoiando la terra ricca di vita, a respirare di notte per poi donare respiro di giorno.
mi ricordo che da piccola mangiavo i fiori del gelsomino.
mi tuffavo nel loro profumo pungente e avvolgente e poi quell’odore volevo divorarlo, a occhi socchiusi e con due impercettibili grinze sul naso.
staccavo quel fiore gentile e sottile dal suo ramo, chiedendogli scusa per quella sfacciataggine e confessandogli la colpa del mio egoismo, e ne succhiavo il nettare chiaro e dolce, sfidando la morte senza paura.
nessuno mi aveva spiegato se fosse velenoso o no.
ero assetata di natura, di verde, di fiori, di vita e me la prendevo così, senza chiedere il permesso a nessuno e in quieto segreto.
poi un giorno stavo scendendo verso casa di mia zia, il sole era alto e cuoceva le coscette magre dei miei sei o sette anni e mi fermai a contemplare un’ape.
era bellissima: se ne stava seduta a godersi quel sole a mille metri, nuda, piena di colori e di luce.
senza timore mi soffermai per più di qualche minuto ad osservarne quella regalità, seduta sui miei talloni e con le mani poggiate sulle ginocchia.
me ne andai felice, era stato un bell’incontro per me.
e in tutta risposta lei mi prese alla sprovvista, facendo sprofondare il suo pungiglione nella mia coscia sinistra.
fu la prima volta e fu dolorosissima.
fu doloroso restare bruciati da un tradimento: io me ne innamorai e lei mi ferì una gamba, facendola pulsare di dolore e d’angoscia.
ma andò bene così, perché mia mamma mi schiacciò forte e decisa la sua fede nuziale sul buco di quel pizzico e dopo un po’ dimenticai che un’ape può far male, nonostante la sua bellezza.
forse dovrei fare un po’ più di quello che faceva vittorio alfieri: dovrei restare in silenzio di fronte allo sgomento quando sono ispirata.
se pure il silenzio, che ha sagge cose da dire, sta zitto, perché io ancora non taccio?

bi


“la scrittura non guarisce mai da nulla.
se svolgiamo questo lavoro onestamente, siamo costretti a farci delle domande, sempre.
è impossibile, o almeno rarissimo, trovare risposte definitive alle cose.
c’è sempre un’apertura, un’altra cosa per noi.
non provo mai una sensazione di chiusura.
le cose non sono mai finite e ogni storia è una storia che continua.”

paul auster

2 commenti:

  1. la tua scrittura è maturata in maniera vertiginosa...questo è meraviglioso. come meraviglioso è condividere questo spazio con te.
    with love
    tua Di.

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    1. sono felice ed oltremodo orgogliosa che tu scriva e legga con me...
      e ti ringrazio tanto, tanto
      tua blove

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