martedì 17 luglio 2012

a me ad esempio sarebbe piaciuto fare l’insegnante

e mi sarebbe piaciuto fermarmi sul ciglio della porta, ogni volta, pochi minuti prima del suono della campanella, per osservare la mia classe.
provando un'impercettibile e bonaria sensazione di possesso, che mi avrebbe fatto dire:
- ho una bellissima classe.
di menti che avrei sentito un po' mie, alle quali avrei aperto direzioni che non sarebbero mai state le stesse, pur avendo usato con tutti le stesse parole.
mi sarei messa lì ad osservarli partendo dal fondo, occupato spesso da chi vuole sparire e mimetizzarsi con il muro, facendosi seducente e fintamente silenzioso come un murales.
si sarrebbe vestito scuro, con i jeans laceri e larghi, un pugno chiuso poggiato sulla tempia ad oscurare uno sguardo attento ma latitante, una t-shirt chiassosa e alternativa, a dire lei per lui:
- io mi distinguo e tu lo sai, perché scelgo di dirtelo a modo tuo.
in terza fila una tipa allegra e acuta, che eccelle con pochi sforzi e campa di rendita, che si gira a parlare con il murales in ultima fila e collabora con i secchioni della prima.
frizzante, dal tono della voce tranquillo ma vigile, sobria, che partecipa e si porta appresso una moltitudine semplicemente con il suo fare leggero ed intelligente.
davanti a tutti due inseparabili amiche occhialute e sapienti, pronte a rizzare al cielo mano e dito indice alla prima domanda rivolta guardando sul fondo.
- noi non vi vediamo, voi ci vedete?
avrebbero detto questo, se avessero saputo veramente come mai avessero scelto la sedia in prima fila.
la scusa sarebbe stata della lavagna, per vederla meglio, strizzando il meno possibile gli occhi, dopo aver asciugato quel po' di umidità sotto i naselli degli occhiali tondi e chiari.
avrei osservato tutti sorridendo e compiacendomi di essere arrivata dall'altra parte, dove è scomparso il timore della biro che scorre lenta i nomi disposti in ordine alfabetico sul registro, poco prima di un'interrogazione.
-oggi spiego. invece la prossima volta spiegherà al mio posto la persona che avrei voluto interrogare oggi. e lo ascolteremo tutti, prendendo appunti. me compresa.
a ricreazione mi sarebbe piaciuto restare seduta alla cattedra, a leggere rilke e jodorowsky.
la curiosità avrebbe senz'altro spinto qualcuno a dirmi:
- cosa legge?
- le poesie di un esteta. sono ciò che dovremmo realmente chiamare bellezza. e le magie di un equilibrista, di un genio. sono tuoi, se vuoi.
- si, grazie…
mi avrebbe risposto.
e glieli avrei donati.
avrei raccontato loro che, alla loro età, all'ingresso di un insegnante si usava alzarsi tutti in piedi.
era una forma gentile di gratitudine verso un essere umano che è fonte di sapere e conoscenza e che ha un'enorme responsabilità, socialmente poco riconosciuta.
e loro si sarebbero alzati a loro volta, senza che io avessi detto null'altro.
mi sarei vestita in pantaloni comodi e scarpe basse, avrei inforcato i miei occhiali alzando lo sguardo fiero e quieto, mi sarei mangiata una pizzetta al prosciutto e formaggio comprata al bar al primo piano, avrei cercato un dialogo personale con ciascuno di loro, avrei scritto e fatto leggere, avrei fatto scrivere molto e letto la sera stessa in un angolo di casa scuro e assonnato, avrei narrato di lotte e ribellioni, avrei portato immagini e filmati e fatto visitare altri luoghi, avrei raccontato oltre che detto, avrei fatto raccontare oltre che ripetere, avrei aiutato per ricambiare l'aiuto, avrei ascoltato con un amplificatore immaginario, avrei cercato certi sguardi al posto di altri, avrei registrato e fatto riascoltare, avrei smosso e istigato, avrei polemizzato e fatto autocritica, avrei voluto far sognare.
avremmo partecipato, lì dentro, ché la partecipazione è un sentimento.
e ce lo saremmo detto, a fine anno, davanti ad una birra fresca e ventosa in riva al mare.

bi


[salvador dalí, donna alla finestra]

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