esco come tutte le mattine, senza sveglia e con il sole già alto.
io, la mia musica che preme nelle orecchie e le mie montagne da contorno.
giro a destra e comincia la lunga salita, subito erta, poi un po' più dolce, poi di nuovo ripida.
mi guardo intorno, non cammino e basta, ché se non ti accorgi dove sei e chi incontri e cosa calpesti ti perdi l'essenziale.
non si tratta di allenamento per il corpo, per me è più un esercizio per l'anima e un pieno infinito di luce, forza, magia.
salgo, la musica spinge di più, la pressione sale mentre da mille metri sto salendo a millecento, o forse milledue.
a sinistra mi accompagna la costa verde, una collina come una cornice a mezzaluna piena di vita e di verde e di colori.
a destra regna lui, il maestro di vita.
è alto duemilaquattrocentottantasette metri e veglia su di me. e non solo.
lui c'è da sempre ed io lo venero e lui mi ricambia con un'energia profonda e fatta di riflessi e di odori che non se ne vanno mai e io lo guardo e resto incantata e lui pure mi guarda e so che mi vede e allora mentre salgo mi volto a destra mille volte e lui è sempre lì.
prima frontale, poi di profilo, mentre io avanzo e salgo ancora.
sono già trascorsi venti o trenta minuti, non controllo mai l'ora, quando ad un tratto finisce la salita.
lo aspetto con quel ché al centro del petto quel momento, non solo perché la salita mi lascia e mi accoglie un grande campo in pianura, che comunque mi fa rifiatare.
è l'attesa dello spettacolo che si presenta ai miei occhi che mi eccita e, mentre salgo a fatica sull'ultimo tratto, le mie tempie pulsano ed il mio corpo trasuda sforzo ed emozione.
finché la pianura si apre, vasta e ariosa e ventosa e verde o gialla o ocra, asseconda della stagione.
cammino più veloce e sciolgo i muscoli delle gambe, mentre un lungo brivido ancestrale mi corre lungo il collo e tutta la schiena e le gambe e si scarica in quel punto.
un brivido di emozione, misto a qualcosa che non capisco mai, ma che mi lascia senza fiato per la bellezza.
passo davanti alla tomba di mosè marini e tutte le volte mi fermo.
non è una tomba vera e propria, ma un masso con una scritta che lo ricorda, perché lui lì nel milleottocentonovantacinque è caduto da cavallo ed è morto.
e penso ogni volta che io e mosè marini abbiamo dei legami strani e ci incontriamo sorprendentemente da quando avevo tredic'anni e lì ci passavo proprio a cavallo.
e ci sono caduta anch'io, piantandomi sopra a un cardo.
lo saluto e proseguo oltre.
un altro brivido mi arriva. sempre nella stessa curva, quella che facevo galoppando in senso contrario, e respiro meno affannosamente e soprattutto mi respiro quelle sensazioni di paradiso.
quella mattina incontro lei. è con il suo bastone, il suo passo lento, il suo fazzoletto a coprire la testa dal caldo, perché è agosto e sono tipo le dieci e il caldo a millecento metri arde.
in montagna ci si saluta sempre, è una consuetudine, ed io la saluto. ma mi fermo, perché sì.
ogni volta che passo lì mi fermo sempre e quel giorno lì c'è lei, quindi mi fermo per due motivi.
- buongiorno, le dico.
- buongiorno, mi dice un po' sorpresa. - è troppo caldo per andare a correre, cara, non crede?
- dice? anche per lei è caldo, cosa ci fa qui sopra?
una donna bella e piuttosto avanti con l'età, elegante, leggiadra e raffinata.
- ci vengo quasi tutti i giorni, passeggio e cerco le more per la mia marmellata.
- anch'io salgo tutti i giorni, vengo da lì dietro (indicandole la salita appena fatta).
- eppure non ti ho mai visto: chi sono i tuoi parenti in paese?
- io sono la figlia di luciana di annina.
- oh... ma davvero? che carissima donna tua madre, così dolce così attenta, la conosco da quando è piccola! e anche tua nonna conoscevo e tua zia e tuo zio... ora che me lo dici vi somigliate moltissimo, in effetti. è davvero un piacere conoscerti.
me lo dice con affetto, lasciando la formalità del "lei", nonostante sia il nostro primo incontro, ma lì è così: è come se ci si conoscesse bene fin dalle prime battute, basta un cenno alle proprie radici.
- è un piacere molto grande anche per me, porterò i tuoi saluti a mia madre (a questo punto anch'io le rivolgo un "tu" più consono alla confidenza che si è creata).
- certamente! dille che la saluta moltissimo giulia e che ha una figlia incantevole.
- grazie, giulia! sono davvero felice di averti incontrato, un bell'incontro... (le stringo la mano destra tra le mie) io sono barbara. ti auguro una splendida giornata.
- buona giornata a te, cara.
e mi posa le sue sottili ed energiche mani sulle spalle e mi bacia due volte e mi abbraccia e mi lascia senza parole e con un senso di appartenenza e di serenità interiore molto grande e mi sembra di conoscerla da prima e penso che non può essere la prima volta che la incontro e che i miei brividi me lo dicevano da tempo che l'avrei incontrata e ce ne andiamo sorridenti tutt'e due.
l'ho incontrata altre volte in paese da quel giorno e lo stesso senso di felicità mi ha pervaso e anche a lei.
quando sono lì, esco tutti i giorni per il mio solito giro in montagna.
sempre senza sveglia e con il sole già alto.
sempre io, la mia musica che preme nelle orecchie e le mie montagne da contorno.
poi passo lì ed il brivido che conosco mi ripercorre ancora la schiena.
ma da allora penso anche a giulia, alla sua dolcezza, al suo abbraccio e al fatto che non vedo l'ora di incontrarla ancora. e ancora.
bi
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