venerdì 9 marzo 2012

questa stanza non è un acquario

entra con altri due: loro si dirigono verso la reception, lui no.
appena dentro, si volta a sinistra: cellulare all'orecchio, voce troppo alta, occhiali da sole scuri, egocentrismo trasudante, postura invadente, prossemica violata.
penso subito, nell'ordine:
il cellulare si spegne prima di entrare, è una questione di buona educazione.
la voce si abbassa all'interno di un ufficio, è una questione di buona educazione.
gli occhiali non servono, abbiamo il neon non una tempesta solare in atto, è una questione di buona educazione.
il resto sono una questione mia, giudizi e pregiudizi miei, sensazioni mie, di cui (forse) vi dovrei risparmiare la lettura.
ma torniamo ai fatti, interessanti.
mi fissa. per più di tre minuti consecutivi.
appena entrati, infatti, sulla sinistra c'è la mia stanza.
è un ufficio per metà a vetrate, per metà fatta di muri e finestre.
è fatto quasi tutto così l'ufficio, a vetrate disposte in un lungo corridoio.
mi diverto da matti a camminare nel corridoio e abbassarmi (sempre continuando a camminare) fino a far scomparire la mia figura, generando l'ilarità generale e dimenticando tutti, per pochi istanti, che siamo illuminati da lampade al neon e che a volte sembriamo robotici...
dunque, mi fissa. per più di tre minuti consecutivi.
da fuori la mia vetrata, come se fossi in vetrina.
come se stessi lì per intrattenerlo, mentre lui imperterrito prosegue con la sua nient'affatto gentile conversazione telefonica.
grida, cosa grida? cosa vuole dimostrare? a chi? cosa ha mangiato a colazione? ha mangiato a colazione? cosa dirà alla riunione? che ruolo ha? non nella vita (quello lo intuisco dai suoi gesti... sì lo so è un pregiudizio, fa nulla, ne ho anch'io), in azienda, intendo.
lo fisso. per pochi secondi.
bruciato, ecco. folgorato, annientato, inibito, colpito e affondato. (poveraccio, manco avrà capito).
ammetto di essere esagerata, ammetto pure di essere una fervida tollerante che alterna picchi di sprezzante intolleranza, ammetto anche che esercito una certa (e sana) forma di razzismo (della quale però dovrei modificare la radice razz-).  
è che la mia stanza non è un acquario, santo cielo benedetto.
sì, ha una temperatura costantemente tropicale pressoché dodici mesi l'anno, ha le vetrate invece che dolci muri tinte pastello, i pannelli sono blu (che cattiveria averli scelti di questo colore, dannazione!)...
ma non è un acquario! ed io non sono un pesce tropicale, o uno raro, men che meno una sirena, né una roba in esposizione!
voglio una stanza che non lasci libera interpretazione e non sembri un acquario. ecco.
voglio una stanza lontana dall'entrata e con i muri classici, tinte pastello. grazie.

bi

2 commenti:

  1. Risposte
    1. non vale! a te l'ho anche mimato con il corpo...;)
      grazie mia sticky del cuor!

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